Ernesto Ferrero, La Stampa 18/8/2010, pagina 34, 18 agosto 2010
Napoleone all’Elba - Resa ancora più verde dalle piogge primaverili, l’Elba più bella per me resta quella di collina e di montagna
Napoleone all’Elba - Resa ancora più verde dalle piogge primaverili, l’Elba più bella per me resta quella di collina e di montagna. Quando il sole comincia a scendere, la passeggiata per eccellenza (e per tutti: basta mezz’ora) è quella che conduce da Marciana alla Madonna del Monte. Siamo nella zona occidentale dell’isola, sulla montagna che guarda la Corsica e Capraia: la più appartata, la più boscosa per pini, castagni, lecci: il regno dei mufloni, che si affacciano all’improvviso sui sentieri in gruppetti famigliari e scompaiono di scatto, come in un cartoon di Walt Disney. Nei giorni di vento, lo sguardo corre lontano, può seguire l’incurvarsi della costa toscana da Livorno a Follonica, cercare a Sud la piramide misteriosa di Montecristo, o percorrere in tutta la sua lunghezza il dorso frastagliato di quel grande drago grigio che è la Corsica. Sui fianchi del monte Giove, già luogo di culti preistorici e di insediamenti preromani, sta posata la Madonna del Monte. È il santuario più antico dell’isola, nato attorno a una semplice edicola che incorniciava un’immagine dell’Assunta, dipinta a fresco su un blocco di granito spalmato di calce, probabilmente dai pastori che qui portavano le loro greggi. A partire dal ’400 si sono susseguiti ampliamenti e aggiunte: un austero portale, un ombroso ninfeo semicircolare con tre fontane; a lato, un piccolo romitorio di quattro stanze. Nel 1753 San Paolo della Croce aveva tenuto per quindici giorni predicazioni rimaste memorabili. È invece dei primi del ’900 una torre un po’ goffa. I luoghi sono intensamente metafisici. Si parte dall’austera Marciana, dominata dalla mole squadrata della fortezza edificata dagli Appiani nel XV secolo. La mulattiera supera un bosco di castagni, sale tra superbi cipressi e rari pini, fino ad arrivare a un pianoro roccioso aperto sull’orizzonte e popolato da ciuffi di lentischi, cisto, mirto, timo, erica, nepitella, che effondono un profumo intenso fino a stordire. Accompagnano l’ascesa quattordici cappelle bianche di una Via Crucis affrescata in semplicità da un qualche naïf locale. Sulle coste che precipitano a mare giacciono sparsi grandi massi di pietra arenaria in cui le piogge hanno scolpito forme bizzarre di giganti e d’animali. Vengono in mente i paesaggi di Botticelli, di Mantegna, di Benozzo Gozzoli, dettagli di un’enciclopedia naturale in cui tutto ha la perfezione esatta di una Creazione appena compiuta. I più preparati possono completare l’escursione scendendo in quattro ore fino a Pomonte o a Chiessi. Il più illustre escursionista che sia arrivato alla Madonna del Monte è Napoleone. Siamo a fine agosto del 1814, la villa campestre di San Martino non è ancora ultimata, e l’Imperatore vuole evitare le calure di Portoferraio. Il santuario, così fresco e appartato, è perfetto per il riposo, le pratiche di governo, le rimembranze; per di più è facile controllarne l’accesso, e si sa che il Grande Vinto è un maestro di security. Di lassù può contemplare tranquillamente la sua Corsica, aspirare aromi che gli ricordano l’infanzia e meditare la rivincita. Intanto adatta alla meglio il ricovero dei frati e fa allestire tende per il seguito. In un’epoca in cui i pubblici comportamenti dei potenti avevano ancora il loro significato, un soggiorno tanto riservato ha anche le sue ragioni private. In attesa di Maria Luisa, che non verrà mai, è lì che Napoleone riceve in visita Maria Walewska, la contessa polacca che gli porta il figlio avuto da lui. Malgrado lo sbarco sia stato condotto nella massima discrezione, i movimenti del piccolo gruppo non sfuggono alla curiosità pettegola degli abitanti di Portoferraio, i quali si convincono che la dama misteriosa sia l’imperatrice e il bambino, che ha i tratti di Sua Maestà, boccoli biondi e fronte bombata, il piccolo Re di Roma. Il distinto ufficiale polacco che accompagna la contessa e che è suo fratello viene scambiato nientemeno che per Eugenio di Beauharnais. L’eccitazione è al massimo. I fedeli grognards si dichiarano pronti a tutto pur di trattenere sull’isola l’Imperatrice e suo figlio. Perché dunque tanti misteri? Napoleone è andato ad attendere Maria alla marina di Marciana. Quando la strada non è più carrozzabile, ha pronti i cavalli. Arrivano all’una di notte, in un nero di pece. Napoleone fa servire cena: scalca le carni con le sue mani e vezzeggia teneramente il bambino. La contessa viene poi accompagnata in una stanza del romitorio, da cui sono stati fatti gentilmente sloggiare i tre frati che vi abitavano. L’Imperatore si ritira nella sua tenda, ma mentre si scatena un furioso temporale, tra i lampi viene visto infilarsi di corsa nel romitorio, da cui uscirà all’alba. Segue una giornata di passeggiate, colloqui e lacrime. Cena al santuario, con musiche polacche al flauto. Poiché Lui non vuole alimentare pettegolezzi, viene decisa la partenza immediata. Ma il mare si è messo al brutto, piove, il libeccio imperversa. La contessa deve attraversare tutta l’isola per cercare di partire da una rada di Longone, dove il mare sembra meno agitato. Anche là viene scongiurata di non prendere il mare, ma lei è fermissima: l’imperatore così ha ordinato, e così si deve fare. Oggi una targa ricorda l’augusto soggiorno, ma tace pudicamente la visita clandestina. La Madonna del Monte torna all’onore delle cronache nell’estate del 1995, quando l’architetto elbano Paolo Ferruzzi, avviati dei lavori di restauro della parte absidale, scopre con emozione nell’arcone dietro l’altare seicentesco e sotto uno strato di vernice giallina una scena compiuta: in alto, da un occhio inondato di luce scende la colomba dello Spirito Santo. Quattro putti reggono un ricco tendaggio color ocra e due angeli in volo portano gli strumenti della passione, la lancia e l’asta con la spugna. Malgrado la penombra, è evidente l’incanto poetico della grande pittura. Ferruzzi ha un’intuizione: ma questo è il Sodoma! Fruga nei documenti, e trova le conferme che cercava. Il vercellese Giovanni Antonio Bazzi, già allievo dello Spanzotti a Casale e forse di Leonardo a Milano, a vent’anni è a Siena, che diventerà la sua patria adottiva. I senesi lo amano perché ha «gran fondamento nel disegno» ed è uno spirito bizzarro: lo chiamano «il Mattaccio». A trent’anni firma lo strepitoso ciclo di affreschi delle storie di San Benedetto a Monte Oliveto; poi passa a Roma. Ha la passione dei piccoli animali e dei cavallini nani. È anche diventato amico di Jacopo V Appiani (zio di Cosimo de’ Medici), che nell’aprile 1537 se lo fa prestare dai senesi per un mese. Passano le settimane, e il Bazzi non torna indietro. Per forza: l’artista sessantenne se ne sta beato fino ad agosto nell’incanto della Madonna del Monte a dipingere i suoi angeli. Nessuno può capirlo meglio dell’escursionista che oggi arriva lassù.