PIERANGELO SAPEGNO, La Stampa 19/8/2010, pagina 17, 19 agosto 2010
Il primario, la ginecologa e l’Italia dei falsi professionisti - Borges diceva che «c’è sempre un’altra storia
Il primario, la ginecologa e l’Italia dei falsi professionisti - Borges diceva che «c’è sempre un’altra storia. Molto più di quello che si vede». E la verità viene fuori per sbaglio. Il professor Antonio Maldera, come lo chiamavano ossequiosamente in corsia, ad esempio, l’hanno scoperto solo quando ha presentato le carte per andare in pensione. Aveva voluto esagerare. Erano tutte false: il primario dell’ospedale San Nicola Pellegrino di Trani non aveva i titoli, o meglio dopo la laurea non si era neanche iscritto alla specialità. Per una vita aveva fatto carriera senza che nessuno se ne fosse accorto. I colleghi e i pazienti dicevano che era «il più bravo». Com’era successo a Monica Maisto, 39 anni, scoperta pochi giorni fa a Lecce, dove esercitava la professione di ginecologa senza aver superato più di cinque esami all’università di Bari. Aveva cominciato sostituendo colleghi medici durante le ferie, e siccome la riempivano pure di complimenti aveva deciso di continuare. Aveva appeso la sua laurea finta nello studio dove riceveva i pazienti, «e pochi dottori erano gentili come lei». Studio legale E’ che l’Italia dei falsi molte volte è gentile e assurda come le storie che racconta, e altre volte è persino la migliore, come Giuditta Russo, da Napoli, che per 13 anni aveva fatto l’avvocato affrontando più di duecento cause e perdendone una sola. Aveva aperto due studi, uno a Mirandola, in provincia di Modena, e l’altro a Pompei. Andava e veniva per l’Italia, riempiendosi di complimenti. Alla fine è crollata da sola, travolta dal suo «castello di menzogne», come ha confessato lei, andando dal suo giudice per dire la verità. «Le bugie sono come ciliegie: una tira l’altra e non si riesce a smettere più. Mi sono sentita sporca, disonesta». L’ultimo cliente l’aveva fregata, l’unica causa persa: non aveva osato dirglielo. Gli aveva detto che il tribunale gli aveva dato ragione e gli aveva conosciuto un indennizzo di 70mila euro. Non era vero, ma doveva dargli quei soldi. «Mi sono sentita intrappolata, per questo non ce l’ho più fatta». Quella era stata la sua ultima bugia. La prima, l’aveva raccontata a suo padre il giorno della laurea che non c’era, il 28 settembre ‘93, quando gli aveva detto di non venire perché si sarebbe agitata troppo. Tutte le altre sono venute dietro, come in una vita parallela. Il giorno che ha deciso di dire la verità è crollato tutto: suo marito l’ha lasciata, gli amici sono spariti, tutti quelli che la chiamavano collega ora la guardano con disprezzo. Dice che il suo libro preferito è «L’avversario» di Emmanuel Carrére, la storia di un uomo che per 18 anni ha finto di essere medico e di fronte alla verità ha ucciso tutti, genitori, figli, moglie: «Io ho preferito affrontarla, la verità». Il chirurgo Ma Giuditta non è da sola dentro a questo incubo parallelo, in questa finzione della vita che mette insieme avvocati, medici, dentisti, insegnanti. Il reato è quello dell’esercizio abusivo della professione: pena di 6 mesi e multa da 5, 6mila euro. La vera condanna è quella della vergogna. Ogni anno in Italia vengono processate circa 1000 persone per questa colpa. Ma sono molti di più quelli non scoperti, il piccolo esercito dell’Italia dei falsi. Le stime degli odontoiatri raccontano di circa 15mila abusivi accanto a 56mila regolari. Tra i medici sarebbero 10mila su 360mila iscritti all’ordine. Il Nas, nel 2009, ha denunciato 1170 persone per esercizio abusivo della professione medica. Nei primi 5 mesi del 2010 sono stati 453 i falsi odontoiatri scoperti, 108 i medici, e molti di più gli infermieri. Fra di loro c’è la dottoressa del Cadore che si faceva pubblicità sul web, il chirurgo di Palermo che operava tranquillamente in una casa di cura e perfino il finto ortopedico che si occupava dei giocatori di una grande squadra di basket. L’urologo Amedeo Bianco, presidente dell’Ordine dei medici, spiega che «purtroppo certe scuole non chiedono ai neolaureati l’iscrizione al nostro albo». Così anche chi non è laureato può fingere d’esserlo più facilmente. Un po’ come è successo a Marco S., che si è specializzato in urologia senza essere neanche laureato: «All’Università ho avuto un blocco. Dopo 10 esami non sono più riuscito ad andare avanti. Sono entrato in una scuola di specializzazione a Trieste con un’autocertificazione falsa e durante il tirocinio ho seguito molti pazienti. Poi ho aperto uno studio in Lombardia. Ho fatto più di 100 interventi». Alla fine, l’ha tradito la sua ex moglie: l’ha denunciato perché aveva un’altra. La verità capita come uno scherzo. «I Nas mi hanno detto che se no non mi avrebbero mai beccato. Che ce ne sono tanti come me». In fondo, una finta laurea può costare appena 200 euro, come succedeva a Vibo Valentia, dove la vendevano in una stamperia clandestina. Non sappiamo se Marco Schiavazzi l’aveva comprata: ce l’aveva appesa in studio, anche se non era vera. L’hanno scoperto perché una sua paziente è morta di tumore e suo marito l’ha denunciato. Il «carissimo avvocato Golia», invece, come lo chiamavano quasi inchinandosi le guardie di Poggioreale tutte le volte che lui varcava il portone del carcere per far visita ai suoi clienti, nel suo studio non aveva solo la laurea finta appesa alla parete: teneva 250 ricette mediche in bianco, certificati medici per decine di patologie diverse, timbri e firme false, e biglietti da visita con scritto pomposamente sopra «Avvocato Fausto Paolo Jarbas Golia». L’insegnante Lui si chiamava soltanto Fausto Golia e aveva la terza media. In tribunale caddero tutti dalle nuvole. Come è successo a Trivero con il dentista Valentino Colia, che non era un dentista: ma parlavano così tanto bene di lui che la guardia di finanza ha voluto vedere quanti clienti avesse, visto che tra l’altro risultava disoccupato. Era finto e non pagava neppure le tasse. E’ l’Italia dei falsi, così uguale all’Italia vera. Per questo, magari, alla fine la Corte dei Conti ha assolto uno di loro, Salvatore Manconi, che aveva insegnato matematica per 27 anni alle medie di Oristano, senza aver mai preso una laurea e che perciò era stato condannato a restituire un miliardo e mezzo allo Stato. Nella sentenza scrissero che «aveva sempre svelato agli alunni i segreti dei numeri senza che nessun rilievo gli fosse mai stato mosso». In fondo, dissero, era stato «un bravo professore». Perché c’è sempre un’altra storia, dietro a quella che vediamo.