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 2010  agosto 18 Mercoledì calendario

IO «GIOVANE COMUNISTA», LE TELEFONATE MATTUTINE E IL DISCORSO DI EDIMBURGO

Tutti abbiamo almeno un ricordo di Cossiga. Quando diventai direttore dell’ “Unità” per la prima volta, un dirigente di primo piano del Partito mi disse: «Vedrai che adesso Cossiga ti chiamerà tutti i giorni». Lo fece, ma con scadenza più accettabile. Lunghe telefonate mattutine, veri monologhi e il solito brusco saluto. Ricordo quando venne in vista al giornale, diretto da Veltroni, e volle conoscere i fratelli Cipriani che erano i nostri cronisti giudiziari di punta, specialisti nel rintracciare i mille fili delle trame che avevano sconvolto il paese a cui regalò alcuni libri. A Cossiga sono sempre piaciuti i comunisti. Doveva essere un vezzo dei vecchi democristiani. Ricordo le chiacchierate in Transatlantico con De Mita quando arrampicandosi nei suoi fantastici ragionamenti concludeva sempre, rivolgendosi a me che già marciavo verso i sessanta «…perché voi giovani comunisti dovete capire…». Sicuramente i comunisti e quelli che sono venuti dopo non hanno capito Francesco Cossiga.
Per anni è stato la bestia nera della sinistra. E’ stato deriso, temuto, odiato come pochi. E lui reagiva talvolta con brutale cattiveria altre volte mostrandosi mansueto e coinvolgente. Chiamava i dirigenti per nome, dava loro consigli, era formidabile quando fingeva di mettersi nei panni del vecchio comunista. Non so come la gente di sinistra ha appreso la notizia della sua morte. Credo di sapere che il nostro popolo non lo amava. Soprattutto perché Cossiga è stato al centro di uno dei più aspri scontri politici degli anni Novanta. Quando, dopo un lungo periodo di silenzio, cominciò a picconare il sistema politico italiano la sinistra iniziò a diffidare di lui. Quelle esternazioni erano così lontane dal prototipo di uomo di Stato che tutti volevano celebrare. La richiesta di dimissioni fu accolta come una liberazione. Eppure questo sardo taciturno che si era imbiancato sulla testa e sul volto nei giorni tragici del rapimento Moro era stato per lungo tempo l’idealtipo del democristiano affidabile al punto da fare man bassa di voti parlamentari quando si trattò di eleggerlo al Quirinale. Chi ha conosciuto la base del Pci sa che spesso viveva di proprie leggende metropolitane in cui la storia della politica veniva raccontata in modo semplificato distinguendo in modo netto gli amici dai nemici. E questo deputato silenzioso godeva di buona fama anche perché era parente di Enrico Berlinguer. E poi la storia dei suoi rapporti con Pecchioli, il ministro degli Interni del Pci, rassicurava tutti. Negli anni del terrorismo quel “K” sui muri non lo abbiamo mai scritto noi. Abbiamo fatto peggio. Ad un certo punto, dimenticando vecchie frequentazioni e solidarietà dei tempi duri, lo abbiamo messo sotto stato di accusa chiedendone le dimissioni dopo l’ennesima dichiarazione travolgente.
Eppure la prima “picconata” Francesco Cossiga la dette a nostro favore. Il Capo dello stato capì immediatamente che cosa stava per accadere nel mondo quando cascò il Muro di Berlino. Ne parlò nel messaggio di fine anno nell’89 ma fu alcuni mesi dopo, si era oltre la metà del Novanta, che pronunciò le parole più impegnative. Lo fece durante una visita in Scozia. Il discorso che pronunciò a Edimburgo doveva sancire la fine della nuova conventio ad excludendum che, dopo la fine del compromesso storico e dopo l’avvento del Caf e il preambolo Forlani, aveva nuovamente spaccato in due l’Italia. Cossiga si rivolse alla politica italiana chiedendole di «ampliare l’ambito della democrazia» con l’apertura a quel mondo comunista che aveva già elogiato per come stava reagendo al vento nuovo che veniva dall’Est. Parole impegnative che avrebbero potuto cambiare il corso della politica italiana e che suscitarono malumori e dissensi espliciti. Il discorso “inglese” non piacque, infatti, a Bettino Craxi che lo giudicò al limite della violazione del galateo costituzionale.
Neppure la sinistra che stava per abbandonare il Pci colse quella occasione. Racconterà qualche tempo dopo lo stesso Cossiga che mentre stava preparando il discorso di Edimburgo venne informato della bufera che si stava aprendo sul “caso Gladio”. Le rivelazioni sull’inchiesta del giudice Casson stavano sconvolgendo la politica italiana e l’apertura di Cossiga che in tempi normali avrebbe avuto la forza di un terremoto passarono in seconda linea. Sappiamo come andò. Andreotti ammise l’esistenza di Gladio, una parte del paese si convinse che quella organizzazione era al centro di tutte le trame oscure che avevano insanguinato il paese, la sinistra ruppe con Cossiga che di Gladio si presentò come lo strenuo difensore.
Il discorso di Edimburgo è stato dimenticato come reperto archeologico. Non lo si trova neppure su Internet. Apparteneva a un tempo in cui l’ossessione della politica era quella di ampliare i suoi ambiti. Poi è venuta l’altra politica quella in cui sono stati eretti nuovi steccati. E Edimburgo si è allontanata definitivamente.