Giampaolo Visetti, Repubblica 17/8/2010, 17 agosto 2010
LA CINA SORPASSA IL GIAPPONE È LA SECONDA ECONOMIA MONDIALE
Pechino - Dopo trent´anni la «lunga corsa» di Pechino taglia la penultima tappa e la Cina diventa ufficialmente la seconda economia del pianeta. La sua crescita si conferma incontenibile e più forte della crisi che corrode Stati Uniti ed Europa. Il sorpasso sul Giappone, Occidente dell´Oriente, era annunciato da tempo. Resta però uno shock e i mercati scommettono già sulla data del traguardo estremo. Entro dieci anni, ma secondo alcuni analisti prima del 2015, gli Usa perderanno anche il primato della potenza finanziaria. Per la prima volta la Cina del capitalismo autoritario determinerà la sorte dell´economia mondiale e mai una nazione comunista, considerata in via di sviluppo e con un basso reddito pro capite, potrà esercitare dalla vetta un´egemonia globale. E´ l´esito imprevedibile di tale scenario epocale, con un incerto braccio di ferro tra Washington e Pechino, a conferire valore alla conferma giunta ieri da Tokyo. Il sorpasso cinese non è in realtà ancora compiuto. Il Pil della Cina ha superato quello del Giappone solo nel secondo trimestre 2010, mentre su base semestrale il Sol Levante mantiene un piccolo vantaggio. Quantità, tendenza e velocità del recupero cinese costituiscono però la seconda parte della svolta. In assenza di imprevisti, entro fine anno l´arretramento economico di Tokyo sarà concluso anche in termini assoluti e la crisi di un modello, esemplare per un quarantennio, diverrà conclamata. Al boom della Cina corrisponde infatti la più lunga stagnazione giapponese del dopoguerra e i dati diffusi ieri dal governo, alle prese con i tagli di un debito pubblico prossimo al 200%, anticipano una fine d´anno ancora più difficile. Il prodotto interno lordo nipponico dei primi sei mesi dell´anno è stato di 2578 miliardi di dollari, rispetto ai 2532 di quello cinese. Tra aprile e giugno la Cina ha registrato però un Pil di 1339 miliardi, contro i 1288 del Giappone. Ancora più eloquenti i valori percentuali. Nei primi tre mesi del 2010 la crescita giapponese è stata del 4,4% rispetto al 2009, mentre nel secondo trimestre l´economia ha frenato fino al più 0,4%. Su base congiunturale la crescita si riduce fino all´1,1% tra gennaio e marzo e allo 0,1% tra aprile e giugno, rispetto alle attese di un più 2,3%. Quella che Tokyo ha definito «sorpresa negativa» va paragonata poi alle prestazioni di Pechino. La Cina, da dieci anni, vanta una prodigiosa crescita a doppia cifra. Nonostante la crisi mondiale del 2008, la sua corsa non si è mai fermata. Nel primo trimestre 2010 il Pil cinese è cresciuto dell´11,9% annuo, nel secondo del 10,3%. Gli analisti stimano un raffreddamento, che porterà la Cina a crescere del 9,2% tra luglio e settembre e tra l´8 e l´8,5 tra ottobre e dicembre. Mentre l´economia giapponese ristagna nonostante Tokyo faccia di tutto per tornare a crescere al massimo, quella cinese cresce nonostante Pechino stia cercando di calmarla. E´ questo il senso di un passaggio di consegne ancora non riconosciuto, ma destinato a segnare una fase della storia. Un Giappone anagraficamente invecchiato, economicamente saturo, industrialmente delocalizzato e monetariamente forte, che ancora negli anni Ottanta sembrava potesse contendere agli Usa la leadership mondiale, cede il posto ad una Cina più giovane, con enormi margini di crescita, ormai «fabbrica del mondo» e valutariamente debole. Il trend non è del resto figlio della crisi del 2008. Solo dieci anni fa la Cina era la decima economia del pianeta. Ha superato di slancio Italia, Gran Bretagna e Francia e, nel 2007, ha concluso il sorpasso sulla Germania ottenendo il terzo Pil mondiale. Nel 2009 ha strappato a Berlino anche il primato delle esportazioni, mentre a Washington ha sottratto la testa del mercato automobilistico. Da inizio anno è il primo esportatore del mondo, il primo consumatore di energia e il primo inquinatore ed è Pechino, principale player delle risorse in Asia, Africa e America Latina, a determinare il prezzo delle materie prime. Non è dunque l´inedito successo di tappa a turbare le cancellerie internazionali, ma la montante influenza complessiva di un Paese che resta fondato sulle esportazioni. Dietro le percentuali della crescita cinese si nasconde infatti un Pil pro capite da 3600 dollari all´anno, simile a quello di Algeria e Albania, incomparabile ai 46 mila dollari annui che può spendere un americano. E´ il nodo irrisolto dei consumi interni e di una classe media di 350 milioni di persone, nonostante i 586 mila miliardi del piano di stimolo dello Stato e i prestiti facili per la casa erogati dalle banche pubbliche obbligate a sostenere l´urbanizzazione, a preoccupare Borse e investitori. La Cina, un terzo del Pil Usa, sorpassa ma non convince. Il Giappone, restio a «mosse immediate» nonostante sia alla soglia della deflazione, viene superato e conferma la sua ventennale crisi di sistema. Così, ieri, pochi brindisi, anche in Oriente. In calo tutte le Borse dell´Asia, ad eccezione di Shanghai, Hong Kong e Taiwan. Anche il denaro emigra in Cina, verso le nuove piazze degli affari. Ma l´ultima frontiera della finanza, in fuga da Londra e Wall Street, resta un mistero.