Davide Giacalone, Libero 18/8/2010, 18 agosto 2010
LA PRIMA REPUBBLICA È MORTA NAPOLITANO DEVE RASSEGNARSI
Abbiamo la classe politica più vecchia del mon-do democratico. Anagraficamente e come anzianità di servizio. Nell’età in cui, altrove, si scrivono le memorie, da noi ancora si cerca di fare il gioco delle tre carte sul passato, in modo da guadagnarsi una porzione di futuro. Taluni dei protagonisti sono più che maturi per Villa Arzilla, altri si muovono ancora famelici, come nell’isola di Jurassic Park. La nostra è Jurassic Politik. Martedì è morto Francesco Cossiga. Uno dei più grandi dinosauri, con alle spalle tanto onorato servizio e non minori depistaggi. Nel finto lutto generale s’è finito per occultare l’unica vera notizia, ovvero il suo rifiuto dei funerali di Stato, e con il raccontare bubbole sull’epoca in cui la sinistra voleva cacciarlo dal consesso civile, accusandolo di avere tradito la Costituzione. Due cose sulle quali, invece, desidero esercitare il piacere della memoria, tanto più che la questione riguarda l’oggi, e l’attuale inquilino del Quirinale.
Cossiga era uno dei pochi democristiani ad avere un profondo senso dello Stato. Non era Andreotti, che tende a considerarsi cittadino di quel che sta dall’altra parte delle mura leonine. S’è congedato inviando lettere nelle quali testimonia la sua deferenza alle istituzioni. Eppure rifiuta i funerali di Stato. Perché? I sopravvissuti di Jurassic Politik si sono capiti al volo, cercando di farla passare in sordina. I soliti pensosi, che firmano pezzi ponderosi, non hanno ritenuto di partorire neanche un pensierino. Perché Cossiga autorizza i politici a far quel che loro pare solo dopo essere stato seppellito, in Sardegna? Penso che abbia così disposto perché una cosa sono le istituzioni e altra gli uomini che le abitano (temporaneamente), e se le prime si onorano i secondi possono anche essere tenuti a distanza. Il Presidente emerito aveva un pessimo concetto della seconda Repubblica, e se ne va al Creatore senza tirarsela appresso. Inoltre, credo abbia voluto rendere omaggio all’altro statista che rifiutò i funerali di Stato: Aldo Moro. Nel club giurassico si tende anche a coprire le tracce del passato, raccontandoselo come più fa comodo. Ad esempio: è una superba bubbola che la corrente migliorista del Partito Democratico della Sinistra, fresca filiazione del sempre stato Pci, si sia opposta alla messa in stato d’accusa di Cossiga. L’odierno Quirinale, dopo avere irritualmente sollevato la questione dell’impeachment, ha indirizzato i commentatori più disponibili, suggerendo loro che fu contrario alla messa in stato d’accusa di Cossiga. Ciò, però, testimonia il massimo dell’incoerenza, perché quando Achille Occhetto propose di far fuori Cossiga Napolitano sostenne che non era il caso di avviare una procedura formale, essendo più conveniente criticare e attaccare il Presidente per indurlo alle dimissioni, come già avevano fatto con Giovanni Leone, ovvero l’esatto opposto di quel che oggi indica e reclama, intimando che chi lo critica avrebbe il dovere di far ricorso all’articolo 90 della Costituzione.
Ma limitarsi a constatare l’incoerenza è sciocco. Si deve essere capaci di guardare alla ragione delle cose. La presidenza della Repubblica cominciò ad essere una cosa diversa con Sandro Pertini. Il vecchio demagogo socialista aveva, però, un argine, rappresentato da un solido mondo politico. Cossiga fu il suo successore. Ebbe il merito di capire le conseguenze della fine della guerra fredda, e il demerito di non riuscire a far altro che distruggere quel che si sarebbe distrutto. Il Colle più alto si allontanò dal binario costituzionale. Non c’è più rientrato, né sarebbe possibile, perché tutto è cambiato, a cominciare dal fatto che non esistono più i partiti politici. In tali condizioni Napolitano reclama per sé il contrario di quel che egli stesso fece a Cossiga, e lo fa (suppongo) in buona fede, considerandosi uno degli ultimi ancoraggi di un’impalcatura costituzionale oramai sbilenca. Non s’avvede, forse, o non vuole avvedersi, che come nell’isola di Jurassic non si può pretendere che il passato viva nel presente. E se lo si ottiene con la forza non si provoca che il disastro. È vero che molti giovani hanno idee a dir poco confuse, che manca un sano desiderio di prendere in mano la realtà e costruirsi il proprio mondo, di affermare la voglia del cambiamento, assopendosi nell’accomodamento. È vero. Ma è anche vero che da noi il tempo sembra essersi fermato, che i vecchi non scollano se non per trapasso, prepotentemente disposti a negare se stessi, pur di non mollare la presa. Ad un certo punto, si dovrà pur dire: basta.