Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 18/8/2010, pagina 72, 18 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
3 maggio 1938
Due dittatori e un intruso
Altro che apoteosi del nazifascismo. La visita ufficiale di Adolf Hitler in Italia si rivela la parodia di un film di Chaplin. Il Führer scende dal treno alla stazione Ostiense, scambia saluti romani col suo Duce adorato e sta per salire in auto accanto a lui quando viene dirottato sulla carrozza reale. In base al cerimoniale, il capo dello Stato tedesco deve viaggiare con l’omologo italiano, che non è Mussolini ma il Re. I cinque chilometri di tragitto notturno dalla stazione al Quirinale, fra ali di folla inesorabilmente «festante» e fuochi che illuminano i monumenti della Roma imperiale, si rivelano una sofferenza per tutti. Per il Duce, che vorrebbe essere sulla carrozza e invidia l’allievo tedesco, capo dello Stato e delle forze armate mentre lui è solo Primo Maresciallo dell’Impero e anche lì bisognava aver visto la faccia del Re quando ha saputo della nomina. Per Vittorio Emanuele, che nei confronti del Führer prova una ripugnanza quasi fisica («È una specie di degenerato», dirà). Ma soprattutto per Hitler: non capisce come mai Mussolini non abbia ancora internato in ospizio quel vecchietto insulso, che per rompere il ghiaccio gli ha chiesto quanti chiodi abbiano le scarpe dei soldati della Wehrmacht. Arrivati al Quirinale, il Führer si congeda con un sospiro di sollievo, ma a mezzanotte lo si sente strillare in tedesco nei corridoi: «Voglio una donna!». Momenti di panico fra i corazzieri. In realtà chiede una donna delle pulizie che gli rifaccia il letto un po’ meglio.
Il giorno dopo, Hitler si vendica del sovrano sperticandosi in elogi per Mussolini. «Conservate pure quel mobile di velluto e oro, ma metteteci sopra il Duce!», sbotta il gerarca Goebbels in visita alla Sala del Trono. «Quello lì», e indica il Re, «è troppo piccolo». Vittorio Emanuele si morde la lingua in pubblico, ma in privato sparla senza ritegno degli ospiti: «I tedeschi sono mentitori costanti. Come i preti e le donne: gli dai un dito e si prendono il braccio». E Mussolini? È in imbarazzo. Non ricambia l’adorazione di Hitler, però ne ammira l’energia vitale (che lui non ha più) e ne subisce il fascino, sorbendosi in silenzio i suoi terrificanti monologhi. La verità è che si vergogna a farsi vedere dai nazisti così poco risoluto nei confronti del Savoia. Il quale si permette persino di sfotterlo: «Sapete, caro Duce, che i tedeschi vi chiamano il gauleiter (governatore regionale, ndr) d’Italia?». Mussolini si sfoga con Galeazzo Ciano, genero e ministro degli Esteri: «Basta, ne ho le scatole piene. Io lavoro e lui firma. Aspetto ancora perché ha settant’anni e spero che la natura mi aiuti». Forse ha in mente di seppellire col Re anche la monarchia. Ma il suo amico Hitler non gliene lascerà il tempo.