Luca Piana, L’espresso 19/8/2010, 19 agosto 2010
ALLARME BOND A TORINO
Alcuni banchieri lo indicano come il vero punto critico nelle strategie di Sergio Marchionne. Il destino delle fabbriche italiane della Fiat, tuttavia, non c’entra. In gioco c’è una questione di natura squisitamente finanziaria, che può avere forti ripercussioni sui futuri assetti del gruppo torinese.
Tutto nasce dal progetto annunciato dal manager italo-canadese di separare in due la Fiat attuale. Oggi l’azienda fa capo a un’unica società, la Fiat Spa, che raggruppa il controllo di tutte le attività industriali: le automobili con i vari marchi, i camion dell’Iveco, i trattori e i macchinari per le costruzioni prodotti dalla controllata Case New Holland (Cnh).
A Marchionne e al numero uno della famiglia Agnelli, John Philip Elkann, questa struttura del gruppo non piace più. A metà settembre i soci della Fiat saranno chiamati in assemblea per approvare un piano che prevede di togliere dall’azienda ciò che non fa parte dell’auto. I camion dell’Iveco e i macchinari della Cnh verranno inseriti in un’apposita società, battezzata Fiat Industrial, separata da Fiat Spa. Una volta che il percorso sarà completato, chi possiede un’azione della casa torinese si troverà in mano due diversi titoli di due società indipendenti l’una dall’altra: Fiat e Fiat Industrial. Il legame sarà soltanto a monte: la famiglia Agnelli continuerà a essere il socio di riferimento di entrambe, con una quota pari al 30 per cento circa.
Un’operazione del genere, in un gruppo complesso come quello torinese, scatena interessi potenzialmente in conflitto fra i vari soggetti che hanno voce in capitolo. Agli occhi degli azionisti, e in particolar modo degli Agnelli, piace probabilmente una delle ragioni con cui Marchionne ha motivato l’operazione: la volontà di dare all’auto Fiat maggiori possibilità di stringere, in futuro, un’alleanza con un altro produttore mondiale di automobili. Togliendo i camion e i trattori, la casa automobilistica avrà contorni più definiti, più appetibili agli occhi di nuovi partner o, magari, di nuovi azionisti di controllo.
Il punto critico, tuttavia, sono gli interessi di chi in passato ha sottoscritto i prestiti obbligazionari (bond, nel gergo finanziario inglese) del gruppo e, ora, potrebbe ritenersi danneggiato dall’operazione, al punto da avviare un procedimento per tentare di bloccarla.
Per comprenderne i motivi, bisogna seguire l’organigramma del gruppo fino a una finanziaria lussemburghese, la Fiat Finance and Trade. Tra le diverse fabbriche di bond made in Fiat, la societa con sede nel Granducato è certamente la principale. Stando all’ultimo bilancio semestrale, la Finance and Trade ha in circolazione prestiti per oltre 7,7 miliardi di euro, su un totale di quasi 12 miliardi dell’intero gruppo.
Il fatto è che la finanziariaria lussemburghese dipende dall’attuale Fiat Spa, non dalla Fiat Group Automobiles, la società che racchiude le attività automobilistiche. In altre parole, chi ha sottoscritto i bond della Finance and Trade poteva contare, per la restituzione dei soldi al momento della scadenza dei prestiti, anche sulle risorse che alla capogruppo arrivano dai camion e dai trattori. Con la sola Fiat Automobiles, l’incertezza rischia di aumentare in modo significativo. Per questo motivo, le agenzie di valutazione del rischio di credito Moody’s e Standard & Poor’s, dopo l’annuncio della scissione di Fiat Industrial, hanno messo sotto osservazione il gruppo torinese, facendo prevedere una riduzione dei propri giudizi di affidabilità (i cosiddetti rating). "Storicamente la diversificazione ha giocato un ruolo importante nel mitigare i risultati deboli di ogni singola divisione del gruppo", ha scritto Standard & Poor’s. In tempi recenti, l’agenzia ricorda in particolare due momenti critici: il 2004, quando l’auto era a un passo dal fallimento e il gruppo si tenne in piedi grazie a Cnh e Iveco e il 2009, quando fu invece l’auto - grazie agli incentivi governativi - ad attutire l’effetto pesantissimo della crisi sugli altri settori.
All’esterno, Elkann e Marchionne hanno finora cercato di dare segnali di grande fiducia sul fatto che la scissione andrà in porto come da programma. Tuttavia, alcuni fatti fanno capire come un eventuale ricorso da parte degli obbligazionisti sia una materia considerata con una certa preoccupazione. Da un lato, Torino ha tentato di dare all’esterno segnali sul fatto che le obiezioni delle agenzie di rating verranno valutate con grande attenzione. Dall’altro, però, nel documento diffuso per descrivere l’operazione ai soci non vengono fornite indicazioni specifiche sui debiti finanziari. Gli analisti sembrano comunque convinti che la Fiat Finance, con il suo carico da 7,7 miliardi di bond, rimarrà alla Fiat Spa, dunque al settore auto. Per vedere se gli obbligazionisti digeriranno la pillola occorrerà attendere i 60 giorni di tempo che, dopo l’atto di scissione, avranno a disposizione per fare ricorso. Giorni di trepidazione al Lingotto.