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 2010  agosto 19 Giovedì calendario

PERCHE’ PASSIAMO TUTTO IL GIORNO SU INTERNET MA NON SUL WEB

(Attenzione! Il Sole ha tradotto solo la prima parte dell’articolo) -

Ti svegli e controlli l’e-mail nel tuo Ipad accanto al letto – ecco un’applicazione. Mentre fai colazione, apri Facebook, Twitter, e il New York Times – altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast nel tuo smartphone. Un’altra applicazione. Al lavoro, dai un’occhiata ai feed RSS nel loro lettore e comunichi con Skype e IM. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, torni a casa, ceni ascoltando Pandora, giochi con la Xbox Live e guardi un film sul servizio di streaming di Netflix. Hai trascorso tutto il giorno su Internet - ma non sul Web. E non sei l’unico.

Non è una differenza di poco conto. Negli ultimissimi anni, uno dei cambi più importanti nel mondo digitale è l’evoluzione dal Web aperto a piattaforme quasi chiuse che usano internet per veicolare l’informazione, ma non usano il browser per la visualizzazione. Ciò è in primo luogo dovuto al successo del modello di mobile computing iPhone, ed è un mondo in cui Google non può insinuarsi, e dove non regna l’HTML. Ed è il mondo che i consumatori scelgono sempre di più, non perché rifiutino l’idea del Web, ma perché queste piattaforme specializzate spesso funzionano semplicemente meglio oppure si adattano meglio alle loro vite (lo schermo va a loro, non devono andare loro allo schermo). Il fatto che sia più semplice per le imprese guadagnare con queste piattaforme non fa altro che rafforzare il trend. Produttori e consumatori si trovano d’accordo: il Web non è il culmine della rivoluzione digitale.

Dieci anni fa, l’ascesa del Web browser come centro del mondo informatico appariva come qualcosa di inevitabile. Sembrava solo questione di tempo perché il Web sostituisse i software applicativi dei PC e riducesse i sistemi operativi a "set di driver di basso perfezionamento" , come notoriamente ha detto il cofondatore di Netscape Marc Andreessen. Prima Java, poi Flash, quindi Ajax, e dopo ancora HTML5 – un codice online sempre più interattivo – promettevano di oscurare tutte le applicazioni e trasformare il desktop in un web top. Pubblico, libero, e fuori controllo.

Ma c’è sempre stato un percorso alternativo, che vedeva il Web come uno strumento valido, ma non come l’intera gamma di strumenti possibili. Nel 1997, Wired pubblicò l’ormai famigerato articolo di copertina "Push!", nel quale si sosteneva che fosse l’ora di "dare il bacio d’addio al browser". La teoria era che le tecnologie "push" come PointCast e l’Active Desktop di Microsoft avrebbero creato "un futuro radicalmente diverso di media al di là del Web".

«Di certo avremo sempre delle pagine Web. Abbiamo ancora le cartoline e i telegrammi, o no? Ma il centro dei media interattivi – sempre di più, il centro di gravità di tutti i media – si sta spostando verso un ambiente post-HTML», assicurammo quasi 15 anni fa. Gli esempi dell’epoca erano un po’ sciocchi - uno spazio in 3D da realtà virtuale alla Furry-MUCK, e «i titoli delle notizie inviati a dei cercapersone» - ma il punto fondamentale era nel complesso rivelatore: uno sguardo verso il futuro macchina a macchina in cui più che navigare si tratta di prendere qualcosa.