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 2010  agosto 18 Mercoledì calendario

INTERVISTA ROBERTO D’AGOSTINO:

«Il Gattosardo mi dettava gli scoop» -
Roberto D’Agostino.E ades­so?
«Eh. Adesso son morto. Fran­cesco Cossiga era tutto per me. Un padre, una guida spirituale. E lo dico fuori dalla retorica».
Fuori dalla retorica e dentro all’irriverenza, era una fon­te preziosa per Dagospia .
«Fonteee?? Lui era Dago­spia! ».
Ti dava le notizie .
«Mi dettava i pezzi. E faceva l’aiutante».
Il presidente emerito .
«Se chiami tu per verificare una notizia o se chiama Cossi­ga è diverso».
«Pronto sono Cossiga», sì, fa un certo effetto .
«Gli facevo l’elenco delle do­mande, dalle mosse di Ricucci col Corsera all’assegnazione dei ministeri. Lui chiamava, chiedeva, mi riferiva. E io face­vo gli scoop» Correva l’anno Duemila , Dagospia te l’eri appena in­ventato .
«Lui lo leggeva divertito. Fu Barbara Palombelli a portarmi a casa sua. Mi accompagnò nel campo misterioso della finan­za ».
Misterioso e minato .
«Mi aprì gli occhi sul fatto che ormai l’economia aveva preso il sopravvento sulla politica. Mi fece capire che il potere non è quello visibile, ma quello che sta sotto».
O magari sopra.
«Esatto. Quelli che vedi al Tg delle 20 sono solo i burattini, il potere non ce l’ha chi dirige la banca o guida la Rai, ma chi lo ha messo lì».
Tu iniziasti a parlare dei bu­rattinai .
«Erano i tempi della guerra ai vertici di Mediobanca, Cossiga si batté molto per Vincenzo Ma­ranghi, perdendo. Mi chiama­va al mattino e mi dettava arti­coli su Mediobanca, Banca In­tesa, Unicredit, io a volte nem­meno riuscivo a capirli».
Ma perché scelse te?
«Pare strano a vedermi, con le mani macchiate di anelli, ve­ro? ».
Diciamo che il suo stile sem­pre impeccabile non si ac­corda granché con il tuo che è, come dire, kitsch?
«Il nostro feeling nacque per una vicinanza culturale».
Non avevi paura a pubblica­re cose di cui non capivi un’acca?
«Gli dissi: “Non ho le spalle abbastanza larghe per fare cer­ti attacchi”».
Risposta?
«“Sanno benissimo che devo­no cercare me”».
E come lo sapevano?
«Il suo stile era la sua firma: pugno sardo in guanto demo­cristiano. Del resto fu lui a cam­biare il linguaggio della politi­ca, cambiandone pure la so­stanza ».
Le famose picconate?
«C’è un prima e un dopo Cos­siga. Con lui scomparve il “pa­stone” in politichese, perché lui colpiva l’avversario dritto in testa. Diede il “la” a un grande cambiamento epocale: il pas­saggio dalla politica dei partiti e degli ideali, a quella delle fac­ce. Oggi se uno ti è antipatico non lo voti».
Nel 1994 Silvio Berlusconi gli chiese di entrare in politi­ca. Lui rifiutò «Diceva: “Non è la mia faccia che può rappresentare uno schieramento politico”. Cossi­ga è stato il grande testimone della morte della politica e del passaggio ai partiti come sono oggi, comitati d’affari coman­dati da entità economiche, co­sa che lui considerava esecrabi­le ».
Ricapitolando: uccise a pic­conate la politica, per poi rimpiangerla. Non è un para­dosso?
«No, perché gli ideali erano già in soffitta, il sistema mar­cio. Il cambiamento fu tale che solo grazie a lui, un ex democri­stiano, Massimo D’Alema, un ex comunista, divenne pre­mier ».
C’è un doppio Cossiga: l’uo­mo di Stato che ha affronta­to momenti bui come l’omi­cidio di Aldo Moro e l’aman­te del gossip .
«No, c’è un solo Cossiga. Quello che sapeva benissimo cosa voleva e come raggiunger­lo, e che in Dago aveva trovato un veicolo non per fare gossip, ma per comunicare quello che pensava, soprattutto sui Servi­zi segreti».
Cossiga e le donne?
«Era pazzo per le donne, gli piaceva averle intorno. Finito il matrimonio con Giuseppa, pe­rò, non ha più avuto una com­pagna ».
Tutto qui?
«Ho avuto un grande rappor­to con lui proprio perché non ho mai detto una parola in più, se mai due in meno. Non si scherza coi sardi».
Lo chiamavi Gattosardo. Perché?
«Per l’assonanza col Gatto­pardo, il romanzo di Tomasi di Lampedusa. E perché era un gattone».
Cossiga gattone .
«Affettuosissimo. E furbissi­mo. Infatti sai cosa? Io credo che abbia deciso lui di lasciar­ci. Soffriva di depressione, si sa. Credo che questa volta si fos­se stancato».