Antonio Carioti, Corriere della Sera 17/8/2010, 17 agosto 2010
1870 QUEL BIGLIETTO CON CUI PIO IX RIFIUTÒ LA CITTÀ LEONINA
Lo Stato della Città del Vaticano poteva nascere sessant’anni prima, su un territorio più vasto e con una popolazione ben più numerosa. Questo almeno era il progetto del governo italiano, guidato da Giovanni Lanza, nel momento in cui i bersaglieri entravano nella Roma pontificia, il 20 settembre 1870, attraverso la breccia di Porta Pia. La sconfitta della Francia nella guerra con la Prussia e la caduta di Napoleone III, grande protettore dello Stato della Chiesa, rendevano possibile il compimento dell’unità nazionale italiana, ma era certo preferibile, anche per temperare le reazioni internazionali, che a Pio IX rimanesse un lembo di sovranità, come forma di garanzia della sua indipendenza da ogni potere secolare. Vi era tra l’altro un quartiere di Roma che si prestava alla perfezione: la cosiddetta Città Leonina, detta anche rione Borgo, che si stende intorno a San Pietro fino alla riva destra del Tevere, includendo anche Castel Sant’Angelo. Racchiusa tra le mura fatte costruire nel IX secolo da papa Leone IV, dopo che la basilica vaticana era stata saccheggiata dai saraceni nell’846, aveva da sempre uno statuto amministrativo autonomo rispetto al resto dell’Urbe, che la poneva sotto la diretta giurisdizione del pontefice. Con circa 15 mila abitanti poteva essere la base di una residua sovranità della Santa Sede. Com’è noto, l’esercito papale (quasi 14 mila uomini, di cui solo la metà italiani) offrì alle truppe sabaude una resistenza puramente simbolica per ordine espresso di Pio IX, che voleva evitare un inutile spargimento di sangue. Tutto si concluse in mattinata, con 49 caduti tra gli assedianti e 19 tra i difensori. L’atto di resa, firmato dal comandante pontificio, il tedesco Hermann Kanzler, e dal generale italiano Raffaele Cadorna, prevedeva appunto che tutta Roma fosse consegnata al re Vittorio Emanuele II, fuorché la Città Leonina. La clausola era stata espressamente voluta dal governo di Firenze (capitale del nostro Paese dal 1865 al 1871), con l’intenzione di lasciare al Papa un sia pur esiguo territorio. Infatti nella giornata del 20 settembre i soldati italiani si guardarono bene dall’attraversare ponte Sant’Angelo. L’indomani però, mentre il disciolto esercito del Papa lasciava Roma, Cadorna ricevette un biglietto in cui Kanzler, a nome di Pio IX, gli chiedeva di mandare le sue truppe nella Città Leonina per garantire la sicurezza della Santa Sede. In effetti nel quartiere Borgo si erano verificati dei disordini: secondo gli italiani «causati da sdegno popolare contro gendarmi pontifici»; per il Vaticano provocati da agitatori rimpatriati che pescavano nel torbido. Più tardi la stampa anticlericale avrebbe accusato Pio IX di averli fomentati a bella posta. Comunque sia, lo stesso 21 settembre Cadorna inviò due battaglioni nella Città Leonina. Ma fece notare, in una replica scritta al messaggio ricevuto, che lo stesso Kanzler gli aveva dato il giorno prima assicurazioni verbali circa il fatto che le milizie lasciate alla Santa Sede erano in grado di mantenere l’ordine pubblico nel rione Borgo. S’innescò in quei giorni una sorta di gioco del cerino: le autorità italiane avrebbero preferito abbandonare al più presto la Città Leonina, per dimostrare il loro ossequio verso Pio IX; ma il Vaticano stava bene attento a non legittimare implicitamente, accettando la fetta di Roma che gli si voleva lasciare, quella che riteneva un’inaccettabile usurpazione di tutto il resto del suo ex territorio. Una vicenda ricostruita su «Cristianesimo nella storia», rivista della Fondazione per le scienze religiose di Bologna, dalla studiosa Saretta Marotta, sulla base di documenti ottocenteschi ritrovati di recente tra le carte di Pio XI, che li aveva consultati nelle trattative per il Concordato del 1929. In quel fascicolo si trova per esempio una lettera di Cadorna al segretario di Stato pontificio, cardinale Giacomo Antonelli, datata 23 settembre 1870, in cui il generale proclama che le sue truppe entrate a Borgo «saranno immediatamente ritirate ad ogni minimo cenno» della Santa Sede. Della risposta, spedita il 25 settembre, ci sono due minute, che rivelano una stesura tormentata. Ma se nella prima versione Antonelli sembra lasciare spazio all’idea che la situazione di fatto sia temporanea, la lettera effettivamente recapitata chiude gli spiragli. Là dove si definiva «per ora opportuna» la presenza dei soldati italiani nella Città Leonina, l’espressione «per ora» sparisce. Forse in Vaticano vi fu qualche incertezza circa l’ipotesi di conservare il controllo su Borgo, ma venne rapidamente superata. Per giunta il 2 ottobre era previsto il plebiscito per l’annessione di Roma al Regno d’Italia. E gli ambienti patriottici si prodigarono perché la Città Leonina non fosse esclusa. «Nello stesso quartiere, in cui il sentimento anticlericale era abbastanza diffuso, vi fu un’ampia mobilitazione degli abitanti per partecipare: se si voleva sancire la volontà dei romani di ricongiungersi all’Italia, appariva inconcepibile che una parte di loro venisse privata di quel diritto e lasciata sotto il dominio assoluto del pontefice», spiega Gian Luca Fruci, studioso dei plebisciti risorgimentali e autore di un saggio compreso nel volume Vox Populi? (Clueb, pp. 212, € 22), curato da Enzo Fimiani. Così il governo di Firenze cedette e fu allestito un seggio anche per i residenti di Borgo. Le operazioni elettorali, come in tutte le consultazioni plebiscitarie dell’epoca, si svolsero in un clima di festa popolare, senza troppo riguardo per la forma. «Nel seggio della Città Leonina — riferisce Fruci — ci furono 1546 "sì" e nessun "no": al termine dello spoglio il risultato fu certificato da un notaio e poi le schede vennero portate in Campidoglio, accompagnate da un corteo popolare». In tutta Roma i voti favorevoli furono 40 mila, 46 i contrari. Nell’intero territorio laziale, 130 mila «sì» e 1500 «no». Pio IX bollò l’annessione come «ingiusta, violenta, nulla e invalida», dichiarandosi prigioniero del governo italiano. La nascita dello Stato vaticano era rimandata ai Patti Lateranensi del 1929.