M.Sid, Corriere della Sera 14/8/2010, 14 agosto 2010
(m.sid) Adesso c’è la sacralità del Ferragosto. Per carità. E, messo il timbro del tribunale fallimentare romano sulla liquidazione della Tirrenia, non c’è più un’urgenza tale da giustificare il lavoro dei liquidatori in queste ore
(m.sid) Adesso c’è la sacralità del Ferragosto. Per carità. E, messo il timbro del tribunale fallimentare romano sulla liquidazione della Tirrenia, non c’è più un’urgenza tale da giustificare il lavoro dei liquidatori in queste ore. Ma intanto i marittimi saranno imbarcati sulle 44 navi del gruppo che battono il Mediterraneo: Napoli-Palermo, Napoli-Cagliari, Cagliari-Trapani-Palermo, Genova-Olbia, Genova-Porto Torres e così via in una rotazione che si ripete ipnoticamente. I dipendenti di terra aspetteranno con apprensione nuove notizie sfogliando i giornali. E i marittimi sbarcati in attesa del prossimo turno saranno magari in apprensione per l’incertezza sul rientro. Il giudice, rispettando i termini di legge, ha dato tempo sei mesi al commissario straordinario, Giancarlo D’Andrea, per mettere ordine al meglio tra asset, debiti, convenzioni, rotte e traghetti. Il problema è che, volenti o nolenti, queste dure ma fredde procedure dovranno passare giocoforza anche dal personale. Per adesso nulla è stato deciso e di ragionamenti ce ne sono tanti. Ma è probabile che il caso Alitalia abbia fatto scuola. Allora era stata prodotta una bad company dove erano confluiti vecchi attivi meno appetibili, i debiti, alcune società satellitari ma anche gli esuberi. Poi Intesa Sanpaolo, banca creditrice del gruppo, aveva costituito la famosa «newco» dove erano passati gli aerei validi e i dipendenti ex Alitalia ma con un nuovo contratto. Ora è proprio questo il modello che potrebbe essere preso in considerazione dalle banche creditrici (Mps, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bnl e Crédit Agricole). In realtà, nonostante la gestione folle di questi ultimi anni che invece di affrontare la crisi ha puntato solo alla sopravvivenza il più a lungo possibile, dal «carrozzone» Tirrenia si possono tirar fuori ottime possibilità. In primis la flotta che nonostante i servizi e le offerte di bordo non più al passo con i tempi — sui traghetti alle 23 scatta il coprifuoco e non si trova nemmeno una bottiglietta d’acqua — dal punto di vista tecnico non sarebbe affatto male. La maggior parte dei traghetti sono usciti dalla Fincantieri, mentre molte navi più giovani vengono dai cantieri navali low cost coreani. E anche sul fronte delle direttive internazionali ed europee, come quelle che renderanno obbligatorie dal 2011 le controcarene per tutti i mezzi commerciali, i traghetti Tirrenia sono a posto. Poi ci sono le rotte: alcune capaci di produrre utili, altre che necessitano delle convenzioni in quanto giustificate dalla logica del servizio universale. E «infine» ci sono loro, i 1.646 dipendenti del gruppo. Se le rotte principali sono redditizie e se le isole minori vanno comunque collegate per permettere agli abitanti di evitare l’isolamento socio-economico allora il lavoro dovrebbe esserci. Ma a questo punto l’ipotesi più accreditata e che si debbano rivedere i contratti. Di certo non al rialzo. E poi c’è tutto l’indotto intorno al crac Tirrenia. Secondo alcune stime sarebbero circa 4.000 in totale i posti a rischio. Ma anche qui, andrebbero fatti i distinguo. Alcuni giustificati. Altri ereditati da tempi passati. Un caso per tutti Arbatax. La Tirrenia oltre a collegare Olbia e Porto Torres naviga anche verso Arbatax dove storicamente c’erano delle cartiere. Ma forse oggi, con il miglioramento della strada Olbia-Cagliari, si potrebbe anche pensare a una razionalizzazione dei collegamenti (i due porti sono a due ore di automobile). Insomma, la matassa non è certo semplice da sciogliere.