Paolo Rumiz, la Repubblica 4/8/2010, 4 agosto 2010
Puntata n.04 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) QUELLI CHE ODIANO I BACIAMANI - Sigari, camicie insanguinate, bastoni, pistole, bandiere sgualcite, calzini bucati, sciabole, ciocche di capelli, pallottole, peli della barba di eroi combattenti
Puntata n.04 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) QUELLI CHE ODIANO I BACIAMANI - Sigari, camicie insanguinate, bastoni, pistole, bandiere sgualcite, calzini bucati, sciabole, ciocche di capelli, pallottole, peli della barba di eroi combattenti. Che formidabile bazar il museo del Risorgimento di Vicenza! Trentacinquemila feticci, e non c’è più spazio per contenerli. "Non passa giorno che qualcuno non venga a portarmi qualche pezzo", sorride il direttore Mauro Passarin allargando le braccia. Centocinquant’anni non sono niente per una nazione, le soffitte dei veneti sono ancora piene di storia. Ma io non sono qui a cercare feticci. Voglio un uomo vivo, l’uomo che mi darà la divisa per il viaggio. Cariolato Domenico, classe 1835, luogotenente di Garibaldi. La sua blusa è rossa di sangue e di sfida, evoca il corpaccione che l’ha indossata meglio di una fotografia. Taglia extra large, impossibile non vederla nella teca. Non gli importava mimetizzarsi, al Cariolato, e non importava nemmeno ai suoi compagni. Le furie garibaldine volevano essere visibili. Vincevano così, spaventando prima di combattere. Prendo le misure delle braccia e della vita, scatto delle foto. Di lui mi dicono grandi cose. A tredici anni difese Vicenza dall’assedio austriaco. A 14 scappò a Roma a combattere per la repubblica e al momento della resa si presentò, lacero, al generale francese Oudinot e lo sbeffeggiò davanti alle sue truppe. Per la patria evase di galera. Con Garibaldi fece tutte le campagne, ne divenne il braccio destro. Ma il Veneto sa niente di lui. "Amico - vorrei dirgli - saresti una leggenda, in un altro Paese". Passarin maneggia la camicia con cautela, spiega che Cariolato combatteva contro il Papa-re, e questo "non gli impediva di avere un fratello prete". Da sempre il Veneto viaggia su doppio binario, è clericale eppur sovversivo, arroccato al campanile ma anche aperto al mondo. Nel 1860 questa terra di parroci mandò in Sicilia camicie rosse a migliaia. Solo la Lombardia fece di più. Non puoi intendere il Nord, se non capisci che è terra di combattenti. Rossi o verdi che siano. Tra montagne di faldoni sbuca un manoscritto. È la lettera che Garibaldi scrisse a Pio IX nel ’49, quando il Papa si rimangiò l’apertura liberale che aveva acceso di speranza i patrioti d’Italia. Faccio un salto sulla sedia. Parole tremende: contro i "negromanti", contro la stirpe di oscurantisti che "effemminò, rimpicciolì, curvò, rese rachitica, strisciante la razza italiana, a forza di baciamani, genuflessioni e ipocrisie". Ecco perché i libri di G. sono introvabili! Grondano feroce, durissimo anticlericalismo. È il pretismo, leggo, il motivo per cui "il più bellicoso e marziale popolo del mondo è diventato terra di monaci e sagrestani". Odiava i baciamani, Garibaldi, gli erano insopportabili. Ci avevano resi, diceva, conformisti e voltagabbana. A furia di genuflessioni si diventa gobbi, e invece "l’uomo libero deve guardare al cielo". Oggi la gobba ce l’abbiamo, eccome. Anni fa un ministro rispose proprio con la metafora della schiena a un intellettuale che gli chiedeva di raddrizzare certe storture del nostro ordinamento. Disse: "Sarebbe giusto farlo, ma Lei è giovane. Non si rende conto che l’Italia è come una persona gobba. Noi dobbiamo cucirle addosso un vestito su misura che si adatti alla sua gobba". Mai stato vero come oggi, col peggio del peggio che trionfa. Oggi ho accanto il luogotenente Cariolato che, almeno lui, ha la schiena dritta, e con lui vado a farmi finalmente la camicia su misura. Prendo il trenino per Schio, pieno di operai stranieri, e via tra i capannoni sotto l’ex frontiera del "todesco" che incombe dal Pasubio. Sonnolenza, sbattimenti, parole in russo, senegalese, arabo, serbo, impastate di chiacchiericcio veneto. Dueville, Thiene, Marano Vicentino. Nubi come cavolfiori, spade di luce, afa, lampi lontani. Al capolinea, sotto l’altopiano di Asiago lucido di pioggia, c’è Roberto Giordani che aspetta. È un mago, un inventore felice di abbigliamento da montagna, e non ha nessuna paura del rosso. I suoi scaffali grondano colore. Pure lui è un bastian contrario: più cresce e più diventa artigiano, più si espande e più si radica. La crisi lo avvantaggia, gli offre personale migliore. In un angolo ha ricreato l’antica bottega, lontano dal marketing e dagli incubi del reparto commerciale. La tana. È lì che ci chiudiamo a lavorare. Due stiliste, Lucia Calgaro e Isabella Crestana, mi fanno allargare le braccia, prendono le misure. L’ora di cena è passata, ma si divertono lo stesso. Taglia e cuci, come quando Roberto cominciò da solo, facendo sacchi a pelo e imbragature per gli alpini. Ordiniamo pizze per asporto, birra. "Mia nonna raccontava che sua nonna cucì la camicia di uno dei Mille", esulta un dipendente. Con Garibaldi è così. Pezzi di storia dappertutto. Parliamo dei veneti diventati filo-austriaci, dei libri di Pessoa e del Sudamerica di Garibaldi, e intanto la scarlatta prende forma. Alle undici è fatta, esce dalle mani delle fatine gemelle e mi sta a pennello. Ecco, ora sono nelle maniche di Coriolato Domenico, e fuori piove come sa piovere solo a Schio. Sarebbe tutto perfetto se su uno scaffale non trovassi uno spumante di nome Custoza, "cuvée Radetzky". Il nome di una sconfitta, e del nemico che ci umiliò. Sono pronto; ora manca solo l’investitura, e per quella c’è un posto solo. Asiago, dalla vedova del Mario. Anna Rigoni Stern, una roccia di 87 anni, stessa anima partigiana del marito, ma ancora più tosta. La chiamo, è felice di sentirmi e mi intima di sbrigarmi perché sta per mettere in tavola i bigoli col ragù di anatra. Quando arrivo alla casa al limitare del bosco trovo anche Gianni, il figlio, un orso grigio pazzo per la montagna come il padre. Nemmeno seduto, Anna già ordina: "Fate creser la barba; che garibaldin te si, se no te ghe la barba?". Insiste: "Un omo cola barba xe più bel. El Mario sensa barba me pareva un paiasso". Dopo il caffè, mi mette in mano le memorie dell’Eroe, un’edizione Einaudi introvabile. Poi va a frugare in un armadio e torna con un fazzoletto giallorosso di seta. "Tien qua, xe per ti", e me lo allaccia al collo. È fatta. Ride: "Te doveria cior anche un s’ciopo", e intanto sull’Ortigara tuona come nel 1916. Quale fucile, chiedo. E così la garibaldina Anna, classe 1923 da Asiago contrada Rigoni, scatta su per le scale e mi apre un armadio con una mezza dozzina di doppiette lucidate. Non sono del Mario, ma sue. Di Anna, la più infallibile cacciatrice dei Sette Comuni. Talmente brava che ai giochi del Littorio vinse il tiro a segno a 16 anni, in gara con gli adulti, con carta d’identità truccata. Dicono che domani farà bello. Forse è tempo di un bell’assalto in camicia rossa. Scendiamo a valle, ci divertiremo. Indice della rubrica: 1386028 (n.1) 1386029 (n.2); 1386030 (n.3); 1386031 (n.4); 1386033 (n.5); 1386035 (n.6); 1386036 (n.7); 1386040 (n.8); 1386041 (n.9); 1386038 (n.10); 1386037 (n.11); 1386042 (n.12); 1386039 (n.13); 1386068 (n.14); 1386262 (n.15); 1386262 (n.16); 1386497 (n.17); 1386934 (n.18); 1386957 (n.19); 1387466 (n.20); 1387090 (n.21); 1387252 (n.22)