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 2010  agosto 18 Mercoledì calendario

MISSILI, COMPUTER E AUTO PECHINO BLINDA IL CONTROLLO SUI 17 MINERALI DELL’HI-TECH

Se qualcuno vuole sapere dove va il mondo, può prendere nota di un indizio: i tank della Us Army sono «made in China». Non solo i carri armati, lo sono anche i missili intelligenti che inseguono il bersaglio. E con quelli anche alcuni dei radar militari più sofisticati o i motori ibridi degli incrociatori della Marina.

Ovviamente non tutto di questi armamenti prodotti da grandi gruppi Usa come Lockheed Martin, Northrop Grumman o General Dynamics è «made in China». Vengono da lì solo quelle piccole, invisibili componenti magnetiche che consentono a queste tecnologie di funzionare. Si tratta di 17 elementi della tavola periodica dai curiosi nomi come lutezio, ittrio, scandio, europio o neodimio. Sono le materie prime del futuro, quelle alla base di gran parte delle tecnologie più promettenti del ventunesimo secolo: dalle auto ibride, alle pale eoliche, agli smartphone.

Una loro qualità minerale è che esercitano un magnetismo resistente ad altissime temperature. Ma la particolarità strategica più vistosa è che il 97% della produzione globale di questi materiali viene dalla Cina. Sia per uso commerciale, che per le tecnologie militari. E Pechino mostra tutte le intenzioni di far leva sul suo potere di mercato in questo campo per obbligare il resto del mondo ad accettare le proprie condizioni: queste comportano non solo un trasferimento netto di capitali, ma anche di lavoro e soprattutto di segreti industriali dall’Occidente verso la Repubblica Popolare.

I rapporti di forza in questo campo sono tutti a favore della Cina, nota un rapporto dell’aprile scorso del Government Accountability Office (Gao) dell’amministrazione Usa. Senza questi 17 elementi rari della terra, non è possibile produrre niente di tutto ciò che oggi dà speranza all’industria più avanzata. Il neodimio per esempio è l’elemento essenziale per la produzione di batterie e motori delle auto ibride o elettriche, per l’hardware dei computer, per i cellulari e per le telecamere. In campo militare, con l’ossido neodimio sono composti i magneti che azionano le ali direzionali dei missili di precisione. Con l’europio e l’ittrio si producono invece le fibre ottiche e le lampadine «verdi», lo scandio è la materia prima dell’illuminazione da stadio, mentre il prometio serve per i macchinari medicali di ultima generazione. Da Philips a Siemens, da Toyota a Nokia, a Hewlett Packard a Apple, fino a Sony e Canon: nessuna grande multinazionale delle democrazie industriali può produrre i propri beni più preziosi senza rifornirsi in Cina di questi 17 materiali rari. Senza, la vita sarebbe diversa.

Il problema è che la Cina non vende, o vende sempre meno e a condizioni sempre più difficili: anziché esportare gli elementi, vuole che far produrre in Cina le tecnologie estere che li integrano. Secondo quanto riferisce il rapporto del Gao al Senato Usa, il monopolio di Pechino in questo campo in realtà è frutto della lungimiranza del governo più che della dotazione di materie prime. In Cina si trova il 37% delle riserve conosciute di questi 17 elementi, nell’ex Urss il 18%, negli Stati Uniti il 12%. Ma la Russia non ha i mezzi per l’estrazione e l’America negli ultimi 12 anni l’ha bloccata (a Mountain Pass, in California) in nome della tutela ambientale. I minerali rari sono infatti spesso uniti a sostanze radioattive e le miniere inquinano le acque dell’area circostante: in una democrazia nessuno le vuole avere vicino a casa propria. Servono tecnologie di tutela dei minatori, investimenti elevati, complesse autorizzazioni, tutto ciò di cui la Cina non si interessa. Anche se volesse, l’America avrebbe bisogno di altri 15 anni per rilanciare l’estrazione (e a costi ben più alti che in Cina).

Da qui il potere di Pechino sulle materie prime del futuro, che il governo ora usa come una leva sul resto del mondo. In primavera ha alzato i dazi all’export al 25%, a luglio ha tagliato le quote delle vendite all’estero del 72% per il 2010. L’anno prossimo esporterà solo il 60% del fabbisogno globale e, per il resto, propone alle multinazionali di venire a produrre dove si trova la materia prima. Per capire perché lo faccia, basta seguire le proteste di Siemens, Basf, General Electric: accusano il governo di Wen Jiabao di rubare metodicamente il know-how dei suoi «ospiti».