Paolo Rumiz, la Repubblica 6/8/2010, 6 agosto 2010
Puntata n.06 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) L’EROE DEI DUE MONDI POLITICI - Devo trovarli, gli audaci in camicia rossa che hanno issato i tricolori sulla ciminiera
Puntata n.06 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) L’EROE DEI DUE MONDI POLITICI - Devo trovarli, gli audaci in camicia rossa che hanno issato i tricolori sulla ciminiera. Trovarli, anche in capo al mondo! Ma prima devo capire che fine hanno fatto quelle bandiere, tolte con prevedibile solerzia dagli amministratori di Montecchio. Che garanzia ho che non siano state buttate al cesso, conformemente a certo pensiero medio? E se esiste un Codice penale che ne impone la custodia, qui c’è qualcuno che l’ha fatto? Visto che a livello politico nessuno l’ha chiesto, tocca a me telefonare alla prefettura e porre il problema. Mezz’ora dopo mi richiamano per notificare l’accertamento: sì, le due bandiere sono custodite nella casa comunale. Nel pomeriggio, una mail del sindaco conferma. Ah, che fermento di vessilli a Montecchio! Il 25 aprile una pattuglia venetista (partito di riferimento nella maggioranza comunale) si è presentata in tuta mimetica al castello medievale sulla collina e ha issato il bandierone di San Marco per "liberare" il Vicentino dal peso della memoria resistenziale. Un commando anche quello, ma di tutt’altra risma. Questo, a missione compiuta, si è fatto fotografare con fucili mitragliatori in mano, poi ha mandato l’immagine alla stampa, che ha pubblicato senza commenti. La nazione va a pezzi così, in silenzio. E quelli che sparano sulla Resistenza sono, guarda un po’, gli stessi che tolgono il Tricolore e denigrano Garibaldi. Ma verso sera ecco la svolta. Le camicie rosse si fanno vive dallo stesso indirizzo mail col quale hanno rivendicato il blitz. I tre del commando hanno scoperto il viaggio su Repubblica e ora segnalano la loro bravata. Non sanno che sono già sul posto e conosco la storia. Rispondo e chiedo un abboccamento con garanzia di anonimato. "Verrò in camicia rossa, da solo", preannuncio. E dopo due ore ecco la proposta di abboccamento per l’indomani, "oltre frontiera" - la frontiera del Veneto - a Riva del Garda, capolinea del lago. Capisco che si fidano, mi identificano come una camicia rossa. E l’indomani eccoli, puntuali alle dieci sulla banchina. Non sono tre, ma cinque; e c’è una donna. Tutti del Nord, e solo due hanno accento veneto. Il più vecchio ha una settantina d’anni, il più giovane l’età del liceo. Riconoscono il modello della mia camicia rossa, appartenuta a Domenico Cariolato, il luogotenente di Garibaldi di cui hanno rivendicato la memoria nel blitz. Un altro punto in comune tra noi. Con due auto andiamo nella vicina Bezzecca, sui prati dove Garibaldi vinse nel 1866. I nostri spiegano i movimenti delle truppe su una mappa, ma soprattutto ridono del putiferio di Montecchio. Chiedo perché l’hanno fatto. "Per divertirci. Perché nessuno fa più queste cose. Perché vogliono toglierci anche lui. Perché la politica è diventata il regno dello sbadiglio. Perché provocare è l’essenza del garibaldinismo. E non siamo pochi. A Verona cento camicie rosse hanno occupato l’Adige per ricordare i Mille". Di che partito siete? "Di destra e di sinistra, il più giovane di noi è della Destra sociale, e Garibaldi è l’unico argomento sul quale non litighiamo. Lui va bene a tutti. È federalista come la Lega degli inizi, è duce combattente come piace alla Destra, è repubblicano di sinistra come i socialisti della Resistenza. Se tornasse oggi farebbe una strepitosa maggioranza. Lo scontro oggi è diverso dal passato: è tra chi crede ancora nella solidarietà e chi blandisce l’istinto primordiale dell’egoismo e delle cricche. Tutto qua". Come avete colpito a Montecchio? Il più vecchio: "Abbiamo studiato il terreno per due notti. Il luogo era frequentatissimo, è incredibile quanta gente circola di notte in Italia. Ma poi ci siamo accorti di una cosa: nessuno guardava in alto. Gli italiani non guardano il cielo, vivono rasoterra, digitando sms. Tutti così, dalla Sicilia al Piemonte. Caro mio, nei difetti siamo una nazione... Insomma, il luogo andava bene, nessuno ci avrebbe visto. Le previsioni dicevano che quella notte sarebbe stato bello e fresco con luna piena. Così abbiamo deciso. Abbiamo dormito in zona e messo la sveglia alle 3,30". La donna: "Quella notte non abbiamo chiuso occhio, io ho contato tutte le automobili che passavano. Siamo arrivati in bicicletta, per strade diverse. Uno di noi aveva una scala telescopica legata all’affusto, necessaria a superare i primi metri. Un altro portava il pacco dei bandieroni. A salire è stato uno solo, senza sicurezza dal basso per non insospettire; gli altri hanno fatto da palo". Il giovane: "Eravamo in rosso-garibaldi dalla testa ai piedi. Canotta, camicia e braghe. Abbiamo transennato in un lampo la ciminiera e affisso un cartello: lavori in corso, ripristino sovranità. In un quarto d’ora abbiam finito". L’alpinista del commando: "Salendo guardavo in basso, c’era gente che passava. Ma ce ne fosse stato uno, dico uno, che guardasse la notte stupenda che lo sovrastava. Quando sono sceso, il cielo si tingeva di rosa e io avevo esaurito l’adrenalina. Allora ci siamo dispersi, ognuno per la sua strada". Che bisogno avevate di restare anonimi? "Perché siccome non possono denunciarci per patriottismo, lo farebbero per turbativa della quiete pubblica. E troverebbero il modo di farci pagare quel costoso ammainabandiera, fatto con la gru anziché con un baldo giovane. Per noi la cosa più difficile è stato resistere alla tentazione di tornare per goderci la fibrillazione del paese. E oggi un bel colpo sarebbe riprendersi le nostre bandiere con un altro blitz". Torniamo per pranzo a Riva del Garda, in un locale dove il re delle due Sicilie, lo sconfitto Franceschiello, cenava come anonimo cittadino nel suo esilio in terra asburgica. I cinque mi sorprendono: "Fu lui il vero re galantuomo, non Vittorio Emanuele che fece sparare a Garibaldi sull’Aspromonte. Si arrese in piedi, mentre i suoi generali si lasciavano comprare dai Savoia". Raccontano di altre camicie rosse: di Giuseppe Zolli, il cui fantasma pare giri ancora per Venezia, o di Giovanni Pagano di Lugo di Romagna che andò a vivere a Trieste sotto l’Austria e creò un putiferio anche da morto, quando la folla si scontrò con i gendarmi che volevano impedire il suo funerale in camicia rossa. "Dicono che Garibaldi non amasse il Veneto, e invece lo amava eccome. Era semmai certo Veneto a essergli ostile. Nel ’67 a Vicenza Garibaldi fece un epico comizio per il suo candidato al parlamento. Nevicava, e fu un trionfo. Ma poi vinse un signor nessuno sponsorizzato dalle sacrestie. Capisci la delusione di Garibaldi? La Dc esisteva già allora... e la Lega di oggi è solo il suo ultimo travestimento. Ma adesso vai, vecchio mio, cerca l’Italia migliore. Ti bacio in fronte con la benedizione, come faceva mia nonna, sicura nell’assoluta efficacia del gesto. Fino all’anima, come quando si vive e si lotta nel sangue e nel fango". Indice della rubrica: 1386028 (n.1) 1386029 (n.2); 1386030 (n.3); 1386031 (n.4); 1386033 (n.5); 1386035 (n.6); 1386036 (n.7); 1386040 (n.8); 1386041 (n.9); 1386038 (n.10); 1386037 (n.11); 1386042 (n.12); 1386039 (n.13); 1386068 (n.14); 1386262 (n.15); 1386262 (n.16); 1386497 (n.17); 1386934 (n.18); 1386957 (n.19); 1387466 (n.20); 1387090 (n.21); 1387252 (n.22)