Corriere della Sera, 15, 18, 19/8/2010, 19 agosto 2010
POLEMICA MIMUN-BORRELLI SUL TG
(due interviste e una lettera) -
ROMA — Clemente Mimun, anche lei scrive un libro di memorie...
«Per le memorie c’è tempo. Solo appunti che riordino per divertimento».
Peschi un episodio. Ma che abbia il sapore della politica
«Una certa edizione del Tg1 delle 20. Preparo la scaletta a uso interno a metà pomeriggio. Mi chiama alle 17.30 un leader della sinistra, che non nomino perché ora conta poco: "Come mai la mia dichiarazione non appare nel Tg di stasera"? Alla Rai succede. Gente che riferisce ai partiti. Si arriva alle proteste anticipate a Tg ancora non trasmesso. Io rispondo: "Faccio finta di non aver mai ricevuto questa telefonata"».
A chi affiderà questo librino, diciamo, di appunti?
«Preferirei un piccolo editore. Vedo troppi storici Rai improvvisati che raccontano una loro non-verità. Per esempio Giulio Borrelli ha esagerato. Mi ha tirato in ballo perché sono stato in Rai poi in Mediaset per tornare in Rai... Dimentica che lui è arrivato da "l’Unità", più che organico al partito. Che poteva contare sulla protezione di Roberto Morrione, gran professionista che, lui sì, avrebbe meritato di dirigere il Tg1, ma anche militante Pci, poi Pds e Ds, infine Pd. Che alla direzione del Tg1 lo mise D’Alema. Mi dispiace di averlo trattato sempre con i guanti bianchi». In quale occasione, Mimun? «Da direttore conquistai personalmente un’intervista a Bush nel 2002. La passai a lui come corrispondente. Sono stato uno sciocco. Ora ha scritto quel libro perché è a un passo dalla pensione e poiché molti del tg1 hanno trovato posto in Parlamento. Si sarà detto: non si sa mai...».
Nel suo futuro libro di appunti chi citerà del Tg1?
«Per esempio Lilli Gruber. Indubbiamente brava. Mi è simpatica perché è una belva e non fa niente per nasconderlo. La portai io al Tg1. Mi chiamò al tempo della nomina di Bruno Vespa alla direzione. Non ci avevo mai preso nemmeno un caffè prima. A Vespa l’idea piacque. Lilli lo ricompensò dopo, capeggiando la rivolta al Tg1 contro di lui. Ricordo con divertimento, durante l’ultimo conflitto iracheno, cosa disse di colleghi e colleghe inviati, li massacrò. Con meno divertimento ricordo quando definì "resistenza" quella irachena e "mercenari" i poveri Quattrocchi e compagni. Protestarono tanti, anche da sinistra. Quando tornò da Baghdad trovò un mio mazzo di fiori, finì in diretta a "Domenica in" con standing ovation. Le chiesero: qual è stata la prima cosa che ha fatto? Rispose: riabbracciare mio marito. Però aveva trascorso con lui, che è un coll ega, tuttoil periodo. Lilli ha l’istinto del giornalismo e insieme della scena».
Però urge un ricordo positivo verso qualcuno, a questo punto.
«Vincenzo Mollica. Gli proposi prima una vicedirezione al Tg2 e poi al Tg1. Rifiutò sempre: "Ti prego, preferisco fare ciò che faccio". Unico in tutta la Rai. Scoprii che guadagnava una miseria rispetto ad altri colleghi. Lo nominai caporedattore. Comunque la Rai è piena di ottimi operatori, montatori, maestranze varie che lavorano senza guardare alla politica».
In quanto ai giornalisti, ce ne saranno di bravi...
«Penso ai molti che ho lanciato: Stefano Campagna, Valentina Bisti, Luigi Monfredi. Alla grande capacità di Claudio Fico. Ho avuto feeling professionale con Riccardo Colzi, ora tornato al Tg3 di Bianca Berlinguer. Gente che lavora. Non divi».
In quanto ai conduttori, accusati proprio di divismo?
«Se guardo Francesco Giorgino, mi chiedo se ci sia un suo gesto privo di un calcolo. Dirigevo il Tg2, lui era a Sanremo per un Dopofestival. Mi vide e mi salutò in diretta: ecco Mimun, un grande direttore, speriamo venga presto da noi... Mi vergognai per lui. Poi, quando ero al timone del Tg1, lui che era sempre stato di centrodestra, in un momento politicamente complicato, in un’intervista prese le distanze da Berlusconi e attaccò la mia gestione. Non ebbi dubbi: io lo avevo portato all’edizione delle 20 e io di lì lo tolsi. Fui tormentato da decine di telefonate. Mi dicevano: è pentito, va perdonato. Dal cinema. Dai vertici aziendali. Dalle alte sfere del mondo della comunicazione del Vaticano. Parliamo di una persona che ha scritto un manuale di giornalismo e non ha messo in copertina una foto di McLuhan. Ma di se stesso».
Ci sarà un episodio non «politico», per finire...
«Ma sì. Al Tg2 chiedo l’elenco dei precari per assumerne uno bravo. Trovo il nome di Enrico Lucci, già bravissima Iena. Lo chiamo, lui viene. Gli propongo un’assunzione dicendogli: tu adesso hai la fama e un po’ di soldi, ma chissà quanto dura, io ti posso garantire meno riflettori però un contratto a vita. Lui ci pensa un giorno e mi dice no, non se la sente di accettare poi mi chiede: "Clemente, per favore, facciamo che non sono mai venuto qui, altrimenti mi tolgono dall’elenco dei precari Rai...". Fantastico, sincero, autentico».
Paolo Conti, Corriere della Sera 15/8/2010
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ROMA — «Ho scritto il mio libro Le mani sul Tg1 uscito da Coniglio editore non per attaccare qualcuno ma per ricostruire la mia biografia professionale spesso calpestata da chi non mi perdona di aver abbattuto tanti tabù legati al tg ammiraglio della Rai. Io non mi innalzo a storico e non assegno pagelle. Invece Clemente Mimun lo fa, sputa veleni ed emette giudizi, proprio lui che proviene dalla scuderia di Arcore. E certi attacchi dimostrano quanto quel libro sia "scomodo"».
Tempi di rendiconti tra ex direttori del Tg1. Due giorni fa Clemente Mimun, seguendo il filo di alcuni appunti, aveva risposto duramente a Borrelli, che nel suo libro lo descrive come un giornalista che entra ed esce continuamente dalla Rai e da Mediaset. Mimun ha ribattuto: parla lui che venne messo al Tg1 da D’Alema. Ma non fu così, Giulio Borrelli? «Tutto falso. Venni nominato nel giugno ’98 e smisi nel giugno 2000. A Palazzo Chigi c’era Prodi. D’Alema sarebbe diventato presidente del Consiglio il 21 ottobre 1998». Dunque fu Prodi... «Dopo due brevi direzioni di esterni, Rodolfo Brancoli e Marcello Sorgi passato alla Stampa, si decise per un interno. Prodi lo sapeva e non oppose veti».
Mimun dice di essersi pentito di averla aiutata a ottenere un’intervista da George Bush, e di avergliela «passata».
«Mimun sbaglia date. Ho realizzato tre interviste a George Bush. La prima risale al 2001, cioè a quando lui dirigeva il Tg2. Per la seconda si spese per ottenerla come avrebbe fatto qualsiasi altro direttore del Tg1 nelle sue condizioni». Ma se lei fosse stato direttore del «Tg1» cosa avrebbe fatto?
«Dico che un’intervista al presidente degli Stati Uniti è la massima aspirazione di qualsiasi giornalista del mondo. Se Mimun ci teneva tanto, perché non l’ha realizzata lui? Perché dire ora che mi "trattava in guanti bianchi"? E se davvero era così allora, perché riparlarne oggi con inutile cattiveria?».
Mimun le ricorda la sua origine: la redazione de «l’Unità».
«Mai negato. Anzi, ne vado fiero. Un capitolo del mio libro si intitolava "Andavamo in via dei Taurini", dove c’era il palazzone de l’Unità e di Paese sera, due grandi fucine di giornalisti italiani poi approdati ad altre esperienze».
Perché lei sostiene che il suo libro è «scomodo»?
«Semplicemente perché dimostra come una certa lobby politico-editorial-giornalistica trasversale imponga la nomina di direttori del Tg1 esterni alla Rai non per migliorare il prodotto ma per assoggettare l’informazione del servizio pubblico al potente di turno».
Paolo Conti, Corriere 18/8/2010
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Nell’intervista pubblicata ieri dal Corriere Giulio Borrelli conferma che gli ho ceduto una intervista al presidente degli Stati Uniti, nega di essere stato indicato alla direzione del Tg1 da D’Alema, e mi inserisce nella scuderia di Arcore. Io faccio il giornalista dalla metà degli anni ’70, ho lavorato in Rai 20 anni e a Mediaset per 5,nel 1990 ero già caporedattore dei servizi speciali e, allora, ignoravo persino l’esistenza di Arcore. Borrelli viene dalla cucciolata de l’Unità ed è stato nominato certamente dal centrosinistra, col sostegno di D’Alema. Che strani questi giornalisti di sinistra, quando vengono nominati loro è opera dello spirito santo, se capita a qualcuno che la pensa diversamente, è un servo del padrone. Non sarebbe più semplice dire la verità, e cioè che è la politica che da sempre fa le nomine in Viale Mazzini? Mi felicito, infine, con Borrelli che ha fatto tesoro dell’esperienza negli States, dove ha conosciuto l’economia di mercato. Ora sa che la pubblicità è l’anima del commercio e la usa per propagandare il suo volumetto. Ad maiora.
Clemente Mimun
Direttore Tg5
Corriere, 19/8/2010