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 2010  agosto 17 Martedì calendario

Argomenti di: Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, Volume II Tomo I, Laterza 1977. CAPITOLO IV La rivoluzione dei moderati (Integra schede 212481 e 216242) LA NASCITA DEL QUOTIDIANO "IL RISORGIMENTO" (15 dicembre 1847) Costo di un quotidiano «tra poco meno di un terzo e di un quinto di una giornata di salario nell’industria torinese, per non parlare degli abbonamenti, che tuttavia restavano la forma più comune di diffusione

Argomenti di: Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, Volume II Tomo I, Laterza 1977. CAPITOLO IV La rivoluzione dei moderati (Integra schede 212481 e 216242) LA NASCITA DEL QUOTIDIANO "IL RISORGIMENTO" (15 dicembre 1847) Costo di un quotidiano «tra poco meno di un terzo e di un quinto di una giornata di salario nell’industria torinese, per non parlare degli abbonamenti, che tuttavia restavano la forma più comune di diffusione. Esclusa perciò ogni finalità di profitto, e accantonati gli stessi problemi di equilibro aziendale, gli organi di stampa […] erano tutti imprese di modeste dimensioni, con tiratura imprecisabile ma che dovette restare» sotto le 2-3 mila copie [270] Una copia del Risorgimento costava L. 0,40, la Concordia L. 0,25 (0,30 fuori Torino), abbonamenti per tutti e due L. 12 bimestrale, L. 40 l’anno. Salario medio di un operaio torinese L. 1.25 al giorno, prezzo del Times 5d (L. 0,52) 1d per spese postali (L. 0,104) e1/2 d per il Supplemento (L. 0,052). Collaboratori autorevoli, redattori inesperti [271] «Il Risorgimento l’11 novembre 1848 versava l’imposta dovuta su 1500 abbonamenti. La Concordia nel febbraio 1848 contava un 2000 “associati”, sufficienti, secondo Valerio, a coprire le spese. L’11 dello stesso mese il Times vendette 30.400 copie, e nel 1850 la tiratura salì a una media di 50 mila copie, che divennero 69-70 mila nei giorni più drammatici della guerra di Crimea e che erano più di quanto vendessero tutti gli altri giornali messi insieme». Abbonati finali della Concordia: 1500, superando tutti gli altrri giornali ad eccezione della Gazzetta del Popolo che al 30 aprile 1850 vantava una tiratura di 10 mila copie [272] Caratteristiche della nascita di Concordia e Risorgimento in 272 e seguenti. Risorgimento: per la sola parte politica e letteraria Cavour era affiancato da un comitato di cinque membri [273] «Le eventuali passività non preoccupavano i promotori “lo scopo nostro non essendo di guadagnar quattrini, ma di illuminare il paese e di cooperare alla gran opera di Risorgimento cominciata dal governo” (Cavour a Giovanetti dicembre 1847)» [274] Accuse al Risorgimento di «aristocrazia, difesa del privilegio e tendenze reazionarie» [274] Frazionamento della proprietà (con prevalenza nobiliare) in 274 n. 12 Valerio scredita “Il Risorgimento”: «giornale che cercherà di fare al Piemonte quel male che il “Débats” produsse e produce in Francia». A ignoto (forse Giacomo Durando) 11 novembre 1847: «il partito aristocratico si va riordinando e, sotto la direzione di Cavour, sta mettendo insieme un giornale». Mazzini alla madre (16 novembre 1847): «Sento che a Torino si stabilisce un giornale, diretto da Balbo, Cavour etc. Mi spiace perché quei Signori sono addietro nel moto attuale, e cercano debilitanti dove abbisognano eccitanti» [274] Lotta sui collaboratori [274-275]. Massari incerto tra i due giornali che emigra in Toscana. «L’infame Massari» (Valerio). Terrorismo ideologico «che da allora era destinato a mietere tante vittime fra gli intellettuali progressisti, e ad occupare tanto posto nella vita delle società contemporanee. “Lo spavento è fra gli scrittori che temono l’impopolarità”» [275-276] Risorgimento su Concordia: «journal exagéré» loro s’indirizzano «surtout et uniquement aux gens de l’opinion modérée». [275] Prima pensa a settimanale [per far decantare voci di discredito], poi quotidiano. Primo numero 15 dicembre 1847, poi 21/12, 3/1. Il 1° gennaio Concordia, il 26/12 l’Opinione. Uscite regolari del R. dall’11 gennaio 1848. Messagiere torinese (Brofferio) bisettimanale. A Genova: 5/1 la “Lega italiana”. Primo numero del Risorgimento: «un articolo programmatico del Balbo tutto spirante moderazione, collaborazione fra principe e popolo, fiducia nell’opera rinnovatrice di Pio IX, e con uno di Cavour che sottolineava la stretta relazione tra la nuova vita di libertà e l’avvenire economico della penisola [276] . Collaboratori: Petitti, Santa Rosa, Castelli (vicedirettore), Ercole Ricotti, Giorgio Briano, Luigi Franchi, Pier Carlo Boggio, Carlo Bon Compagni, Francesco Ferrara, Luigi Carlo Farini, Filippo Cordova e, occasionalmente, Ruggero di Salmour, il Giovanetti «ed altri esponenti del liberalismo moderato» [277]. D’Azeglio corrispondente da Roma, poi Giuseppe Torelli, Reta se ne andrà [277] Varie tipografie. La metà dei tipografi erano compositori [277] 6-7 dipendenti all’inizio, una ventina a fine 1848 [277] La fisionomia del partito moderato si viene profilando tra novembre 1847 e febbraio 1848 [278] «Entusiasmo popolare e coperti disegni politici» che preoccupano fautori dell’assolutismo [278] Consumi e redditi stabili, il Magnaghi picchiato [278] «Nella capitale il movimento restava ancora saldamente nelle mani dei moderati: ma in molti ambienti era vivo il timore che presto esso sarebbe diventato incontrollabile, aprendo un processo che avrebbe travolto la stessa dinastia». Specie a Genova, manifestazioni antigesuitiche e antiaustriache. A corte schierati contro Carlo Alberto che aveva lasciato scoppiare il casino [279] Proposta del La Tour al re di concedere una costituzione di propria iniziativa [279]. Due camere, 6.000 di rendita in quella dei deputati eletti dalle province e esponenti di magistratura, università, commercio, agricoltura, clero, esercito. In quella dei pari nominati a vita, 25 mila lire di rendita, scelti di preferenza tra coloro che hanno reso un servizio allo stato, «e tra i capi delle magistrature più elevate, dal clero all’esercito». Il re poteva trasformare la paria in ereditaria e render nobili i deputati. «On a aussi en vue d’assurer à la Couronne une large part d’influence». Soprattutto unire alla nobiltà la «haute bourgeosie qui formera probablement la majorité des députés des provinces» in modo da contenere «la basse démocratie qui menace actuellement tous les Ètats italiens» [279]. Carlo Alberto respinge con irritazione, ma, scrive il Castagnetto: «cette idée circule réelement dans l’aristocratie la plus rétrograde, qui s’appelle maintenant codina» [280] Cavour, certo, dopo le riforme del 30 ottobre, che si sarebbe arrivati prima o poi al sistema rappresentativo: «ma si trattava per lui di una prospettiva lontana di anni». Critico per incertezza del governo. Timori quando si viene a sapere che il re sta male: allora urgenza «per sottrarre lo sviluppo delle istituzioni liberali all’alea della sopravvivenza del sovrano e di poterle così “asseoir sur des bases solides”» [280] «Tuttavia fu solo l’annuncio delle violente agitazioni antigesuitiche del 3-4 gennaio 1848 a Genova, e del successivo invio a Torino di una delegazione della città ligure che recava al re una petizione per l’espulsione dei gesuiti e l’istituzione della guardia civica (ventimila firme in due giorni) a persuadere Cavour della necessità di imboccare risolutamente la via delle richieste costituzionali» [281] Secondo numero del Risorgimento (21 dicembre 1847) dato alle fiamme a Genova dai democratici «per aver pubblicato una supplica al re di Napoli per le riforme» [281] Riunione all’Albergo (7 gennaio 1848) Europa vedi mio libro. Qui in 282 e seguenti. Secondo Cavour, costituzione da concedere «senza ambagi e francamente» «avanti che le agitazioni popolari facciano di un beneficio una necessità» [282] Valerio e Sineo «decisi a restare fedeli alla direttiva giobertiana di evitare ad ogni costo passi che potessero incrinare i buoni rapporti col re» rifiutarono la proposta di Cavour [283] Valerio a Gioberti, 16 gennaio 1848: «Vi so dire che giammai mi sono trovato in circostanze più dolorose, dovendo combattere quello per cui ho sagrificata tutta la mia esistenza». Massimo d’Azeglio a Balbo: «Abbiam veduto di quell’indirizzo di costì, ove era domandata una costituzione bell’e buona. C’era Cavour, Roberto ed uomini di garanzia, dall’altra parte Valerio e Sineo si son ricusati. Non capisco nulla se non mi dai la chiave» [283]. «Valerio restò dunque nettamente scavalcato a sinistra e la cosa si risolse per lui in una grave sconfitta, che si aggiungeva all’insuccesso già registrato con la secessione del gruppo dei fondatori de “L’Opinione” e alla sua incapacità di competere con Roberto d’Azeglio in fatto di popolarità. In una riunione della sera successiva a palazzo d’Azeglio, quando ormai era noto il rifiuto di Carlo Alberto di ricevere la deputazione genovese, il Durando presentò il testo di un indirizzo al re per la richiesta della costituzione: ma stavolta la violenta opposizione del Valerio e del Sineo riuscì a impedire che si giungesse a una deliberazione. Tuttavia Cavour persuase i direttori degli altri giornali, Durando, Brofferio e Predari a sottoscrivere con lui una relazione dell’accaduto, che fu inviata al re e nel tempo stesso ai giornali per la pubblicazione; la quale, impedita dalla censura in Piemonte, ebbe luogo ugualmente nei giornali toscani e pontifici. L’iniziativa fu accolta da Carlo Alberto con profonda irritazione: egli dichiarò al conte di Castagnetto “qu’il avait envie de faire empoigner Cavour et le cas échéant qu’il retirerait tout ce qu’il avait accordé…” e in effetti nei consigli di conferenza del 13 e del 17 gennaio si discusse se gli autori di quell’atto “intolérable” fossero passibili di provvedimenti penali. Si decise “malgré la perfidie de cette action” di non dar seguito alla cosa e di cercare invece il modo di limitare gli eccessi della stampa: ma tutto ciò non era che un aspetto di quelle impotenti velleità di resistenza che caratterizzano l’azione di Carlo Alberto in queste settimane, nelle quali il suggerimento di “s’élever à la hauteur des circostances” e di fare “sortir la troupe”, per dare “un exemple de force” e così “sauver la monarchie”, torna sotto la sua penna con una frequenza alla quale fa riscontro una totale mancanza di vera risolutezza. Al contrario l’azione di Cavour si sviluppa con lucida coerenza». 8 gennaio, sul Risorgimento, parla di «quella potenza dell’opinione pubblica che è fondamento di ogni ordine libero». [284]. «Il 15 gennaio, negli stessi giorni in cui il Consiglio di Conferenza discuteva di procedimenti penali contro di lui, additava l’insufficienza della stampa libera a illuminare correttamente il pubblico, qualora a sostenere e spiegare l’azione del governo non fosse intervenuta direttamente la “voce potente degli uomini di stato, degli uomini politici”; poiché “le grandi questioni politiche e sociali, per essere chiaramente concepite, rettamente intese dallo spirito pubblico, vogliono essere argomento di discussioni delle grandi istituzioni dello stato”. Egli era in effetti persuaso che solo sulla base delle istituzioni costituzionali sarebbe stata possibile una politica autenticamente moderata e liberale, opposta agli estremismi di destra e di sinistra. Quando poi cominciarono a giungere a Torino le notizie della rivolta di Palermo, che doveva far precipitare la situazione in tutto il regno meridionale, il Risorgimento ne attribuì la responsabilità all’ostinato rifiuto del governo di Napoli a concedere le necessarie riforme; e ancor prima che nella capitale subalpina si sapesse della costituzione napoletana, indicava apertamente, come “fine a cui debbono tendere i popoli italiani rigenerati… quello di ottenere tali istituzioni, per le quali i desiderii della nazione siano discussi con pubblicità e con piena libertà”» [285]. «Nessun giornale aveva svolto in quelle settimane una così coerente e sempre più aperta campagna in tal senso; ed essa fu intensificata alla notizia della costituzione largita da Ferdinando II» [285]. Perché non bisogna aver paura della costituzione [286] La Concordia «cercava parimenti di sviluppare la propria impostazione tendente, anche adesso, a mettere in primo piano l’istituzione della guardia civica, e ad accelerare le elezioni municipali, nelle quali la decisione spettava a un elettorato più largo di quello che prevedibilmente sarebbe stato ammesso alle elezioni politiche» [286] Seduta del decurionato di Torino del 5 febbraio 1848: Sineo porta avanti la proposta della Concordia, Santa Rosa insiste sulla Costituzione, Roberto d’Azeglio impedisce che la discussione degenri in tumulto [286-287]. Santa Rosa ammonisce di non consentire al metodo delle elezioni previste per i municipi e di non istituire una camera alta. Il re era già stato fiaccato «nel decisivo consiglio di conferenza del 3 febbraio». Nelle sfere governative convinzione che bisognasse cedere «a rischio di esser posti nell’alternativa di una repressione sanguinosa e d’incerto risultato o di una aperta rivoluzione; e queste argomentazioni fecero chiaramente valere il ministro dell’Interno, conte Borelli, in privati colloqui e poi in Consiglio di Conferenza. Se una Costituzione appare ormai inevitabile, sostenne allora il Borelli “il faudrait tout préparer pour la donner avec le plus de dignité possible pour la Couronne, avec le moins de mal possible pour le pays. Il faut la donner, non [pas] se la laisser imposer”» [287]. Argomento di Alfieri: «ne vaut-il pas mieux constituer légalement l’opinion dans un Parlement que de laisser cet état d’antagonisme, dont le choc direct et immédiat ébranle chaque jour la Monarchie jusque dans ses fondéments?» [288]. Il re tormentato dal giuramento del 1823, si raccomanda di non imitare servilmente le altre nazioni nella redazione del testo costituente. Vuole abdicare per via del giuramento e litiga con Vittorio Emanuele II – duca di Savoia – contrario anche a tutti quei contatti con i liberali («antica ostilità»). Sciolto dall’arcivescovo di Vercelli monsignor d’Angennes [288]. Consiglio di Conferenza del 7 febbraio. La Tour ci riprova, opposizione di Sclopis e di Borrelli, «il quale mostrò l’incongruenza del proposto sistema con i princìpi della costituzione rappresentativa, nella quale non si poteva “introduire des éléments spéciaux, car se sarait introduire un privilège». La Tour dovette dunque limitarsi a ricordare “qu’il faut distinguer dans la démocratie les propriétaires de ceux qui ne possèdent pas” e a raccomandare «que le gouvernement devrait s’appuyer sur les premiers, les autres étant de ceux qui tendent au désordre”. Ma in realtà era a tutti chiaro che il senso della costituzione stava nell’appello che lo sdegnoso autoritarismo sabaudo doveva ora piegarsi a rivolgere a quelle “classes moyennes, instruites, prenant part aux affaires publiques” la cui opinione “domine le reste et grossit chaque jour, “quoique arithmétiquement elle soit beaucoup inférieure en nombre à la géneralité de la population” (intervento del conte Gallina in consiglio di conferenza”). Alfieri ribadì che occorreva cedere alla tendenza del secolo verso la democrazia, e chiamare a funzioni di responsabilità “les personnes qui exercent un ascendant sur les masses et qui peuvent par conséquent ajouter de la force au gouvernement”. E alla fine di quel consiglio di conferenza, protrattosi per un’intera giornata, dopo un intervallo nel quale furono ricevuti i sindaci della capitale, latori dell’indirizzo costituzionale del decurionato, vennero approvate le Basi dello Statuto, così denominato per sottolinearne il carattere di autonoma emanazione dell’autorità reale; e con il suo annuncio, il giorno successivo, ebbe termine la vecchia monarchia piemontese» [289]. «Nessuno dei gruppi politici operanti sulla scena torinese aveva agito in questa direzione con tanta lungimiranza e coerenza come quello che si muoveva intorno a Cavour […] i risultati della prima apparizione del conte sul terreno della politica attiva erano già consistenti e nettamente visibili». [290] Regime costituzionale di tipo belga disegnato nelle Basi dello Statuto annunciate l’8 febbraio. Corrispondeva alle scelte di Cavour. «Non a caso “l’aristocratie” si mostrava “satisfaite”, mentre il “parti radicale” non celava il suo “désappointement”, pur associandosi alle manifestazioni di universale esultanza. Gli ambienti moderati, dal conte di Castagnetto a Santa Rosa a Cavour, erano infatti convinti che con lo Statuto si era sventata una manovra radicale tendente, da un lato, a ottenere la guardia civica “per trovarsi armati contro il governo e fargli violenza” (Santa Rosa nel consiglio decurionale del 5 febbraio), quando ancora era privo di quei mezzi efficaci di direzione dell’opinione pubblica che solo il parlamento poteva fornirgli; e, dall’altro, “a niente meno che a fondare sulle istituzioni municipali una Costituzione ultra democratica” (Cavour a Giovanetti febbraio 1848)» [290-291] Castagnetto: «Les codins sont tous pour la plupart partisans de la Constitution, dominés comme ils l’étaient par la peur e parce qu’ils espèrent ainsi se rattraper sur la Chambre haute» [290 n. 78]. Sineo il 5 febbraio aveva presentato richieste appoggiate dalla Concordia che aveva chiesto “l’armamento della Nazione”. L’ex mazziniano Elia Benza aveva sostenuto che «la rappresentanza municipale e di provincia sono i primi gradi necessari alla rappresentanza nazionale» eccetera. Qui comincia la discussione sul sistema elettorale su cui vedi scheda xxx.