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 2010  agosto 18 Mercoledì calendario

Vi racconto la strana amicizia fra il libertino e l’eroe cattolico - Tra impertinenza e tenerezza

Vi racconto la strana amicizia fra il libertino e l’eroe cattolico - Tra impertinenza e tenerezza. Compivo 39 anni. Vivevo all’Hotel Majestic in via Veneto. Era nata un’amicizia con Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica. Lo invitai. Accettò. Arrivò verso le 10 di sera per trovare lo «scapestrato», come si va da un amico, da un coeta­neo, per puro divertimento, e certo di divertirsi. Al piano del ristorante incrocia un gruppo di democristia­ni, riuniti da uno dei deputati più po­­tenti, Vittorio Sbardella, detto «lo squalo». Sono suoi colleghi di parti­to. C’èCirino Pomicino,c’è Giusep­pe Fioroni, c’è Claudio Vitalone, c’è anche Beniamino Andreatta. Cossi­ga li saluta, si intrattiene con il più fine e il più colto, il professore, che gli domanda perché è venuto al Majestic, certo non per la convoca­zione di Sbardella. Cossiga candida­mente, e forse con malizia gli dice: «Sono venuto a trovare Sgarbi, è il suo compleanno». Andreatta lo guarda incredulo. Cossiga lo rassicu­ra, mi descrive come un uomo genti­le e lo invita. Andreatta declina: «Per carità, non ci penso neanche. E mi meraviglio di te». Andreatta pensa­va a festini peccaminosi, a donne di­­scinte, ai peccati di un libertino. Cos­siga con un sorriso saluta e sale nella mia stanza, la 220, una stanza disor­dinata, con una grande terrazza, li­bri e giornali ovunque, ma anche in­dumenti, camicie sporche, mutan­de. Cossiga entra e Filippo Martinez fa appena in tempo a nascondere dietro un divano le mutande. Si sie­de e racconta, divertitissimo, l’in­contro con Andreatta, imbarazzato, preoccupato, stupito. Ecco, in 20 an­ni di fre­quentazioni più volte France­sco mi ha ricordato questo episodio, come per segnalare la differenza tra lui, cattolico ma libero, spregiudica­to, curioso, e un uomo colto, intelli­gente, ma non privo di pregiudizi co­me Andreatta. Lo divertiva questa differenza,nella quale c’era la ragio­ne della diversità, dello spirito di av­ventura che rendeva Cossiga così originale, pur nella certezza di prin­cipi che non erano minati dallo scet­ticismo, ma non gli impedivano di non farsi condizionare dal conformi­smo, dai pregiudizi. Quante volte l’ho visto sorridere per la faccia di An­dreatta! D’altra parte la nostra amici­zia aveva origini così insolite che non poteva essere la mia fama di li­bertino a metterla in discussione o a preoccupare Cossiga. Era il 1990 e io in televisione avevo letto versi, di singolare originalità, di John Donne, il poeta metafisico in­glese, prete anglicano, ma di forma­zione cattolica. Cossiga ne era rima­sto colpito e, attraverso la batteria, il potente centralino del Viminale che io all’epoca non praticavo, mi cercò trovandomi in viaggio da Napoli ver­so Gaeta. E mi chiese: «Professore Sgarbi, ma di chi sono quei versi stra­ordinari che ha letto ieri in televisio­ne? Mi hanno molto colpito». Gli ri­sposi inorgoglito e gli promisi, come feci, di mandargli al Quirinale foto­copie e documenti su John Donne. Mi ringraziò per il rinnovato piacere che la lettura gli avrebbe dato, ma non passò molto tempo, che mi rite­lefonò per dirmi che aveva trovato nella sua biblioteca un libro di versi di John Donne chiosato a 18 anni e che aveva dimenticato. Era soddi­sfatto di questa scoperta e di questa riemersione della memoria che avrebbe sempre ricordato come si­gillo della nostra amicizia. Mi invitò al Quirinale, ed essendo ormai entra­to nell’epoca delle provocazioni e dei comportamenti eccentrici, nei memorabili discorsi di quei due an­ni, dal ’90 al ’92,non ebbi preoccupa­zione a po­rtargli a colazione una bel­lissima ragazza bionda, Petra Scher­bak, nota per essere, non senza una naturale timidezza, una sexy star. Cossiga si divertiva, gli piaceva la mia irriverenza, e intanto fortificava la propria. Ogni volta che ci incontra­vamo, dentro di sé, credo, pensava alla faccia di Andreatta, ma io avevo trovato in lui qualcosa di più di quel­lo che da ragazzo mi aveva attratto in Pannella. Un autentico libertinag­gio intellettuale, una spregiudicatez­za, un gusto per la dissacrazione che, lui dal vertice del Quirinale, io dalla tv e poi nelle mie prime, da lui ispirate, iniziative politiche, segna la fine di un’epoca di ipocrisie.Ben pri­ma di Caselli il nostro antagonista naturale era un uomo devoto e ovat­tato nelle forme come un mandari­no cinese, qual era Andreotti. Scop­piò il caso Gladio, fra i due e io presi la parte di Cossiga. Lo difesi in tv e fui subito richiamato dalla direzione della Rai, salvo essere riconosciuto come un profeta perché dopo qual­che settimana Craxi stabilì un asse politico inedito con il liberale Altissi­mo, proclamandosi promotore di un partito laico «del Presidente», li­beralsocialista, contro i democristia­ni che erano l’obiettivo prediletto delle invettive di Cossiga e che lo odiavano cordialmente. Stava crol­lando la Prima Repubblica, Tangen­topoli non era ancora iniziata, ma Cossiga, con il suo spirito di contrad­dizione, mentre apriva il conflitto con Andreotti (proprio sul caso Gla­dio), e anzi era l’obiettivo di una con­giura Andreotti-De Mita, era lungi­mirante e sopra la mischia ( che pure contribuiva a determinare) da nomi­nare Andreotti senatore a vita, met­tendolo al riparo dall’azione eversi­va di Caselli. «O gran bontà de’ cava­lieri antiqui»! Cossiga coltivava la contraddizio­ne consapevole di essere a cavallo di due epoche. Combatteva anche se stesso, ma evidenziava la fine di un’epoca che i giudici avrebbero ab­ba­ttuto mettendo sotto accusa la Pri­ma Repubblica. Nessuno riuscì ad incriminarlo nonostante fosse stato il primo obiettivo di un giudice faci­noroso, oggi esponente Pd, Felice Casson. Cossiga avvertì che la politi­ca stava per essere commissariata dalla magistratura. E reagì minac­ciando, da Presidente della Repub­blica, di inviare i carabinieri al Csm. Un combattente, un eroe, che Berlu­sconi non capì mai fino in fondo per la consuetudine a fare di ogni proble­ma una questione personale, men­tre Cossiga aveva una visione della Storia e della crisi della politica. Nes­suno aveva più coraggio di lui nel ri­vendicare il primato della politica. E lui vide cadere Craxi, Forlani, Andre­otti, senza essere travolto. Uomo col­to, sensibile al mondo anglosasso­ne, era stato, con John Donne, buon lettore di Walt Withman che aveva scritto, per lui, versi memorabili: «Mi contraddico:benissimo,mi con­traddico. Sono vasto, contengo mol­titudini ». Dopo i due anni di fuoco dell’epi­logo del suo mandato presidenzia­le, Cossiga continuò a divertirsi, a fa­re politica; fu il solo, pur non avendo­lo votato, a guardare con rispetto a Berlusconi, lui che rivendicava di es­se­re un democratico cattolico di sini­stra. Fu incuriosito, e poi capì tutti i limiti demagogici di Di Pietro. Vide la politica degradare fino a sparire. Ebbe rispetto e pietà per Craxi, sen­za rinnegarlo come avevano fatto molti suoi compagni di partito. Con­tinuò a evidenziare contraddizioni. Intervenne nei momenti difficili, evi­tando di farsi riconoscere come un senatore a vita schierato. Ci si conti­nuò a vedere per affetto e diverti­mento. Alla fine, credo, Cossiga si ve­deva come il Principe di Lampedu­sa don Fabrizio Salina, ballare con la fidanzata del nipote,Angelica,l’ulti­mo valzer mentre tutto il mondo in­torno a lui crollava.