Rollingstonemagazine.it, 30 luglio 2010, 30 luglio 2010
Gualtiero Jacopetti: mondo cane Del Mondo da Cani Gualtiero Jacopetti ne ha fatto un inno. Oggi ha circa novant’anni e vive volutamente in disparte
Gualtiero Jacopetti: mondo cane Del Mondo da Cani Gualtiero Jacopetti ne ha fatto un inno. Oggi ha circa novant’anni e vive volutamente in disparte. E’ un uomo libero, un avventuriero elegante, un grande seduttore, un borghese vero, dai mille volti, un apostolo dell’antiretorica e un uomo inafferrabile. Ha fatto la guerra, passando da una parte all’altra, poi è stato giornalista, ha fondato Cronache, dalla quale redazione è nato L’Espresso, è stato sceneggiatore, autore di newsreal, poi viaggiatore, documentarista e cineasta. La sua vita è stata scandita da imprevisti, incidenti dolorosi e scandali che hanno contribuito a costruire di lui, come intellettuale e uomo, un’immagine spesso fasulla. L’abbiamo incontrato nella sua casa, un attico a due passi dal cielo. Con lui abbiamo rivisto Mondo Cane, il film che nel 1962 lo ha reso celebre. Lo abbiamo commentato, divagando sui cani, il sesso, l’arte, la morte, la franchezza e il vantaggio di essere un personaggio scomodo. Perché i cani? Perché questo titolo? "La ragione è molto semplice. Alla mia epoca c’erano i cinegiornali, tutta roba divorata dai partiti e di una noia mortale. Io li trasformai e cominciai a prendere in giro tutto questo universo fatto di tagli di nastri e di retorica. Mondo Cane nacque dall’esigenza di allargare al mondo un newsreal che veniva fatto in Italia. L’imprecazione mondiale era rivolta a tutto quello contro cui si può imprecare non in modo rabbioso, ma con senso dell’umorismo. Poi c’era l’assonanza con la vita da cani. Sappiamo che i cani alla fine fanno una vita migliore di quanto sembri. Però ci sono anche cani che fanno una bruttissima vita". Ma non avresti potuto parlare del lato bello della vita da cani? "C’è anche quello. I cani sono ricorrenti nel mio film. C’è una scena su un cimitero dei cani. Ci sono le tombe, chi li ricorda e li seppellisce con garbo. Naturalmente insieme ai padroni del defunto c’è il suo successore. Però il cane è sempre un cane e quando arriva sulla tomba ci fa pipì sopra. E’ il suo naturale omaggio al sepolcro. Io per quella scena sono stato insultato. Invece, è un atto di tenerezza. La pipì vuol dire il suo mondo, il suo confine, la sua carta d’identità. Poi nel film seguono scene meno digeribili, dove i cani vengono mangiati. E’ un piatto prelibato degli orientali, che hanno la preferenza per i chow chow. Certo, queste sono cose scomode da vedere soprattutto per chi ama questi animali". Non puoi nascondere però che c’è un certo gusto per il bizzarro... "Ma questa maniera è in fondo anche un omaggio; si tratta di non prendere le cose troppo sul serio. C’è sempre un’esagerazione di comodo nell’interpretare i fatti. Allora mi pare non si parli di cinismo, né di scetticismo, si parla di franchezza. Di qualcosa di inevitabile che appartiene alla vita e al Mondo. Io amo i cani, però se qualcuno li mangia io lo racconto". Quindi qual era il tuo scopo? "Far vedere alla gente le cose insolite, scomode. L’idea di Mondo Cane nasce con Blasetti, che mi diede l’incarico di trovare degli spettacoli in giro per il mondo. Cosa che già in principio mi annoiava. Per me l’avanspettacolo e il varietà sono fasulli. Il vero spettacolo di quei viaggi fu l’umanità. Io sono un giornalista, un uomo curioso, con una tendenza all’insolito, al bizzarro. E’ nel mio temperamento. Mi sono entusiasmato nel vedere un mondo che non conoscevo. E’ come se io fossi stato spettatore di Mondo Cane prima degli spettatori stessi". Era un mondo che si prestava ad essere ripreso? "Vorrei tornare a quei tempi, perché delle cose difficili erano facili. Non avere intorno un produttore, un direttore di produzione, un rompiscatole che ti dice cosa devi fare. Io ebbi la fortuna di fare quello che volevo. Rizzoli, questo vecchio signore milanese cosiddetto “incolto”, fu invece un grande innovatore anche in questo. Poi all’epoca, la gente era tutta entusiasta nell’essere ripresa, non temeva le fregature". In Mondo Cane ci sono due episodi dedicati a due sex symbol di allora: Rodolfo Valentino e Rossano Brazzi. Perché hai scelto gli uomini? "Ai tempi c’era un maschilismo molto forte. Il sesso era l’uomo. La donna era l’accessorio necessario per completarlo, ma tutto girava intorno al macho, al maschio. Non avrei potuto scegliere la donna, perché la donna non era abbastanza franca nell’esercitare il proprio sesso. L’uomo faceva tutto quello che voleva. Voi siete cresciuti in fretta, mentre io sono invecchiato con molta lentezza. Ma all’epoca il sesso era fallico; tutto era fallico". In Mondo Cane passi dalle star del cinema, alle tribù indigene. Come sono nate queste associazioni? "Dall’esigenza di far vedere cose difficili senza pregiudizio e con coraggio. Mai nessuno aveva fatto un concentrato di tutte queste cose qui. L’impatto sul pubblico fu devastante. Certo se lo guardo oggi, questo film è un film scaduto, però ne resta il significato storico". Quale fu per esempio la ragione che ti spinse ad arrivare in Nuova Guinea? "Avevo letto che nel Golfo di Carpentaria c’era un pesce rarissimo, con degli organi sessuali notevoli, che era il simbolo del sesso bestiale per le tribù del posto. Questa fu una delle prime ragioni. Però quando viaggi, basta un pretesto, poi è tutto una scoperta. Quelli erano mondi intatti, di una bellezza incredibile, anche felici e allegri in un certo senso. Scoprimmo anche che nel mezzo di quel nulla, vicino alle isole Salomone, c’era una tribù di cannibali". Hai girato delle scene di cannibalismo? "Ma no, il cannibalismo per queste tribù era mangiare i cadaveri dei caduti in guerra. Li mangiano con un rito che non ti sto neanche a descrivere, ma è terribile. Non ho mai fatto queste riprese, lasciamole alle ricostruzioni di Mondo Cane numero 20, dove mettono la gente in salamoia". Con ironia hai messo in discussione anche l’arte contemporanea. Penso all’episodio su Yves Klein. "Klein era una persona molta simpatica, ma un gran figlio di mignotta in questo senso. Un uomo alla ricerca di pubblicità. Ai tempi era sulla bocca di tutti. Gli proposi questo film e lui accettò subito, senza nessuna garanzia. Da come lo ricordo io era un avventuriero. Gli spiegai qual era la chiave; gli dissi che stavo facendo un film satirico e che non potevo fare un film di esaltazione sulla sua pittura. Lui capì e mettemmo i lenzuoli, l’orchestra e le modelle nude che si spiaccicavano sulle tele". C’è chi sostiene che dopo la prima a Cannes del film, per la delusione, Klein ebbe un infarto in albergo. Seguito qualche tempo dopo da altri due che gli furono fatali. "Sì, certo, Jacopetti è il solito assassino. Senti, io Klein non l’ho mai più visto, non sapevo neanche ci fosse a Cannes. Sono tutte balle. Avrebbe avuto l’infarto anche senza conoscermi. Tutto quello che ho fatto sul capitolo di Klein è fatto con lui, consenziente e complice. Lo vedi dalle immagini. Abbiamo riso tantissimo. Queste belle modelle tutte imbrattate di blu. Con quel limite di pudore che c’era ai tempi, cercavano di coprirsi con la vernice il più possibile in modo da non far vedere troppo quelle parti lì". Sei sicuro fosse un imbroglio? "Quello che ho filmato io era un imbroglio con la partecipazione dell’autore. T’ho detto tutto. Poi per un blu assoluto di Klein non do neanche tre lire, perché non lo voglio appeso sulla parete. Vuoi che dica anche questo? Sarebbe vanità. A me dà fastidio quando il valore intellettuale deve essere suggerito e non viene spontaneo. Io voglio l’emozione diretta. Sono sempre andato a naso. Annuso la situazione, il personaggio, come i cani da caccia. Annuso l’imbroglio e non mi sono mai sbagliato". Tu disconosci tutto il filone Mondo Movies. A cosa hai ceduto nel firmare Mondo Cane 2? Al denaro? "Onestamente sì, al denaro. Ma non mi sento l’autore di quel film. Per me era un speculazione. Fu messo il mio nome per ragioni commerciali e non potetti dire no a Rizzoli; il mio sembrava un capriccio. Sono situazioni un po’ delicate ed è difficile spiegarle". Tanto per rimanere sul tema, Mondo Cane è un film che va all’osso, che racconta gli aspetti più essenziali della vita: il cibo, il sesso, la ritualità, la morte. Certo, questa è la vita. E’ naturale. La retorica è un elemento inquinante. "Forse in questo senso, come dicevi prima, torniamo alla vita da cani, che cacano, pisciano, mangiano, trombano e muoiono. Poi ci metti qualche cosa che salva la faccia, ma la vita insomma è carne. Mondo Cane è carne". A quale scuola di giornalismo ti senti di appartenere? "Sono per la scuola ignorante alla Hemingway, per la scuola non frequentata, quella istintiva. I vari Barzini, Montanelli erano personaggi che andavano sereni a coprire una situazione e portavano a casa risultati inaspettati. Mai partire con un concetto di fondo. Semmai con un sentimento di partenza, che è tutta un’altra cosa. Sono un imprudente al quale le cose sono andate bene. Però persone così pagano sempre di persona". Ma non ti sei mai preoccupato di toglierti di dosso certe etichette. "Mai, fa parte del mio carattere. Non mi interessa il giudizio degli altri. Dell’opinione pubblica non me ne frega nulla. Poi sai, ho avuto molta gelosia intorno. Sono anche un po’ vittima delle mogli o compagne di altri uomini, con le quali poi non ho fatto assolutamente nulla. Stupidaggini, che però hanno creato delle inimicizie". Però a te ha portato anche molta fortuna. "Certo, sarei stato alla briglia anche io. Il titolo che hanno dato ad un documentario girato recentemente sulla mia vita: ’L’importanza di essere scomodo’, mi sembra molto azzeccato. E’ un’idea giusta perché la scomodità ha la sua importanza ed è un’eccezione. Anzi io avrei detto: ’Il vantaggio di essere scomodo’" (ride).