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 2010  agosto 12 Giovedì calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

19 dicembre 1932
Littoria e altre paludi
Mentre un balilla emozionato gli consegna le chiavi di Littoria (l’attuale Latina), Mussolini dà fiato a una di quelle sue massime che poi finiscono sui muri: «È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende». Nel soldato-contadino vede il proprio autoritratto nonché l’essenza del fascismo. La bonifica delle paludi pontine fra Roma e Terracina è iniziata da appena un anno con la deportazione di trentamila veneti, ai quali viene garantito un podere munito di casa, stalla e pozzo. Gli obiettivi sono gli stessi della «battaglia del grano»: ridurre la dipendenza dall’estero ed evitare che i poveri sciamino verso le metropoli. Littoria è stata costruita in pochi mesi: seguiranno Pontinia, Aprilia, Pomezia e prima ancora Sabaudia, dove si esalta il razionalismo architettonico degli allievi di Piacentini, i trentenni Montuori e Cancellotti. Nei loro progetti la torre del municipio è alta 42 metri, dieci in più di quella di Littoria, il cui podestà mette fieramente il veto. In democrazia una bega simile bloccherebbe i lavori. Ma le dittature vanno per le spicce: gli architetti scrivono al Duce che l’abbassamento della torre di Sabaudia guasterebbe l’armonia dell’insieme, Mussolini ordina di procedere e al podestà di Littoria non resta che abbozzare.
Gli inviati della stampa anglosassone sono entusiasti. Mettono a confronto l’economia dei due regimi autoritari - fascismo romano e comunismo sovietico - mostrando una spiccata preferenza per il Duce Trebbiatore. Così lo chiamano, con un tocco di humour che lui finge di non cogliere. Più delle paludi vorrebbe bonificare i caratteri, creando l’italiano nuovo. Fioccano decreti per multare chi suona il clacson, tassare gli scapoli che non fanno figli, perseguire l’assenteismo negli uffici pubblici. Resteranno lettera morta. Come le Corporazioni, dove padroni e dipendenti dovrebbero tenersi per mano sotto lo sguardo paterno dello Stato: presentate come il superamento del dualismo fra lavoro e capitale, si riducono a un’ingessatura burocratica che soffoca i conflitti sociali e consente di abbassare i salari del 20%, fra i peana dei giornali di regime per «la squisita sensibilità delle classi lavoratrici». Lavori pubblici e sostegni statali (pensioni, colonie estive) alleviano solo in parte i sacrifici causati dalla rivalutazione della lira («Quota 90», cioè 90 lire per una sterlina) e poi dagli effetti del crollo di Wall Street. Alla fine del ventennio fascista «avere mille lire al mese» sarà ancora un miraggio da canzonetta. Come l’italiano nuovo, affondato in una palude caratteriale che sembra impermeabile a qualsiasi bonifica. Lo riconosce persino lo sconsolato dittatore: «Governare gli italiani non è difficile. È inutile».