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 2010  agosto 17 Martedì calendario

BIANCONI, L’EX MISSINO CHE NON SA TENERSI


Ad un certo punto — sono le quattro del pomeriggio, parliamo al telefonino — lui, Maurizio Bianconi, 64 anni, avvocato e deputato di ex osservanza finiana, vicepresidente del Pdl che disinvolto, in Transatlantico, sfoggia capelli lisci e lunghi e di solito tenuti schiacciati grazie a generose dosi di brillantina, dice con la sua erre alla francese: «Tra l’altro, mi creda: io, per quello lì, ho persino stima». Quello lì, scusi, chi? «Napolitano». Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica. «Esatto, mi garba. Anche perché di un comunista ti puoi sempre fidare. Purtroppo, in questa occasione ha avuto una reazione sproporzionata... evocare l’impeachment... ma su, ma come si fa?». Il capo dello Stato sostiene che... «M’ascolti: Napolitano sostenga un po’ quello che vuole, tanto io una mia idea, su quanto è accaduto, me la son fatta». E sarebbe? «Sa come si dice dalle mie parti?». No. Come si dice? «Non potendo bastonare il babbo, bastono il figliolo». Spieghi la metafora. «Il Quirinale bastona me, per non bastonare altri». Sia meno vago. «Altri... penso ai ministri Alfano e Maroni, che pure nelle scorse ore han detto cose simili alle mie... bastonare loro, beh, sarebbe stato un bel po’ più complicato».

Maurizio Bianconi racconta di essere nella sua villa di Forte dei Marmi — «ma non il villone che qualcuno descrive, solo una villetta che, certo, è comunque sempre meglio d’un calcio in bocca» —: stava vedendo un film di cow-boy, quando sul cellulare gli è arrivato un sms. «L’ho letto, e sono rimasto senza fiato...». Il titolo era: «Quirinale replica a Bianconi». Ora sospira: «Mi son detto: oh, ma Bianconi son io!».

Ironico, rapido, eccellente comunicatore; non casualmente, ad Arezzo, la città dov’è nato, diventa famoso a metà degli anni Ottanta: quando, su TeleEtruria, comincia a condurre un programma settimanale. Affronta temi politici e sociali, urbanistici ed economici. Televisivamente, funziona. Prende il tesserino da giornalista pubblicista. È quasi tentato di lasciare la carriera di avvocato. Ma poi ci ripensa, lo studio è ben avviato: con lui che è esperto in diritto industriale, commerciale e tributario.



Sono gli anni in cui, pur essendo sempre stato vicino al Msi (è consigliere comunale dal 1970 al 1974), ha una sbandata, un piccolo innamoramento per i socialisti. Che, però, dura poco. Rientra nei ranghi. Nel 1993 fonda il movimento «Unione dei cittadini». Due anni dopo, per Alleanza nazionale, arriva al Consiglio regionale.

«Per uno come me, cresciuto dentro il Movimento sociale, An era il sogno che si realizzava». E il Pdl? «Il massimo che potesse diventare An».

Molto amico di Altero Matteoli — «però non dica, come fanno in molti, che ambisco ad essere il suo erede in Toscana: perché non s’è mai visto un delfino di 64 anni» — eletto alla Camera nel 2008, è tra i primi a giurare fedeltà a Berlusconi e a lanciare una sottoscrizione per ricomprare l’appartamento di Montecarlo che fu di An e che ora è abitato da Giancarlo Tulliani, il fratello di Elisabetta.

Fino al giorno di Ferragosto, solo dichiarazioni schiacciate nei pastoncini politici. «Non sono mai stato uno da prima pagina, purtroppo». Poi, quell’attacco al capo dello Stato. «Attacco? Uff!.. Non scherziamo... L’ho anche detto a Cicchitto, che mi ha telefonato poco fa». Era seccato, Cicchitto? «No. Cicchitto mi vuole bene».

Si sentono — in sottofondo — altri telefoni squillare. E lui che urla (anche un po’ divertito): «Eh!... Uno alla volta... stiano in fila, per le interviste!». Si congeda con una raccomandazione: «Scriva, per favore, che sono felicemente sposato».

Poi si collega con il programma La Zanzara, su Radio24. Dice di non essere pentito, e per essere più chiaro, spiega: «Io avrò anche pisciato fuori dal vaso, ma il mio è piccolino, invece quello del Presidente è grande, molto grande e l’ha fatta fuori anche lui...».