Cristina Nadotti, www.repubblica.it 14/8/2010, 14 agosto 2010
LONDRA
Idolatrati come i nostri campioni dello sport, immortalati con statue e iscrizioni come sulle nostre prime pagine, delle star di oggi gli aurighi della Roma imperiale avevano anche i compensi miliardari. Ben Hur, con le sue pericolose corse di bighe, guadagnava infatti quanto un atleta di caratura mondiale, anzi di più. Un professore statunitense di studi classici si è sentito in dovere di correggere - con un articolo pubblicato sulla rivista di storia Lapham’s Quarterly - l’affermazione del magazine Forbes su Tiger Woods, indicato come "primo atleta della storia ad aver guadagnato nella sua carriera più di un miliardo". "I guadagni del campione di golf - scrive il professor Peter Struck - sono nulla rispetto a quelli di un auriga delle corse di bighe nella Roma del II secolo dopo Cristo".
L’affermazione di Struck ha un riscontro preciso in un’iscrizione su marmo, ritrovata in una tomba a Roma, nella quale si cita l’auriga Gaius Appuleius Diocles, vincitore di quasi 36 milioni di sesterzi di premi, pari a circa 15 miliardi di dollari. Come oggi, Gaius Appuleius Diocles era pagato molto meglio di un importante funzionario statale, per esempio un governatore di una provincia dell’impero, e le sue ricchezze sarebbero bastate a comprare grano sufficiente a sfamare tutta Roma per un anno.
L’iscrizione non ci dice se i premi vinti dall’auriga erano i suoi guadagni netti o seppure doveva spartirli con la "fazione" per la quale correva, ma il lungo elenco di vittorie riportate nel testo fa pensare che l’auriga fosse tra i migliori sul mercato, conteso dalle scuderie a colpi di sesterzi. Durante le corse gli aurighi indossavano casacche rosse, bianche, blu o verdi, colori corrispondenti alle fazioni - notizie precise in proposito si hanno dagli storici latini Tacito e Svetonio - e l’iscrizione ci dice che Gaius Appuleius Diocles vinse gareggiando per tutte le fazioni, prima di "firmare" per un lungo periodo con i rossi. Di sicuro l’auriga miliardario non sapeva scrivere, visto che queste star avevano origini plebee, spesso erano schiavi che ottenevano la libertà con le corse. E c’erano come adesso sponsor disposti a sborsare grosse somme per assicurarsi il campione, allevare i cavalli e fornire bighe preparate come macchine di Formula 1. Il giro di affari e l’importanza degli spettacoli erano tali che a un certo punto le fazioni - e i tifosi che le appoggiavano - diventarono così influenti da identificarsi anche con partiti politici.
Un giro di soldi e un tale peso nella società del tempo sono spiegati con l’enorme seguito delle corse di bighe. Il Circo Massimo, lo stadio nel cuore dell’Impero, dove si tenevano gli spettacoli migliori, poteva ospitare 250mila persone. Rispetto ai nostri tempi mancava un sistema di abbonamenti e di prenotazione dei biglietti, e gli spettatori plebei arrivavano anche il giorno prima per accaparrarsi i posti migliori, mentre per gli aristocratici esistevano dei posti riservati.
Gaius Appuleius Diocles doveva essere di sicuro uno dei beniamini della folla, per la maestria con cui riusciva a districarsi nelle tremende accozzaglie di carri e cavalli e la destrezza con cui sapeva assestare una coltellata agli avversari che si avvicinavano troppo. Erano spettacoli cruenti, come il film su Ben Hur interpretato da Charlton Heston enfatizzava, e per arrivare alla fine dei sette giri e assicurarsi almeno uno dei tre premi un auriga doveva avere una buona dose di maestria e di fortuna. Gaius Appuleius Diocles, originario della penisola iberica e morto a 43 anni, i soldi se li deve essere anche goduti poiché, come dice l’iscrizione, riuscì a gareggiare per ben 24 anni.