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 2010  agosto 19 Giovedì calendario

LA GUERRA DEL POTASSIO E L’OPA OSTILE SU POTASH

Forse un giorno potremo fare a meno del petrolio. Non del cibo. Né dei fertilizzanti, sempre più necessari per spremere la massima resa possibile dai terreni coltivabili, risorsa limitata, che difficilmente riusciremo ad estendere in modo significativo.
È questa la logica stringente che ha mosso il gigante minerario Bhp Billiton all’assalto della canadese Potash Corp,con un’offerta ostile da 39 miliardi di dollari, subito – e forse fondatamente – respinta come «grossolanamente inadeguata». Ed è la stessa logica che sta scatenando una battaglia planetaria per il controllo dei minerali utilizzati in agricoltura come nutrienti del suolo: il potassio in primo luogo, consumato in oltre 150 paesi e prodotto in appena una dozzina. Oltre a Potash, responsabile di circa il 20% dell’offerta globale, anche i maggiori produttori russi –Silvinit e Uralkali – sono oggetto di attenzioni crescenti da parte di una pletora di investitori locali, che si scambiano pacchetti azionari in una manovra che sembra condurre, sotto la regia del Cremlino, alla costituzione di un campione nazionale dei fertilizzanti, di dimensioni analoghe e potere quasi certamente superiore a quello di Potash (a prescindere dall’esito della scalata di Bhp).
Del resto Marius Kloppers, il giovane e aggressivo chief executive officer di Bhp Billiton, non ha avuto un’idea inedita, quando lo scorso 12 agosto – secondo i dettagli emersi ieri – è volato dall’Australia al Nord America per presentare personalmente la sua proposta di acquisto al collega Bill Doyle, ceo di Potash. La stessa Bhp in gennaio aveva rilevato per 331 milioni di dollari, sempre in Canada,un’altra società del settore, la Athabasca Potash Inc. La mineraria brasiliana Vale ha da poco acquisito per 3 miliardi il controllo della connazionale Fosfertil, che integrerà con asset rilevati da Bunge in una società specializzata in fertilizzanti. E appena quattro mesi fa si è conclusa una lunga battaglia a colpi di offerte, controfferte e rilanci, che ha visto coinvolta anche la norvegese Yara e che ha portato alla fusione tra Cf Industries e Terra. Puntare sui fertilizzanti, come sta facendo Bhp Billiton attraverso la sua scalata a Potash Corp, appare come una facile scommessa sul futuro dell’umanità. Le ultime proiezioni delle Nazioni Unite indicano che nel 2050 il nostro pianeta sarà popolato da 9,1 miliardi di persone: 2,4 miliardi di nuove bocche da sfamare, oltre 60 milioni in più in media ogni anno, più o meno quanto la popolazione dell’Italia. Individui che in molti casi non si accontenteranno di un pugno di riso. Come osserva la stessa Potash Corp nel suo sito internet, negli ultimi trent’anni in Cina i consumi di carne sono aumentati di sette volte, quelli di frutta e verdura sono decuplicati.
Mentre i consumi alimentari aumentano e si fanno sempre più ricchi di proteine, l’urbanizzazione impetuosa che sta trasformando la stessa Cina –ma anche altri pae-si a forte crescita, economica e demografica, come l’India – rischia intanto di ridurre le aree coltivabili: il timore di non avere abbastanza terreni da dedicare all’agricoltura sta già portando al cosiddetto "land grabbing", l’accaparramento di terre, soprattutto in Africa, da parte di paesi come l’Arabia Saudita: un fenomeno denunciato come pericoloso anche dalla Fao.
Essere il più possibile autosufficienti nella produzione di cibo è un obiettivo ben presente nelle politiche di Pechino. E i recenti rincari dei cereali – con le quotazioni del frumento schizzate ai massimi da due anni, dopo essere quasi raddoppiate nel giro di un mese – sono suonati come un nuovo campanello di allarme sulle possibili conseguenze di una carenza di prodotti agricoli: nell’estate del 2008 in diversi paesi del mondo, dall’Egitto ad Haiti al Messico, scoppiarono violenti disordini in seguito ai forti rialzi di prezzo subiti dai cereali e da altri generi alimentari.
L’unica via praticabile perché la Cina riesca davvero ad accrescere la propria produzione agricola è aumentare la resa delle coltivazioni: su un ettaro di terreno gli Stati Uniti riescono oggi a produrre oltre dieci tonnellate di mais. I contadini cinesi ne raccolgono circa cinque tonnellate, gli indiani poco più di due. Il segreto principale è nell’uso dei fertilizzanti.
Bhp Billiton ha messo gli occhi su un affare che, nel lungo periodo, potrebbe rivelarsi ancora più lucrativo della produzione di minerale di ferro: materia prima indispensabile per la produzione di acciaio, di cui controlla insieme ad appena altri due gruppi – Vale e Rio Tinto – oltre il 70% delle esportazioni nel mondo. Il prezzo offerto per Potash Corp, 38,6 miliardi di dollari in contanti (43 compreso il ripianamento del debito) è elevato soltanto in apparenza. Il titolo della società canadese aveva raggiunto nel 2008 un massimo di 240 dollari, contro i 130 messi sul piatto da Bhp. E anche se appare difficile che si possa arrivare oltre 150-160 dollari per azione, un rilancio è quasi scontato secondo gli analisti, che non escludono neppure la discesa in campo di qualche altro big minerario: l’estrazione di potassio avviene con metodi simili a quelli utilizzati per il carbone. Si tratta quindi di un modo intelligente per utilizzare un know how tipicamente minerario per guadagnare una preziosa esposizione ai mercati delle commodities agricole.
Di fronte al rifiuto sdegnoso dei vertici della società, che hanno parlato addirittura di un «tentativo di furto», Kloppers ha intanto deciso di rivolgersi direttamente agli azionisti, ufficializzando il carattere ostile dell’Opa, che si svolgerà dal 20 agosto al 19 ottobre e sarà condizionata all’adesione di almeno il 50% del capitale e alla rimozione della «pillola avvelenata» adottata da Potash Corp,per impedire l’accumulo di quote superiori al 20 per cento.Con l’apertura di un’offerta ostile, Bhp conta sul fatto che sia lo stesso governo canadese a imporre la revoca della misura difensiva adottata dal board.
La mineraria australiana, che pure ha in cassa oltre 11 miliardi di dollari in contanti, ha intanto reso noto che ricorrerà a un prestito sindacato per finanziare l’acquisizione: un annuncio che ha indottoMoody’s a mettere sotto osservazione il suo debito per un possibile downgrade. Intanto, anche sul fronte russo si assiste ad un’accelerazione dellemanovre nel settore dei fertilizzanti. Da tempo circolano voci che il Cremlino stia lavorando per la costituzione di un campione nazionale, mediante la fusione tra Silvinit e Uralkali. Le due società sono ormai controllate entrambe da un gruppo di oligarchi capitanati da Suleiman Kerimov, deputato della Duma e uomo di fiducia di Putin. Ieri si è saputo che al vertice di Uralkali è stato collocato «provvisoriamente» Vladislav Baumgertner, manager di formazione occidentale, che già in passato aveva guidato la società. Il quotidiano russo Vedomosti giura che la nomina sia tutt’altro che temporanea e che ben presto sarà proprio lui a pilotare la fusione con Silvinit.
Un merger da cui nascerebbe un gruppo capace di produrre 11,5 milioni di tonnellate l’anno di sali di potassio e che rafforzerebbe ulteriormente il potere di fissazione dei prezzi già conquistato dalla Belarusian Potash Company (Bpc), joint venture commerciale costituita da Uralkali con la bielorussa Belaruskali, e che ha ormai surclassato lo schieramento opposto: la Canpotex, che si occupa del marketing per conto di Potash, Agrium e della statunitense Mosaic.