Paolo Rumiz, la Repubblica 3/8/2010, 3 agosto 2010
Puntata n.03 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) QUELLA CASA ALLA BUD SPENCER - "UNA BANDIERA italiana?"
Puntata n.03 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) QUELLA CASA ALLA BUD SPENCER - "UNA BANDIERA italiana?". Il sarto non crede alle sue orecchie. Dopo l’eliminazione degli Azzurri dai mondiali, il tricolore non lo chiede quasi nessuno. Peggio: per la finale c’è chi ha ordinato bandiere spagnole, e nella notte della victoria si son viste gimkane in rosso-giallo-rosso. Penso: in fondo non c’è niente di strano. A furia di picconare il Risorgimento, siamo talmente a corto di eroi che dobbiamo appaltare quelli degli altri. Trieste è luogo di regate e sfilate militari, e alla vecchia sartoria del porto il lavoro non è mai venuto meno. Ma la produzione è cambiata, lo vedo dal retrobottega: aquilotti bicipiti di austriaca memoria, alabarde triestine, caprette istriane, persino scacchiere croate, e pochissima Italia. Ma è proprio per questo che voglio il tricolore. Bello grande, di tre metri per due. Per il gusto del controcorrente. Bandiera chiama vento, e due giorni dopo, quando vado a ritirare il vessillo, si sveglia la bora. E poiché nei viaggi c’è sempre qualcosa che somiglia alla provvidenza, ecco che l’amica Giuliana mi chiama per una breve uscita in barca. Già dopo mezz’ora passo davanti allo Yacht Club con a poppa il lenzuolo da battaglia grande come mezza randa. Per fissarlo abbiamo dovuto fare qualcosa di simile a una piramide umana. Puntiamo al largo in solitudine. Binocoli ci guardano. Non so cosa farò di quel bandierone. Intanto lo metterò in valigia, piegato come si deve. Le insegne sono una cosa seria. Quando i Romani furono annientati dai Germani a Teutoburgo, Augusto mandò a cercarle tra i cadaveri. E non ebbe pace finché non le riportò a Roma. "Grande bandiera, barca di destra", mi sfotte uno skipper con tricolore piccolo e malandato, che incrocio sotto il faro. Già, che ci faccio con quel panno esagerato? Son diventato di destra? Proprio io che detesto i nazionalismi, ho un cognome che finisce per zeta e covo nostalgie austriacanti? Non sarà che la politica s’è capovolta, non sarà che la destra si è fatta pappa e ciccia con chi butta nel cesso il tricolore, e ora tocca ai bastian contrari difendere unità, istituzioni, Risorgimento? Non che la sinistra sia di conforto. L’ho verificato ai primi di maggio, quando ho telefonato ai democratici in consiglio regionale. Ho detto: ragazzi, se per ricordare Garibaldi andate in aula in camicia rossa, giuro che vi sbatto in prima pagina. Proposta irresistibile per un partito d’opposizione oscurato dai media. E invece, due giorni dopo, m’è arrivato un curiale diniego. Ah, "tu sei l’emblema dell’ardimento / il tuo colore mette spavento", cantavano della loro divisa i garibaldini. Spavento al nemico, ovviamente. Oggi il rosso ardimentoso fa paura anche a chi dovrebbe indossarlo. Povero eroe, scaricato come da Simon Pietro. Dopo la Resistenza, anche il Risorgimento è out. A Verona c’è stato un convegno sui 150 anni dei Mille, roba con grandi nomi, ma l’università ha negato il patronato per codardia. Non si sa mai, con i padani al potere. Silenzio curiale anche lì. Al punto che il sindaco Tosi, Lega Nord, ha avuto tutto lo spazio per il bel gesto, e ha benedetto i relatori spiazzando i chierici tremebondi. Cosa siamo diventati? Nel ’48 l’università di Pisa mandò un battaglione di 600 volontari alla prima guerra d’indipendenza e trecento ne morirono a Curtatone e Montanara; da allora i cappelli dei goliardi pisani hanno la punta mozzata, in segno di lutto. Erano matti o avevano rettori di un altro stampo? Un disastro anche la ricerca della camicia. Rossa sul serio, come il sangue e la fiamma. Non rosso-cardinale, rosso-mattone, o rosso tendente al fucsia o al ciclamino. No, rosso esplicito, che non mente, che grida vendetta. Provate a trovarla. Impossibile. Uscita dalla produzione, dalla memoria, dall’immaginario. Capisco che dovrò farmela su misura. Ma dove trovare il modello? Nella teca di quale dei cento musei del Risorgimento d’Italia? Milano? Genova? Napoli? Ce ne sono nel più sperduto paese della Penisola. Magnifiche, spiegazzate, mangiate dalle tarme, con i bottoni in metallo fino a metà, il taschino, il ricamo sudamericano. Ma anche lì, missione impossibile. Scopro che sono tutte piccole, roba da bambini di 12 anni. Non è magnifico? Gli eroi che fecero l’Italia erano tappi malnutriti di un metro e sessanta. Era l’Italia che mangiava polenta e niente, l’Italia della pellagra e della malaria. Ma dove trovare una XL per me? Mi soccorre un libro con l’illustrazione di un luogotenente di G., grosso come Bud Spencer. Fatte le proporzioni, la mia taglia. Sotto c’è scritto: "Domenico Cariolato, 1835-1910, vicentino. Quattordicenne, combattè per la repubblica romana". Telefono al museo di Vicenza, il direttore conferma. La camicia è nella teca, "venga pure a prendere le misure". È fatta. Ma ora devo cercare qualche libro, e anche qua è un vero disastro. Testi di Garibaldi introvabili. Più facile leggerne uno di Federico di Svevia. Idem per i libri dei suoi aiutanti. Cesare Abba? Forse dagli antiquari, mi dicono in negozio. Ippolito Nievo? Mah. "Camicia Rossa" di Alberto Mario? Tra due settimane. La casa editrice che ha ristampato "I mille" di Giuseppe Bandi ha un nome che parla da sé: Eretica. I capisaldi della memorialistica unitaria sono quasi pubblicazioni clandestine. C’è un coperchio di piombo sul pentolone del Risorgimento. Per disperazione gratto alla porta di Marina Rossi, una studiosa di storia che i libri li terrebbe anche sotto il letto. Apre la porta con uno scialle russo a fiori di nome platok e mi fa entrare nel suo fortino della memoria. Muraglie di volumi, incartamenti, foto, oggetti dal Sudamerica, dai Balcani, dalla Siberia. Mi presta "Da Quarto al Volturno" di Abba. Siam messi male, concordiamo. Quando eravamo piccoli ci imbottivano di retorica, ma ora è lo sfascio. Abolita la geografia, scomparse le cattedre di storia del Risorgimento, chiusi i musei, silenzio sulla questione sociale. Bolle il samovar, Marina serve un infuso caucasico. "A pensarci, c’è stato un momento in cui s’è riflettuto sull’unità: gli anni Settanta, tempo di manuali scolastici eccellenti". Ne apriamo uno, il Bietti. Che tuffo al cuore! Magistrali citazioni di Verga, Cavour, Bandi, Abba. Chiarezza su Mazzini, Cattaneo e Garibaldi, che cercavano il federalismo e non la sciagurata alleanza che ci fu, fra i borghesi del Nord e i latifondisti del Sud. Chiarezza sulla sconfitta delle camicie rosse, scaricati come reprobi dopo la conquista delle Due Sicilie. "Quando le trombe suonavano all’armi / con Garibaldi corsi ad arruolarmi": così negli anni Cinquanta le patriottiche maestre di Trieste italianissima si sgolavano con noi scolari. Si sa, sulla frontiera, col nemico alle porte, si doveva stare all’erta. Il bianco era bianco e il nero era nero. Oggi invece parto, e non so quale Paese troverò. Indice della rubrica: 1386028 (n.1) 1386029 (n.2); 1386030 (n.3); 1386031 (n.4); 1386033 (n.5); 1386035 (n.6); 1386036 (n.7); 1386040 (n.8); 1386041 (n.9); 1386038 (n.10); 1386037 (n.11); 1386042 (n.12); 1386039 (n.13); 1386068 (n.14); 1386262 (n.15); 1386262 (n.16); 1386497 (n.17); 1386934 (n.18); 1386957 (n.19); 1387466 (n.20); 1387090 (n.21); 1387252 (n.22)