Giorgio Carbone, Libero 17/8/2010, 17 agosto 2010
Sex and the city l’ha inventato Antonioni - Voi credevate che “Sex and the city” lo avessero inventato gli americani (nella fattispecie lo sceneggiatore Darren Star, adorato come un dio dalle “sin - gle” in carriera di mezzo mondo)
Sex and the city l’ha inventato Antonioni - Voi credevate che “Sex and the city” lo avessero inventato gli americani (nella fattispecie lo sceneggiatore Darren Star, adorato come un dio dalle “sin - gle” in carriera di mezzo mondo). E invece è stato Michelangelo Antonioni. Anzi Cesare Pavese (dal suo racconto “Tra donne sole” il regista trasse nel 1955 il film “Le amiche”). Non sono io a dirlo. E nemmeno qualche mio collega di “Stracult” (se lo facessimo, ci radierebbero dalla professione). A stabilire questa inopinata primogenitura, è stato un giornale serio, di mondiale reputazione, il “Los Angeles Times”. Il suo critico è andato in tilt davanti alla visione delle “Amiche”. Che a 55 anni di distanza dalla “prima” italiana ha fatto il suo esordio in assoluto (e in copia restaurata) davanti al pubblico americano. Per il recensore californiano “Le amiche” è il miglior film di Antonioni (e fin qui non siamo troppo in disaccordo, l’opera vale certamente di più di altri lavori antonioniani di maggiore reputazione, da “L’eclisse” a “Deserto rosso”). Ma soprattutto anticipa di decenni una tematica che solo con la fine del secolo scorso è diventata familiare per lo spettatore. Che cosa c’è nelle “Amiche” che poi sarebbe stato rovesciato impudicamente, circa 40 anni più tardi in “Sex and the City”? C’è la banda delle amiche. Banda che non cambia mai anche se cambiano gli uomini attorno a loro. C’è l’atteggiamento delle vecchie ragazze del ’55 verso gli uomini (sono cacciatrici, cosa che all’epoca magari si faceva ma non si diceva). C’è la strada del “glamour” da percorrere a braccetto tutti i giorni (la via Roma di Torino anticipava la Fifth Avenue odierna). “Los Angeles Times” in questo gemellaggio abbastanza stupefacente, non manca di accostare attrice ad attrice, personaggio a personaggio. La Carrie (Sarah Jessica Parker) degli anni Cinquanta sarebbe Nene (Valentina Cortese), una ceramista di successo afflitta dai tira e molla di un mister Big piemontese impersonato da Gabriele Ferzetti. La predatrice e intrigante Momina (antenata di Samantha-Kim Cattrall) era interpretata da Yvonne Furneaux (la bellissima bruna della “Dolce vita”). La donna in carriera Clelia (Eleonora Rossi Drago) richiama Miranda (Cynthia Nixon). E la sensibilità morbosa di Rosetta (Madeleine Fischer) quella di Charlotte (Kristin Davis). Sarà. Ma per quello che mi ricordo, il tono delle “Amiche” era molto diverso da quello della famosa (o famigerata?) serie tv. Il pessimismo di Cesare Pavese (s’ammazzò per dispiaceri amorosi) accoppiato a quello di Antonioni (mai visto un film di Michelangelo dove i protagonisti vivevano insieme felici e contenti) è lontano anni luce dalla frivolezza ad oltranza, dall’amore che passa sempre vicino delle storie di Carrie e compagne. Nel finale delle “Ami - che” le amiche si separano senza più rivedersi. Rosetta, la sensibile s’è buttata nel Po per l’en - nesima delusione d’amore (Charlotte, al massimo, si rifà il lifting). Momina, la porcona intrigante è stata messa ai margini dalla Torino bene (ci vorrebbe altro per mettere ko la Samantha). Nene s’aggrappa al suo mr. Big con la disperazione di chi è all’ultima spiaggia, e la donna in carriera Clelia se vuol restare in carriera deve allontanarsi da Torino perché ormai nella capitale sabauda per lei s’è fatta terra bruciata. In una cosa però il paragone tra il vecchio film e la fatidica serie non suona improprio. Negli anni del dopoguerra del nascente boom, Torino era veramente la città più glamour d’Ita - lia, la prima che s’era riavuta dai guasti della guerra. Via Roma somigliava davvero a una main street di Manhattan. Nella città nella regione nel mondo imperava la Fiat di Vittorio Valletta (che con la 600 motorizzava tutta l’Italia). Nel jet set internazionale signoreggiava Gianni Agnelli, allora play boy a tempo pieno. E anche il cinema (incredibilmente) partiva dalle rive del Po. I grandi film italiani portavano la sigla Lux Film. Che aveva sede in borgo Po, e sovrano l’avvocato Gualino. Un avv che i big del futuro (Ponti, De Laurentiis, Silvana Mangano, Vittorio Gassman) andavano a riverire come una divinità.