Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 14 Sabato calendario

LA PROVERBIALE

pazienza dei russi è riuscita a fronteggiare qualunque sciagura. Abbiamo imparato a perire in massa, ma anche a sopravvivere in massa nelle condizioni più disagiate, a sopravvivere alla fame, alla sete, alle invasioni straniere e al totalitarismo sovietico. E oltre a ciò, abbiamo imparato a sconfiggere nemici apparentemente più forti, da Napoleone a Hitler. Ma non abbiamo finora imparato a sconfiggere l´aggressione del caldo che si è abbattuto sulla Russia.
Questo proprio ci ha trovato impreparati: non siamo come gli arabi della Penisola arabica, né come gli africani dell´Africa equatoriale. E neppure come gli italiani: in una giornata di sole usciamo fuori per rosolarci al sole e non per ripararci all´ombra. Soffriamo eternamente di una continua mancanza di calore. Siamo un popolo che intona inni al sole e non maledice i suoi micidiali raggi. Pushkin ha giustamente scritto che la nostra estate nordica non è che «una caricatura delle estati del Sud». Anche a me è sempre mancato in Russia il sole estivo. Da tutto il paese correvamo ad abbronzarci per le ferie al Sud, in Crimea o nel Caucaso.

Di fronte a qualunque catastrofe, sia essa naturale, sociale o militare, il potere prova sempre a minimizzare
Abbiamo comprato i ventilatori e indossato le mascherine E alla fine la calura ha dovuto soccombere

VIKTOR EROFEEV
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
Non abbiamo mai sentito il bisogno di fare una siesta. I nostri contadini l´inverno andavano in letargo. Noi abbiamo sempre avuto bisogno di doppi telai alle finestre, di stufe e camini, di fuochi accesi per la notte, e non di ventilatori e condizionatori. Siamo figli del riscaldamento centralizzato. Da noi a Mosca i solarium sono di moda quanto i ristoranti giapponesi. Ai primi di giugno può ancora cadere la neve e alla fine di agosto le pozzanghere possono ancora gelare, ed ecco che all´improvviso il caldo si abbatte su di noi. Un caldo inaudito. Per interminabili settimane. Con un obiettivo mirato. I nostri boschi di betulle hanno preso fuoco. Non si respira. La visibilità è nulla. Il Cremlino oscurato. Ci siamo rintanati nei nostri appartamenti. Abbiamo comprato tutti i ventilatori in commercio. Abbiamo indossato le mascherine. Non sappiamo, né forse sapremo mai, quante sono state le vittime del caldo e degli incendi. Ma pare che abbiamo vinto. Il caldo ha dovuto soccombere di fronte alla nostra infinita pazienza.
In questa vicenda del caldo che si è abbattuto su Mosca e degli incendi che hanno devastato la Russia centrale si ravvisa quasi la trama di un delitto perfetto. La sciagura è avvenuta, ma è impossibile individuare i responsabili. Non ci sono né incendiari, né sabotatori. Né criminali, né terroristi, né i soliti capri espiatori americani o polacchi. E neppure noi abbiamo colpe: non abbiamo fumato a letto, né abbiamo dato fuoco alla rimessa del vicino. Ci siamo ritrovati evacuati nostro malgrado!
Il caldo è il caldo! È venuto da solo. Da principio metteva anche allegria. Ci dicevamo al telefono: «Da noi fa più caldo che nel Sahara». «Nella Moscova si fanno bagni più belli che nel Mar Nero». Evviva!
Poi ci siamo soffermati a pensare: come è possibile? Nel caldo non c´è nessuna ratio. Esistono, tuttavia, strane coincidenze. Brucia il centro storico di Mosca. Viene colpito il cuore del paese. Un caldo torrido si è abbattuto dove non c´era mai stato. Ed ecco che allora, quando è impossibile trovare un responsabile, fanno la loro comparsa i nostri profeti. In tutto il loro splendore.
Noi, è fuor di dubbio, brilliamo per intelligenza dietrologica. Nessuno ha pensato che il caldo avrebbe prodotto una catastrofe. Nessuno se l´aspettava. Ma la cosa più terribile è un´altra: noi amiamo la nostra patria. Tutti noi amiamo la nostra patria, siamo dei patrioti, ma il nostro amore per la Russia è un amore strano. Non è neppure il caso di menzionare Lermontov turbato per le sorti di un paese diviso tra signori e servi, ma non per l´indifferenza amplificata dalla stupidità. Prendiamo altri esempi. Gogol conosceva bene i funzionari russi, e Saltykov-Shchedrin la storia tutta russa della stolta città di Glupov: siamo condannati a ripetere all´infinito questa infamia.
Le azioni del nostro potere di fronte a qualunque catastrofe, che sia naturale, sociale o militare, si presentano come una serie di misure poco oculate. All´inizio la catastrofe viene occultata, persino quando l´occultamento provoca la perdita di vite umane. C´è un momento di impasse durante il quale al vertice si susseguono frenetiche le consultazioni. Poi si minimizza, si tenta di trasformare la catastrofe in una catastrofe di proporzioni ridotte, in una banale bizzarria della natura. Per quale ragione? Per paura delle conseguenze sul piano sociale. La storia russa deve evolvere positivamente. Se Mosca va a fuoco è un colpo inferto al potere. Il potere non può dimettersi. È paralizzato. Quindi è costretto a sminuire la portata della sciagura. Chi la ingigantisce va eliminato con qualunque mezzo. Sono costoro i veri nemici. Più nefasti della catastrofe stessa.
E così si ricerca in qualche funzionario il responsabile della catastrofe. Per esempio, in un capo della Forestale che quando sono scoppiati gli incendi non ha voluto rientrare dalle ferie. Si era appena sistemato comodamente in Italia o a Bali e neanche a farlo apposta ecco che scoppiano gli incendi. Una vera ingiustizia! Certo è un peccato che i boschi stiano bruciando, ma le ferie sono più importanti. Per quale motivo? Ma perché non si tratta del suo bosco. Se fosse la sua dacia a bruciare, allora sarebbe un altro paio di maniche. La Russia è la nostra terra, ma è una terra che non ci appartiene come non ci appartengono i suoi boschi e i suoi campi. Comunque sia, con noi non hanno nulla a che fare. Non ci angustiamo, non ci preoccupiamo per loro. Solo l´aria ci appartiene.
Essa è un bene che condividiamo con lo Stato. Tutto il resto no, è qualcosa che esula da noi. La Russia in cui viviamo è un mondo estraneo a noi. Tutto ciò giustifica quel funzionario? Non saprei, ma sono certo che dalle sue disposizioni non dipende nulla. Non è per la sua inettitudine che sono bruciati i boschi, lui era in attesa di ordini. L´ordine di mobilitazione doveva arrivare dall´alto.
Ma questa volta il funzionario si sbagliava: l´hanno licenziato. A lui si può imputare gran parte della responsabilità della sciagura. Non importa, un altro funzionario del tutto simile a lui prenderà il suo posto. Probabilmente, il suo vice. Un altro che amerà i boschi tanto quanto li ama lui. Al suo sostituto è andata bene. Ora anche lui potrà fare le vacanze a Bali.
E poi si suonino pure le fanfare della vittoria. Dovunque non ci sono che cenere e detriti, non si riesce a respirare, né a vedere, la gente muore, ma la suggestione delle fanfare è più forte dei fatti. Bisogna soffocare il panico! Perché il diffondersi di certe voci? Certe voci si diffondono là dove si diffida delle parole del potere. I nostri amati funzionari, i nostri valorosi spegnitori di incendi, dovunque domano le fiamme e dovunque salvano vite umane. Tra l´altro, i nostri vigili del fuoco sono bravi a spegnere gli incendi. Ringraziamoli. E ringraziamo il nostro presidente che è rientrato dalle sue vacanze. Aveva ragione Pushkin quando affermava che in Russia l´unico ad essere europeo è il governo. Le mie parole si riferiscono a chi ha delle responsabilità. Non all´intero governo. Non so neppure se dai tempi di Pushkin il livello di europeizzazione dei nostri governanti si sia accresciuto o abbassato. È più probabile che si sia abbassato. Eppure abbiamo vinto. Attendiamo di poter affrontare con la nostra proverbiale pazienza altre prove!