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 2010  agosto 17 Martedì calendario

NADJA, LA STELLA DEL POP A PROCESSO: «SÌ, NASCOSI L’HIV AI MIEI COMPAGNI»

E chissà quante tristi battute si sprecheranno, ora, su quel marchio che l’ha resa famosa. No Angels, «non siamo angeli»: si erano presentate così al pubblico tedesco, esattamente 10 anni fa, 5 (ma poi sarebbero diventate 4) ragazze giovanissime e sfrontate: Vanessa, Ludmilla, Sandy, Jessica e Nadja. Nei primi tre anni di vita, le «Spice Girls» della terra di Goethe e Wagner avrebbero venduto circa 5 milioni di album.

Ieri, Nadja Benaissa, l’ultimo «angelo», ha fatto il suo ingresso nell’aula del tribunale di Darmstadt — la più grande disponibile, per assorbire l’onda d’urto di fan, giornalisti e curiosi — in jeans e camicetta viola, i ricci scuri raccolti in una coda, le spalle piegate sotto il peso di un marchio molto diverso: in tempi fortunatamente dimenticati (ma sarà davvero così?), l’avrebbero chiamata «l’untrice».

Nadja, 28 anni, è sieropositiva. Sa di esserlo dal 1999, quando di anni ne aveva solo 17: resta incinta, si sottopone ai test di routine, ed ecco la doccia fredda. «Ero completamente sconvolta». La famiglia sa, la aiuta. Lei, dice oggi, reagisce nel modo peggiore: la rimozione. Con se stessa, con gli altri. O almeno, con tre uomini, con cui per 5 volte fa sesso non protetto. Uno di loro viene contagiato.

Lui ha 34 anni, e ieri sedeva a pochi passi di distanza da lei: si è costituito parte civile nel processo che vede la popstar accusata di lesioni e tentate lesioni gravi; rischia da 6 mesi a 10 anni. Dal momento che, all’epoca dei primi fatti, aveva ancora 17 anni, il caso è stato affidato alla giustizia minorile.

«Mi dispiace con tutto il cuore», ha dichiarato ieri Nadja. Ha ammesso tutto: di essere sieropositiva, di non avere avvisato i tre partner. «Non volevo che accadesse. Ma avevo perso completamente il controllo», ha cercato di spiegare, il volto rigato di lacrime. «Hai portato molto dolore nel mondo», le ha replicato il suo accusatore, che ha anche raccontato come la sieropositività della ex partner — la relazione, durata 3 mesi, risale al 2004 — gli sia stata rivelata solo nel 2007, dalla zia di lei.

Nadja non ha negato nulla. Ha però raccontato al giudice come il successo avesse contribuito a farle optare per il silenzio, «avevo una paura quasi animalesca delle conseguenze»; ha ricordato come sua figlia ne sia venuta a conoscenza dai media, «mentre io volevo prepararla, è ancora piccola…». Perché al centro del «caso Nadja Benaissa» non c’è solo la vita devastata di un giovane uomo. C’è anche l’interrogativo sul diritto alla privacy e i suoi eventuali limiti, insieme alla sgradevole sensazione di una rinata caccia all’untore. L’arresto di Nadja, l’11 aprile 2009, avvenne all’ingresso di un club di Francoforte dove era attesa per un’esibizione (si farà 10 giorni in cella). Il pubblico ministero dichiarò che «avevamo tenuto sotto controllo il suo indirizzo e constatato che spesso non era in casa». Il 14 aprile, la Bild — quasi 13 milioni di lettori — strillava a caratteri cubitali la sua sieropositività.

Oggi Nadja è diventata una testimonial della lotta all’Aids. Il 7 novembre scorso, a un galà benefico, aveva commosso tutti: «Mi chiamo Nadja Benaissa, ho 27 anni, sono madre di una bambina e positiva all’Hiv». Questa brutta storia, ha poi dichiarato al magazine gay Männer, potrebbe portare a qualcosa di buono, «i ragazzi — che oggi sanno sempre meno di Hiv e Aids — dovranno tornare a confrontarsi col tema». Lei, di certo, lo farà in aula, per altri 4 giorni di udienza. L’ultima è prevista per il 26 agosto: in quella data, gli altri «angeli» saranno chiamati a testimoniare. A quanto si sa, hanno scelto tutti di restare al fianco della loro compagna caduta.