Paolo Rumiz, la Repubblica 18/8/2010, 18 agosto 2010
Puntata n.15 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) IL FRATE CON LA SCIMITARRA - Sicilia, vento africano, stoppie bruciate, orchestrine di cicale verso il mare a Selinunte
Puntata n.15 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) IL FRATE CON LA SCIMITARRA - Sicilia, vento africano, stoppie bruciate, orchestrine di cicale verso il mare a Selinunte. E ancora vigne, torri eoliche, cani resi folli dalla sete, il muezzin di Mazara che chiama alla preghiera, lontano. Un altro mondo. Lo so. Ora dovrei parlarvi di Marsala, della bandiera cucita a Salemi, o delle navi inglesi che protessero lo sbarco solo per impedire che i borbonici cannoneggiassero le loro botti di vino sui moli. Potrei dirvi di Calatafimi, dove i napoletani ebbero più paura dei picciotti che delle furie rosse del Nord. Ne parlano Alberto Mario, Bandi e Abba. Ma Nievo è il più terrificante: «I napoletani assaliti dalla squadra di Partenico si ritirano lasciando morti e feriti che sono squartati, abbruciati e dati da mangiare ai cani in questo paese». Quando Bandi cade accanto a un borbonico ferito, quello sbianca, poi - rassicurato - bacia le mani al nemico dicendo: meno male, credevo foste siciliano. Niente di tutto questo. Oggi vado alla ricerca di un grande dimenticato. Giovanni Pantaleo, il frate cappuccino bello e forte come un re leone, che a Castelvetrano si mette al servizio di Garibaldi con tonaca e scimitarra e resterà con lui per sempre. L´uomo che diventa l´arma segreta del Generale, lo precede a cavallo e convince i parroci a rinunciare alla resistenza. Quando Alcamo aspetta con le armi in pugno un nemico che ritiene barbaro e senza Dio, Pantaleo va a parlamentare e, poiché la Sicilia val bene una messa, promette che Garibaldi bacerà il Santissimo. Garibaldi lo farà, e la folla in delirio gli aprirà la strada per Palermo. Bella Castelvetrano, la mia camicia rossa brilla tra palazzi normanni e aragonesi. Il monastero benedettino ora è un liceo col nome del frate patriota. Al teatro Selinus c´è appena stata una festa per l´unità della scuola media Pappalardo. Entro e trovo mamme in allerta, cori di maschietti, bambine in tutù, coccarde, una polacca di Chopin al pianoforte. La comunità si stringe attorno ai suoi virgulti e svergogna le ciance degli anti-italiani. Anche Matteo Messina da Castelvetrano, primo latitante d´Italia, pare un´ombra lontana. Un can che dorme, lo chiamano qui. Ma il venticello della restaurazione serpeggia. Hanno cambiato nome a piazza Garibaldi. Ora è piazza Carlo Tagliavia d´Aragona, feudatario che fu odiatissimo esattore di tasse per conto del re di Spagna. Un´altra piazza è dedicata al fondatore dell´Opus Dei, che figurarsi nessuno conosce. E poi c´è una nuova lapide per la visita di re Ferdinando II, amato così tanto dai siciliani che l´arco di trionfo fatto per lui venne abbattuto a furor di popolo. Ipocrisie italiote, come il crocefisso piantato davanti al municipio di Montecchio per mano padana, atto punito da Dio con un tricolore garibaldino in mezzo al paese. Granita al limone con Giuseppe Camporeale, sotto i ficus dell´Associazione di mutuo soccorso inaugurata da Garibaldi e chiusa da Mussolini. Camporeale è uno di quei solitari donchisciotte della cultura che solo il Sud sa esprimere. Riassume qualità estinte: liberale, laico, esteta col vizio della memoria. Grecista anche. Nel borgo natio ha pochi che l´ascoltano, così con me è un torrente di parole, ma nessuna è di troppo e fatico a tenere il ritmo degli appunti. «I preti del Nord erano codini, quelli del Sud spesso liberali... Per i poveri, qui, la tonaca era il solo modo di studiare e uscire dalla condanna della campagna... Qui i preti hanno espresso intellettuali formidabili». Ore 12, scampanio della chiesa madre, 40 gradi all´ombra, luce sfolgorante, vento leggero. Una delle donne incontrate in teatro viene a regalarmi la sua coccarda tricolore. Gonna nera e camicia bianca, nel suo attraversare la piazza c´è Sciascia del "Giorno della civetta", ci sono le femmine della Vucciria dipinte da Guttuso, ma anche la nuova Sicilia più libera. Ai tavolini dell´Associazione che fu garibaldina tutti smettono di batter carte e si girano quanto basta per assistere alla scena dell´investitura, con l´ago a fermaglio che buca la camicia rossa dell´uomo del Nord. Ma cosa spinge il frate timorato verso il condottiero mangiapreti? L´incontro tra i due è raccontato da Giuseppe Bandi, testimone diretto. Pantaleo fa il diavolo a quattro per incontrare il generale, ma i suoi uomini (ben più anticlericali di lui) gli sbarrano la strada, gli mettono le mani addosso, finché uno di loro finge di buttarlo dalla finestra. Alle urla del frate, Garibaldi esce dalla sua stanza inferocito e chiede motivo del chiasso. Saputolo, zittisce i «quattro luterani» miscredenti, fa entrare il frate che subito folgora l´eroe con lo sguardo e la parola. Così «Caribardo» lo accetta tra i suoi; vuole farne il nuovo Ugo Bassi, prete patriota fucilato nel ´49. Centocinquant´anni dopo il fantasma di Pantaleo imbarazza ancora le gerarchie vaticane. Né la Patria né la Chiesa furono grate a quest´uomo che fece l´Italia solo per morire povero e dimenticato. Gli antiunitari lo odiano ancora, ai limiti del negazionismo. Lo detestano i leccapiedi della nuova destra e non, i separatisti siciliani, i teocratici ratzingeriani, i neoborbonici, per non parlare dei risorgenti neotemporalisti (che starei troppo tempo a spiegarvi cosa sono). Lo odierebbero anche i leghisti, se lo conoscessero. E se per loro esistesse la Sicilia. Quasi per contrappasso, il liceo Pantaleo è diventato un fortino dell´antimafia, tanto che due mesi fa il preside Francesco Fiordaliso (che invidia, i cognomi siciliani...) si è visto recapitare una busta con una pallottola. Poche settimane prima aveva ricordato la strage di Capaci con un mega-manifesto pubblico, subito tolto da ignoti. Da anni Fiordaliso organizza per le scolaresche incontri sui temi caldi della Repubblica. «Garibaldi? Fa rima con Sinisbaldi, che è la famiglia di Santa Rosalia... Pantaleo giocò anche su questo». Camicia a quadri, barba non fatta, Fiordaliso mi porta a vedere i labirinti, i passaggi segreti e i ballatoi intorno alla biblioteca dell´ex monastero. Spara concetti-chiave come noccioli di ciliegia. «Bixio fallì a Bronte perché, a differenza di Garibaldi, non si fece precedere da un prete». E la mafia? «La mafia aiutò G. perché nulla cambiasse, come con gli Alleati nel 1943. Ma i siciliani furono altra cosa... lo videro come un salvatore». «Però il salvatore - mi dice guardandomi fisso negli occhi - si sa che non esiste nella storia». E fu così che «Caribardo» - Peppineddu per i bambini - assunse per i delusi l´epiteto feroce di «Canebardo». Ma questa è un´altra storia. Indice della rubrica: 1386028 (n.1) 1386029 (n.2); 1386030 (n.3); 1386031 (n.4); 1386033 (n.5); 1386035 (n.6); 1386036 (n.7); 1386040 (n.8); 1386041 (n.9); 1386038 (n.10); 1386037 (n.11); 1386042 (n.12); 1386039 (n.13); 1386068 (n.14); 1386262 (n.15); 1386262 (n.16); 1386497 (n.17); 1386934 (n.18); 1386957 (n.19); 1387466 (n.20); 1387090 (n.21); 1387252 (n.22)