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 2010  agosto 17 Martedì calendario

IN ITALIA 908 MILA GIOVANI INVISIBILI

Invisibili per la scuola o l’università, l’Inps, il fisco, gli uffici di collocamento. Sono i 641 mila giovani italiani fra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano ma nemmeno lo cercano, il lavoro. E la cifra arriva fino a quota 908 mila, se si estende la fascia di età fino a 29 anni. E’ quanto emerge da uno studio di Confartigianato. ROMA — Pure loro sono tecnicamente «invisibili». Ancora più degli esponenti di quelle tante categorie di lavoratori autonomi che non hanno protezione sociale. Invisibili per la scuola o l’università, l’Inps, il fisco. Perfino per gli uffici di collocamento. Sono i 641 mila giovani italiani fra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano ma nemmeno lo cercano, il lavoro. Un numero impressionante, considerando che si tratta del 10,5 per cento di tutte le persone di quell’età. E il bello è che di questi «invisibili» i due terzi circa sono al Sud: 415 mila, ovvero il 16,2 per cento di tutti i giovani meridionali. Quasi tre volte rispetto al Nord. Nelle regioni settentrionali coloro che si trovano in questa condizione sono 157 mila, ovvero il 6,5% del totale. Ancora meno, il 6,3 per cento, nel Centro: dove il loro numero non raggiunge i 70 mila, un sesto nei confronti del Mezzogiorno. Per un Paese sviluppato qual è il nostro si tratta di un fenomeno decisamente rilevante. Se poi la fascia d’età «giovanile» di estende dai 24 ai 29 anni, ecco che gli «invisibili» diventano addirittura 908 mila. E il loro peso sale ancora al 18,7% dell’intera popolazione italiana compresa in quella fascia d’età. Ciò significa che fino ai 29 anni è «invisibile» un giovane su sei.

Un segnale chiaro, secondo l’ufficio studi della Confartigianato che ha elaborato questi dati: con la crisi si è ancora accentuato nel nostro Paese il fenomeno della concorrenza sleale nei confronti delle piccole imprese regolari. Segnale che troverebbe conferma in altri dati preoccupanti. Per esempio la diminuzione del tasso di attività fra gli italiani della fascia d’età 25-54 anni. Fra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo di quest’anno è calato dell’1,2 per cento, passando dal 78,2 al 77 per cento. E questo mentre negli altri Paesi europei, dove il tasso di attività dei cittadini non più considerati in età scolare né ancora pensionabili è superiore a quello nostrano, si registravano aumenti pur modesti. Anche qui, se il peggioramento ha riguardato tutta Italia, è al Sud che il fenomeno si è sentito di più: nel Mezzogiorno la flessione è stata del 2,5 per cento. La Confartigianato ha stimato che durante la crisi economica ben 338 mila adulti fra i 25 e i 54 anni siano usciti dalla forza di lavoro, e di questi ben 160 mila donne: categoria che da noi ha il poco invidiabile primato europeo del minore tasso di attività (appena superiore al 46 per cento). Ben 230 mila sfortunati, pari al 68 per cento dell’intera platea, sono meridionali: 143 mila uomini e 97 mila donne.

Considerando tutto il Paese, nel primo trimestre di quest’anno i maschi «inattivi» non più in età scolare ma non ancora pensionabili erano un milione 361 mila, contro 4 milioni 628 mila donne. Totale: 5 milioni 989 mila persone, il 10 per cento dell’intera popolazione italiana. Più di un milione dei quali (esattamente un milione 69 mila) nella sola Campania. In questa regione i maschi fra 25 e 54 anni «inattivi» sono 277 mila, il 21 per cento del totale.

Per non dire poi dell’aumento del lavoro «autonomo» irregolare o «abusivo», come lo definisce l’organizzazione degli artigiani. La quale ha calcolato, sulla base dei dati dell’Istat, che tra il 2008 e il 2009 il numero degli occupati indipendenti non regolari è aumentato dal 9,2 al 9,4 per cento del totale della forza di lavoro autonoma, raggiungendo 639.900 unità. Parliamo di una cifra pari al 62 per cento di tutti gli occupati indipendenti nel settore manifatturiero. Si tratta anche di una quantità di persone pressoché identica a quella dei giovani «invisibili» fra i 15 e i 24 anni. Una semplice coincidenza, ma significativa.

Secondo la Confartigianato il flusso del lavoro irregolare viene alimentato anche da politiche del welfare profondamente distorsive. L’indagine porta l’esempio dei sussidi di disoccupazione in agricoltura che spettano a chi ha lavorato in un anno almeno 51, 101 o 151 giornate secondo i casi. E non manca di citare il Rapporto di monitoraggio delle politiche occupazionali di due anni fa nel quale il ministero del Lavoro denuncia apertamente «distorsioni e comportamenti collusivi». Nel 2007 hanno goduto delle varie indennità di disoccupazione, secondo l’Inps, ben 504.377 individui, cioè il 48,9 per cento di tutti gli operai agricoli attivi in Italia. Ma se nel Nord Ovest la quota dei beneficiati non è andata oltre il 14,4 per cento, al Sud è arrivata a uno stratosferico 65,4 per cento del totale. Dei 504.377 operai agricoli sussidiati dall’Inps, ben 422.337, ossia l’83,7 per cento, è nel Mezzogiorno.

I ltop sitocca i n Cal a br ia , con 100.757 disoccupati: numero pari quasi ai tre quarti (il 74,3 per cento) di tutti gli operai agricoli calabresi. Su livelli paragonabili anche la Sicilia, dove i destinatari di trattamenti di disoccupazione sono stati nel 2007 ben 116.589, il 74,2 per cento del totale. Seguono la Puglia, con 111.049 beneficiati (il 60,3 per cento), e la Campania, con 63. 982 di s occupati (65,7 per cento). All’opposto, la Lombardia, dove nel 2007 sono state corrisposte appena 5.024 indennità (l’11,1 per cento).

Ma se le cose stanno così, come meravigliarsi se proprio la Calabria è l’area della penisola dove l’illegalità nel mercato del lavoro raggiunge i livelli più elevati? Sempre nel 2007, ha stimato l’Istat, i lavoratori «irregolari» erano i n quella regione il 27,3 per cento di tutti quanti gli occupati. E quel che è più grave, il loro numero risultava superiore dell’1,3 per cento rispetto a quello del 2001, anno nel quale il governo (allora presieduto da Silvio Berlusconi) aveva approvato una legge con l’obiettivo di favorire l’emersione delle attività in nero. Provvedimento che si sarebbe però rilevato un sostanziale fallimento, come dimostrano proprio questi dati.