Maurizio Chierici, il Fatto Quotidiano 18/8/2010;, 18 agosto 2010
CATTOLICI IN PICCHIATA
Non è vero che Dio è morto come mormoravano i pessimisti 40 anni fa. A volte cambia casa. Protestanti, chiese evangeliche, sette pentecostali stanno conquistando il continente più cristiano del mondo: l’America Latina. Nel 2001 attorno alla Chiesa di Roma si raccoglieva il 49,6 per cento della popolazione mentre le diverse anime luterane arrivavano al 31. Adesso le voci che anticipano il censimento 2011 raccontano di trasferimenti clamorosi verso la galassia del protestantesimo, che sta per superare il 40 per cento dei fedeli. Esodo che non finisce nelle chiese tradizionali della vecchia Europa: Calvino e Lutero sono sempre stati minoritari nell’America coloniale. Preferenze ad evangelici, soprattutto pentecostali. Le “sette” passano dai 3 milioni del 1991 ai 21 milioni del 2010.
IN BRASILE , dove la comunità più estesa si riconosce nel Vaticano, un milione di persone lascia ogni anno Roma alla ricerca di un cristianesimo diverso. Se possiamo dire così, ormai Rio e San Paolo lottano con Germania e Sudafrica per il terzo posto nella classifica delle nazioni protestanti, subito dopo Stati Uniti ed Inghilterra, prima di Nigeria e paesi scandinavi. L’analisi dei teologi cattolici prova a spiegare gli “errori” del potere romano-centrico, forse troppo chiuso nella burocrazia dei corridoi, forse lontano dagli uomini che negli affanni quotidiani cercano la speranza di Dio.
Per frenare l’emorragia, nel 2007 Benedetto XVI va in Brasile alla conferenza episcopale latinoamericana. Cristoforo Dominguez ne fa parte e dice: “Non è servito a niente. La fuga continua perché la Chiesa continua a commettere peccati di omissione”. Non rompe, nella pratica, le disuguaglianze parallele che angosciano il tessuto sociale latino: da una parte il pacchetto delle grandi famiglie (latifondisti, impresari, gerarchie politiche), dall’altra il 40 per cento della gente (230 milioni di persone) con problemi di sopravvivenza materiale e spirituale. Roma ha un debole per le borghesie devote all’Opus Dei o ai Legionari di Cristo, obbedienze chiuse nel privilegio della società “onori-affari”. Degli altri si era preoccupata la teologia della liberazione, i preti che condividevano gli stracci e che i teologi della tradizione non sopportavano. Papa Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger li hanno oscurati in una interminabile agonia della quale si stanno pentendo ma che ha lasciato un vuoto nel quale sono accorsi i luterani d’assalto. “Non chiamiamo-li sette”, si arrabbiano Leonardo Boff e Carlo Alberto Libonio Cristo, detto Frei Betto, teologi brasiliani ai margini della chiesa ufficiale. “Sono cristiani che pretendono rispetto. Hanno riempito lo spazio abbandonato per decisione vaticana. Le sette stanno interpretando il post moderno con l’impegno di tener viva la spiritualità della gente. Senza di loro non ci sarebbe niente”.
FREI BETTO , esponente della teologia della liberazione, aggiunge: “Non ci siamo adeguati all’evoluzione dei tempi: gerarchie e abitudini rigide, non troppo diverse dagli anni della colonia. Se un povero ha bisogno di parlare col suo prete deve prendere appuntamento una settimana prima. Incontro sospirato che magari trascura appena i dubbi che lo tormentano o l’angoscia di una crisi di lavoro o familiare sono superate. E comincia la lontananza. La luce delle case d’accoglienza di pentecostali ed evangelici è invece sempre accesa”. Volontari giorni e notte. Ascoltano, consolano insegnano a parlare “direttamente con Dio”. Chi soffre li ritrova sulla porta di casa. “Nelle metropoli il concetto organizzativo della parrocchia appartiene ad un altro secolo. La gente è cambiata. Vuol parlare e subito. Essere ascoltata quando ha bisogno. Troppo spesso Roma non se ne accorge”. Ma i cattolici devono sopportare altri conti. Per coprire le reti parrocchiali, il Brasile bisogno di 120 mila sacerdoti. Ne ha 17 mila anche se la conferenza dei suoi vescovi resta la più consistente del mondo cattolico: 352. Fra loro 60 conservatori, 80 progressisti, altri in evoluzione, come il cardinale Hummes. Era fra i papabili quando Ratzinger si è seduto sul trono di Giovanni Paolo II. Negli anni ’80 Humes faceva il vescovo di San Andres, grande San Paolo. Assieme a Lula sgomitava davanti ai cancelli delle fabbriche chiedendo ricompensa equa per i lavoratori. Adesso se ne scusa: “fervori di gioventù” ma non sono radici tagliate.
ASSIEME A LULA ha passato la notte di due Natali fa sotto il ponte di una favela, con gli ultimi del mondo. Ma se gli Hummes seguono i tempi, altre chiese latine si inchiodano al passato. Cardinale Madriaga in Honduras dalla parte del golpe militare che rovescia il governo democratico; chiesa cilena che implora il nuovo presidente Piñera di perdonare i militari che hanno violato i diritti umani. Tragedia del presente, che in Cile rievoca il disagio del passato quando il nunzio apostolico Sodano (diventato Segretario di Stato, ormai é a riposo) organizza l’apparizione di Giovanni Paolo II sul balcone della Moneda accanto a Pinochet. È stato il giorno della disperazione per milioni di cattolici contrari alla dittatura. Storie lontane che continuano, ma la differenza tra nuovi protestanti e Roma resta la struttura dell’organizzazione sociale.
La chiesa evangelica funziona come una micro-società: si riproduce ogni giorno. Con l’aiuto, va detto, di una comunicazione a volte grottesca. Spazi noleggiati in tv commerciali, 20 miracoli in diretta ogni ora. Pat Robertson dirigeva la quinta casa di produzione tv degli Stati Uniti ed è proprio egli Stati Uniti che il voto comincia a corteggiare i protestanti latini in esilio di lavoro. Una volta erano solo cattolici, adesso non più. Roma lo sa, chissà cosa farà.