Chicco Testa, Il Riformista 18/8/2010, 18 agosto 2010
VEDI CHE TI CAPITA SE CHIEDI VINO BUONO PER TUTTI
Ricapitoliamo i fatti prima di tutto. Carlino Petrini, meritorio fondatore prima di Arci-Gola e poi di Slow Food, movimenti inizialmente dediti alla conoscenza del buon vino e del buon cibo e successivamente anche suggeritori di politiche agricole e alimentari per lo meno discutibili, scrive un articolo per Repubblica. Nel quale, in sintesi, afferma che a causa della stagione climaticamente molto buona c’è da attendersi una vendemmia eccezionale con conseguente caduta dei prezzi anche per vini di qualità come Barolo e Barbaresco, rintracciabili sul mercato, sono parole sue, a 2,5 euro al litro il primo, stiamo naturalmente parlando di vino sfuso, ed addirittura a un euro il secondo. Petrini non contesta la qualità di questi vini, seppur sicuramente inferiore a quella di altri vini dello stesso genere, selezionati e lavorati in grandi cantine. Propone piuttosto che, seguendo ciò che per esempio fanno i produttori di champagne (!) francesi, si facciano accordi per limitare la produzione e addirittura, in maniera paradossale, ma a questo punto piuttosto conseguente, ipotizza che una bella grandinata possa ristabilire una corretta condizione di scarsità. Dal che io deduco due cose, mi pare logiche. Che una buona annata, benedetta da un clima favorevole, è da considerarsi una sciagura. E che il prezzo basso di un buon vino sia altrettanto da considerarsi una sciagura. Semplice e comprensibile, mi pare. E mi domando che senso abbia una politica che, anziché gioire di una buona qualità a basso prezzo, si auguri la stessa, ma a prezzi alti. E faccio un po’ di lecita ironia su un movimento politico-culturale che ritiene che i bevitori di Tavernello non possano accedere al Barolo. Attenzione, stiamo parlando di vini sfusi, quelli che vengono venduti la domenica ai turisti, nelle piazze dei paesi e nelle tante mescite, come da sempre si fa con altri vini nobili come Chianti e Sangiovese vari. Non certo delle bottiglie d’annata delle grandi cantine, che continueranno a mantenere i loro prezzi con i loro ottimi ricarichi.
Apriti cielo. In 24 ore mi becco una caterva di critiche e anche di insulti, da varie parti. Il Corriere della Sera riesce a costruire un articolo, che ben avrebbe figurato su Chi o Novella 2000. E gli altri critici da lì partono per parlare di tutto meno che dell’argomento in questione. Nessuno che si sia andato a leggere l’articolo originario, ma ci si ferma a quattro parole che il giornalista di Chi, pardon del Corriere della Sera, mi mette in bocca. Così il Manifesto, con un ritorno alle origini, tira in ballo i metalmeccanici, non si capisce a che proposito, se non per dire che il sottoscritto, notoriamente appartenente alla categoria dei radical-chic (dio mio!) non è autorizzato ad occuparsi dei consumi alimentari dei non-ricchi (va bene così?). Altri, più manifestamente, prendono le parti dei grandi produttori di vino, evidentemente infastiditi dal fatto che sul mercato si possa trovare vino buono a prezzi decenti. Paolo Massobrio sulla Stampa per esempio si domanda: «E chi se lo beve tutto questo vino, a fronte di cantine che sono piene di invenduto, e non da oggi?». Appunto, se c’è troppo vino e non viene venduto forse è perchè c’è un problema di prezzo oltre che di quantità. Visto che comunque c’è un sacco di gente che continua a bere, per ragioni di portafoglio, vino di non eccelsa qualità. Categoria di persone della quale nessuno sembra occuparsi visto che il politically correct impone di parlare solo di enoteche, guide enogastronomiche e ristoranti con varie stelle.
Ora un pochino di come funzionano l’economia e il mercato lo sappiamo tutti. Se sul mercato c’è troppo vino e non si vende qualcuno chiuderà i battenti, le quantità diminuiranno e i prezzi torneranno a salire fino a trovare il loro equilibrio. Molti dei grandi e buoni vini italiani vengono fra l‘altro da outsider, che se ne sono fregati delle varie denominazioni DOC e quant’altro e si sono affidati al gusto e al palato dei consumatori. Ai quali, credete, occorre forse dare più fiducia e magari segnalare loro che, grazie al buon clima, quest’anno, con un po’ di intelligenza sarà possibile bere bene, tutti i giorni e a prezzi decenti. Insomma un bel low cost, che dopo aver reso accessibile tante altre cose prima riservate a pochi, lo fa anche con il vino.
Se invece tutta questa discussione è il preannuncio di richieste di nuove norme di protezione, magari di ulteriori sussidi, di misure di cosiddetta “programmazione”, con commissioni ministeriali (e regionali) di esperti al lavoro per decidere chi può fare i soldi e chi no e che cosa dobbiamo bere, il tutto in nome dell’ italianità, della piemontesità, della toscanità, della sicilianità e di tutto l’armamentario burocratico, travestito da difesa delle tradizioni popolari, beh… allora lasciateci in pace.
Che si debba arrivare a lamentarsi di una buona stagione e di prezzi bassi per la roba buona è proprio il segno di come ormai questo nostro Paese si sia capovolto a testa in giù.