Carla Evangelista, Vanity Fair n.33 25/8/2010, 25 agosto 2010
SCUSATE SE CI PIACCIONO
Sono arrabbiati, tormentati, alcolizzati, drogati, danneggiati. Diciamocelo: sono quelli che fanno perdere la testa a noi donne. Sono una garanzia di sofferenza, di tormento ed estasi, di infinite montagne russe emotive, sono quelli che ci dicono subito «io sono sbagliato per te» e noi, grazie a quella promessa di infelicità, ci buttiamo immediatamente e senza esitazioni nel pozzo scuro e profondo delle loro braccia e della loro vita disperata. Sono belli e dannati. Ma a noi poi in realtà basta che siano dannati.
A volte i dannati si legano a persone tormentate come loro. E nascono coppie famose e famigerate. Bonnie e Clyde, rapinatori legati da una disperazione e da un amore indissolubile che li ha guidati di banca in banca fino ai mitra della polizia che li ha crivellati di colpi unendoli anche nella morte. Liz Taylor e Richard Burton, compagni di letto e di bevute, di botte e di passione, così disperatamente necessari l’uno all’altra da sposarsi, divorziare, sposarsi, divorziare di nuovo e comunque restare «la coppia» per eccellenza anche dopo la morte di lui e i numerosi mariti di lei. Sid Vicious, il cantante dei Sex Pistols, e Nancy Spungen, che hanno battezzato e nutrito il loro rapporto a suon di dosi di eroina fino a quando lui ha accoltellato lei e poi è morto di overdose. Joe Orton e Ken Halliwell, il primo commediografo di grido nell’era della «Swinging London» e il secondo segretario-amante-tuttofare: unione appassionata e tormentata fino a quando Halliwell si è stancato di dividere i tormenti e la promiscuità sessuale di Joe e gli ha fracassato la testa a martellate.
E poi ci sono i dannati che si redimono. Quelli che cercano la salvezza in una donna che li prenda amorosamente per mano e li conduca in un porto sicuro. Quelli che ti guardano con occhi disperati e un po’ appannati dall’ultimo stravizio e ti sussurrano «senza di te non posso farcela». E a quel punto noi donne ci lasciamo travolgere dalla sindrome «Io ti salverò», quella che in un famoso film di Hitchcock ha fatto smarrire la psicoanalista Ingrid Bergman nel passato turbolento di un Gregory Peck bello, psicopatico e forse assassino, che si sentiva male ogni volta che vedeva delle righe parallele, a testimonianza di chissà quale torbido segreto sepolto nella sua memoria.
I dannati che ci guardano con occhi pieni di speranza e con una muta preghiera sono invincibili. Inutile cercare di combatterli. Ma il più delle volte non ci proviamo nemmeno. La velocità con cui noi donne indossiamo la divisa da infermiera-mamma-psicoanalista-bodyguard emotiva è direttamente proporzionale a quella con cui loro ci depongono in grembo i loro problemi di bambini non amati, adolescenti non capiti, adulti non presi sul serio. Noi li amiamo e ascoltiamo per ore, ripercorrendo con loro i tortuosi labirinti di quel passato che li ha condotti alla devastazione. Sediamo le loro lacrime, rinforziamo la loro autostima anche quando con noi si comportano come carogne. Nutriamo, accudiamo, coccoliamo il loro animo sfilacciato, sorrette dalla cieca fiducia in noi stesse che quella frase – «senza di te non posso farcela» – ha fatto immediatamente nascere in noi.
Siamo delle sante? Non credo proprio. Immagino che il nostro percorso verso l’autostima ci appaia semplificato se passa attraverso la ricostruzione di chi amiamo. Forse abbiamo semplicemente bisogno di portare in salvo qualcuno per dimostrarci che sappiamo salvare noi stesse. Abbiamo bisogno di sanare le nostre ferite per interposta persona, di stabilire il nostro valore in base a quanto siamo utili all’uomo che ci ha scelte.
Buffo pensare che il processo contrario avviene molto più raramente. Le ragazze dannate si salvano – o sprofondano – da sole. Nella disperazione siamo protagoniste assolute, marciamo dritte (o sghembe, a seconda dell’entità degli stravizi) verso il nostro destino, accontentandoci di compagni di viaggio che magari ci passano la borraccia, ma che difficilmente si annullano per portarci in salvo, come facciamo noi.
Forse siamo pazze. Forse inguaribilmente romantiche. Forse, quando ci siamo accorte che i principi azzurri delle nostre favole di bambine erano troppo perfetti per frequentare la nostra realtà di donne, abbiamo deciso che l’unica era plasmarcene uno dalla buia creta della totale imperfezione.
Oggi tocca a Robbie Williams. Come anni fa è toccato al suo collega di stardom David Bowie, che ha abbandonato bisessualità, droga e sperimentazioni per inginocchiarsi su un bateau-mouche davanti alla bellissima Iman – principessa per davvero – e chiederle di essere sua sposa e salvezza. Come recentemente è toccato al nostro Cassano, che ha voltato le spalle ai mille letti sfatti e alle sue intemperanze incontrollate per legarsi per la vita con Carolina, la donna che gli è stata pazientemente accanto fino a salvarlo così bene che oggi Cassano ha preso sotto la sua ala protettrice di neo-redento il giovane e un po’ scapestrato Balotelli. Magari facilitando il compito della donna salvifica che un giorno anche lui sceglierà.
Io alzo il mio calice pieno di una bevanda rigorosamente analcolica – essendo un’astemia mai redenta – e brindo a lei, signor Williams, sicura di non farla cadere in tentazione. Brindo alla sua bellissima Ayda e a una vita piena di salvezza e di sole. E mentre guardo con un sorriso di soddisfazione questa favola a lieto fine che le auguro con tutto il cuore duri per sempre, essendo una donna, strizzo anche l’occhio a quella parte di lei che ci ha fatto sognare, arrossire, scandalizzare. La tenga a bada ma non la faccia morire completamente, la prego. L’affronto peggiore che si può fare a una donna-salvatrice è restituirle un uomo mondato ma affogato nelle pantofole e addormentato davanti al televisore. Noi siamo ben felici di combattere i vostri draghi e di portarvi in salvo sul nostro calesse azzurro. Ma per favore, signor Williams e tutti voi, esercito di uomini ex dannati: tenetevi in serbo nella manica qualche piccola trasgressione. Concedeteci il lusso, in una serata di pioggia, di svestire i nostri panni di Fata Turchina e di trovarci davanti a un Pinocchio che ha in sé ancora un po’ di Lucignolo e che è ancora capace di sorprenderci. E di farci peccare.