Pierluigi Panza, Corriere della Sera 19/8/2010, 19 agosto 2010
FRUTTI, FIORI, UCCELLI: SIMBOLI NASCOSTI DI CRISTO
All’exitus, il 18 luglio del 1 610, il suo liber vitae non risultava immacolato: l’omicidio di Ranuccio Tommasoni, il ferimento del notaio Mariano Pasqualone a causa della cortigiana Lena, le querele di Prudenzia Bruni per non aver pagato l’affitto, le spese matte ai dadi e alle carte, i giuli sperperati all’osteria della Lupa, le prostitute nei vicoli del Divino amore, la sessualità promiscua… Eppure il «valent’huomo», come amava definirsi, Michelangelo Merisi da Caravaggio è stato uno stracattolico: un uomo di formazione catto-pauperistica nello spirito di San Carlo Borromeo e un pittore che disseminava di allegorie cristiane anche le tele, apparentemente, più realiste o erotiche.
Se un dato critico emerge dalla pletora di iniziative in occasione dei quattrocento anni dalla morte del pittore credo sia quello contenuto in alcuni saggi raccolti nel numero che rilancia la collana di studi «Storia dell’arte» intitolato Da Caravaggio ai Caravaggeschi, realizzato dal Comitato Nazionale per il IV centenario e curato da Maurizio Calvesi e Alessandro Zuccari (Cam Editrice, pp. 616, 58). e La formazione milanese di Caravaggio avviene nelle parrocchie sotto la cura dello zio sacerdote. Qui forma la sua visione del mondo ispirata «a un cristianesimo pauperistico» (Zuccari): «Amava un cristianesimo delle origini nel solco di San Carlo Borromeo», ricorda Calvesi. Potremmo definire la sua ideologia una sorta di «cristianesimo di sinistra» che si opponeva ad alcuni aspetti della Controriforma lontani dalle esigenze dei poveri. Il giovane Merisi, per altro, avrebbe seguito le lezioni di catechismo che la marchesa Costanza Colonna, «come testimonia una preziosa lettera dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo a un suo collaboratore del 18 gennaio 1570, impartiva nei giorni festivi nel borgo caravaggino». È attestata dai documenti anche una partecipazione all’adorazione delle Sante Quaranta Ore (nel 1594) e la sua presenza nell’abitazione romana di monsignor Pandolfo Pucci, detto «monsignor insalata», per il suo stile sobrio e pauperistico.
Alla luce della grammatica iconologica cristiana della fine del Cinquecento, si scopre che Caravaggio nasconde nei suoi quadri romani una ricca serie di simboli cristiani che riflettono tutta questa formazione ambrosiana. E non solo nei dipinti religiosi, ma anche in quadri apparentemente realistici, come quelli dedicati ai suonatori di liuto, alle canestre di frutta e a una umanità plebea.
Nei dipinti religiosi alcune allegorie sono evidenti: nel luglio del 1600 il significato pittorico della Cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, ad esempio, era una metafora teologica che «assimilava l’ombra alla tenebra del peccato e il fendente di luce al lume soprannaturale della Grazia» (Calvesi).
Ma anche nelle tele profane l’allegoria cattolica è presente. Anche se nascosta. Basta decifrarla. Intanto, nel ’500, «l’Eucarestia è Charitas e Fructus », scrive nel suo saggio Dalma Frascarelli dando un importante codice di lettura. E sempre i testi del Concilio Tridentino associano il Santissimo sacramento all’ «admirabiles fructus»: l’Eucarestia, Cristo, è il frutto di Dio agli uomini. Quindi, non solo la Canestra di frutta dell’Ambrosiana è Cristo, ma lo sono anche le canestre disposte sui tavoli di quadri a forte contenuto sensuale, come il Ragazzo con il cesto di frutta della Galleria Borghese. «Questo quadro, da cui Caravaggio ha estrapolato la Canestra rimanda, in termini simbolici, al sacrificio di Cristo e all’oblazione che i cristiani sono chiamati a portare all’altare, in segno di imitatio Christi ». Anche la bocca socchiusa e la spalla nuda del ragazzo che regge il cesto alluderebbero all’offerta (omosessuale) del proprio corpo. Si tratta di leggere l’opera alla luce della predicazione del tempo, come quella di San Carlo Borromeo del 12 giugno 1583: «Ciò che per la primitiva Chiesa era Cristo è per noi l’Eucarestia; anche la sua forza è la medesima, e voi riceverete gli stessi frutti».
Analoghe considerazione si possono trarre dalla frutta disposta sul tavolo del Suonatore di liuto dell’Ermitage, «che può essere interpretato come lo sposo del Cantico dei Cantici» (Calvesi). In questo quadro è presente anche un vaso di fiori con al centro il giglio, che simbolizza la purezza e lo stesso Cristo.
Ma a proposito di suonatori di liuto, anche quello in collezione privata a New York nasconde un particolare cristologico: cos’è e da dove viene, infatti, l’uccellino nella gabbietta seminascosta appesa alla parete? È una citazione dal mosaico absidale di Santa Maria in Trastevere (XIII secolo) dove, tra i profeti Isaia e Geremia, si vede la stessa gabbietta con l’uccellino: il riferimento, spiega Calvesi, è a «Gesù imprigionato nella carne a causa dei nostri peccati», come si deduce anche dai cartigli che i due profeti reggono nelle loro mani. A questo simbolo si aggiunge anche quello della spinetta o virginale, lo strumento musicale simbolo di purezza, che in questa tela sostituisce il giglio.