Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 17/8/2010, pagina 72, 17 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
15 Gennaio 1938
Ha vinto il Lei
Dietro la testa dell’esercente è appeso al muro un cartello picchiettato di nero con la scritta «Guerra alle mosche». Il cliente, scacciando con la mano un nugolo di insetti, domanda al bottegaio: «Ma la guerra?» E l’altro: «L’hanno vinta le mosche». Sono anni in cui si affollano molte iniziative del regime stimolatrici di barzellette: l’oro alla Patria, il «passo romano» per l’esercito copiato dal «passo dell’oca» prussiano, la battaglia del grano con Mussolini trebbiatore a torso nudo, l’uso del ruvido orbace sardo per le divise fasciste, stoffe prodotte con caseina o ginestre, l’abolizione della stretta di mano in quanto saluto scarsamente bellicoso, e una pioggia di decreti contro il ricorso a vocaboli stranieri. Dietro molte di queste trovate c’è la fervida mente di Achille Starace, segretario del partito detestato dai massimi gerarchi che costringe a saltare nel cerchio di fuoco a prova del loro «fegato». Ma non è Starace a proporre l’abolizione del «lei». Uno scrittore fiorentino, piuttosto prolifico e di medio valore, Bruno Cicognani, sul «Corriere della Sera» scrive un articolo contro l’uso della terza persona femminile quando parliamo a un compatriota o riportiamo dialoghi in un giornale o in un romanzo. Cosa c’entra quella lei? Non solo è un giro tortuoso, barocco, spagnolesco, ma crea confusione. Sarebbe meglio se gli italiani, ormai tutti camerati fascisti, tornassero al semplice «tu» ovvero, a segnare rispetto e distanze sociali, al «voi».
L’autore non immagina di aver gettato un sasso nello stagno. Benedetto Croce, guru indiscusso dell’antifascismo che per tutta la vita a Napoli si è servito appunto del «voi», lo abbandona immediatamente a favore del «lei», l’uso del quale diventa così un gesto politico. E il fascismo reagisce con una grande campagna per l’abolizione del servile «lei» e impone ai suoi innumerevoli enti, a partire dalla scuola, un maschio ritorno al «voi». La rivoluzione non è agevole. Gli italiani, come ogni altro popolo, sono abitudinari e continuano a stringersi la mano con un sorrisetto e a chiedersi l’un l’altro «E lei come sta?». Finito il fascismo tutti tornano tranquillamente al «lei» con un senso quasi di liberazione. Ma a rileggere oggi l’articolo di Cicognani si vede che le sue argomentazioni non erano tutte da buttare. Il Verri, Annibal Caro, il Baretti, Leopardi non sopportavano il «lei», goffo, ridicolo, assurdamente inchinevole, oltre che imbarazzante eredità della dominazione spagnola. Hanno vinto le mosche, d’accordo, ma non è che quei neri insetti siano proprio il massimo.