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 2010  agosto 19 Giovedì calendario

L’INTERVISTA A MARCO MÜLLER

«Nella sfida di Venezia ci mancherà Eastwood» -
Dodici giorni all’inizio del­la sessantasettesima Mostra del Cinema di Venezia, la setti­ma sotto la sua direzione (ed è un record di durata): Marco Müller sgombra il campo dalle polemiche che la precedono, dal caso Avati al caso Vallanza­sca, per lasciare campo libero ai film.
È soddisfatto del cartellone o ha qualche rimpianto?
«Sono soddisfatto, ovvio. Il cartellone è frutto di un lavoro portato avanti con passione e le migliori competenze. Nei no­stri sogni c’era anche altro. Se Malick avesse finito in tempo di montare il suo film... Se Clint Eastwood prendesse ancora ae­rei intercontinentali...».
Guardando al concorso sembra ci siano meno cine­matografie minori.
«Direi di no. Torna la Grecia, torna l’America latina con un film cileno, ci sono una pellico­la cinese e una hongkongese. Il più grande regista d’animazione del­­l’Est, il ceco Jan Swankmajer repres­so dalla censura che dirige un film dopo dieci anni ha scelto il fuori con­corso di Venezia per ripresentarsi. I Paesi rappresentati sono 34, l’anno scorso erano 27».
Il concorso sem­bra una gara tra America e Italia: nove film dei 23 iscritti.
«Gli italiani or­mai sono stabilmente quattro. Nessuno si scandalizza se a Cannes o a Berlino Francia e Germania concorrono con quattro film.Dall’America con­tinua ad arrivare una varietà straordinaria di modelli cine­matografici, ci sono registi alla seconda o terza opera e pellico­le che sono prototipi di nuovi generi».
Parliamo degli italiani: tre autori affermati, un esor­diente, presenze prestigio­se nelle rassegne parallele e magari pure il film a sor­presa. Visto dal Lido il no­stro cinema scoppia di salu­te.
«Quanto meno ha saputo af­frontare con spirito innovativo una situazione di crisi economi­ca. Il film fuori concorso di Sal­vatores, 1960 , che racconta la saga di una famiglia del sud che scopre il nord nell’Italia del boom, è realizzato con la voce narrante di Antonio Cederna e materiale d’archivio. I costi so­no ridotti al minimo, ma ci au­gu­riamo che gli esercenti abbia­no il coraggio di programmarlo in tutta Italia come merita. E Bellocchio? Il suo Sorelle Mai è un film cechoviano, dieci anni di storia di una piccola comuni­tà di provincia raccontati ad episodi e realizzato con i mate­riali dei seminari che il regista tiene ogni anno a Bobbio. Be­ne: Raicinema non sa ancora se 01 lo distribuirà nelle sale».
Come valuta l’assenza del ministro Bondi?
«Il presidente Baratta l’ha in­vitato. Le persone del ministe­ro che si occupano di cinema verranno a vedere che tipo di produzione si può realizzare quando si riducono i finanziamenti».
Può chiarire co­me sono andate le cose con Pupi Avati?
«Non come sono state raccontate. Quando Ma­grelli e io abbiamo visto il film di Avati c’era solo Martone in concorso».
Dunque c’era ancora po­sto.
«Ma abbiamo un gruppo di esperti cui sottoporre le nostre preferenze. E ci siamo imbattu­ti in cinque voti contrari, men­tre le altre opere hanno avuto un consenso unanime».
Il giorno della visione Avati aveva inteso che si parlasse del concorso.
«Né io né Magrelli abbiamo promesso il concorso, ma ab­biamo parlato della proiezione alla commissione. E Pupi ha vi­sto la commozione mia e di En­rico ».
La decisione la prende la commissione?
«La decisione la prendo sem­pre io, ma di fronte a un parere negativo ho proposto un gala fuori concorso. Con il suo tem­peramento sanguigno Pupi l’ha presa male, lo capisco e mi spiace moltissimo. Ma era già stato tre volte fuori concorso, dove sono presenti cineasti di livello mondiale, e avrebbe po­tuto accettare di tornarci una quarta».
Concorda con Michele Pla­cido che si è opposto alla presenza di Vallanzasca al Lido per la proiezione del film sulla sua vita?
«Noi accogliamo le delega­zioni dei film. L’anno scorso l’abbiamo fatto con Hugo Cha­vez, protagonista del lungome­traggio di Oliver Stone. Quella di Placido è una lettura molto critica della vicenda di Vallan­zasca. Se ci avesse detto che nel­la sua delegazione ci sarebbe stato anche Vallan­za­sca ci saremmo at­trezzati.
Ma mi pare che Placido si sia espresso in modo inequivocabile».
La convivenza con la Festa di Roma miglio­ra o rimane una complica­zione?
«Sia noi sia Roma andiamo avanti ognuno per la propria strada. A noi non è mai succes­so di inciampare i­n film già pro­messi a Roma e dunque non di­sponibili per Venezia. Credo convenga che la Festa di Roma scelga una data più divaricata possibile da quella di Venezia».
Tarantino presidente di giuria, John Woo Leone d’oro alla carriera, la comi­cità protagonista della re­trospettiva, l’omaggio a Gassman: la qualità dei film sarà all’altezza degli eventi di contorno?
«Credo di sì. Non abbiamo mai eretto steccati tra cinema d’autore e cinema popolare.Ta­rantino ama il cinema in tutti i suoi stadi e mi ha posto come condizione la possibilità di fare più riunioni per poter discute­re di tutte le opere. Crediamo non sarà scontento dei film che dovrà giudicare».
Aldo Grasso ha criticato lo sdoganamento della comi­cità.
«Se Grasso avesse letto il pro­gramma si sarebbe accorto che la nostra operazione riguarda anche i comici del cinema mu­to, quelli degli anni Venti e Trenta, quando la risata era so­lo di regime. E forse avrebbe evi­tato di parlare dei cinepanetto­ni ».