Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 11/8/2010, pagina 72, 11 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
6 luglio 1929
Il genio scomparso
A due passi dal Colosseo si discute la tesi di laurea di uno studente catanese con i capelli di bragia e la faccia da saraceno. La tesi s’intitola «La meccanica dei nuclei radioattivi» e porta la firma di Ettore Majorana. Il relatore è Enrico Fermi, il voto 110 e lode. In prima fila applaudono i compagni di corso: Segrè, Amaldi, Rasetti, Pontecorvo. Li chiameranno i ragazzi di via Panisperna, dalla strada che ospita l’istituto di Fisica in cui avviene quell’incrocio irripetibile di cervelli. Fermi è il capo e sa con chi ha a che fare: «Al mondo ci sono varie categorie di scienziati» dice. «Gente di secondo rango che fa del suo meglio. Gente di primo rango che arriva a scoperte fondamentali (qui probabilmente allude a sé stesso). E poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Majorana è uno di loro. Ha quel che nessuno ha, però gli manca quel che tutti hanno: il buon senso». Si sono conosciuti un paio d’anni prima: Majorana è prossimo alla laurea in Ingegneria, ma un giorno l’amico Segrè lo trascina in via Panisperna. Fermi sta lavorando al modello statistico dell’atomo e mostra al visitatore la tabella dei suoi studi. Majorana se ne va senza dire nulla, ma la mattina dopo ricompare con un foglio stropicciato fra le mani. Lo confronta con la tabella di Fermi: sono identici. «Prosegua pure, professore: è sulla strada giusta» gli dice, in una clamorosa inversione di ruoli. Però lascia Ingegneria ed entra nel gruppo. Che spasso le lezioni in cui Fermi riempie di numeri la lavagna, poi dice «Sono pronto» e Majorana, girato di spalle, dà la soluzione. Come tutti i geni, Ettore è scostante e solitario. Forse intuisce prima degli altri che via Panisperna finirà inesorabilmente a Hiroshima. Ma forse il suo è solo un problema di carattere: dissemina il talento su pezzi di carta che butta nel cestino. Fermi lo scongiura di pubblicare le sue scoperte. Lui minimizza, sostiene che si tratta di banalità. Fra queste «banalità», la famosa «equazione Majorana» che fungerà da base alla matematica quantistica.
I rapporti con gli altri «ragazzi» diventano sempre più radi. Finché prende un piroscafo per Palermo e scompare. Pochi credono al suicidio: prima di sparire ha svuotato il conto corrente. Intanto le leggi razziali scompaginano via Panisperna: Fermi e Segrè devono riparare in America. Ma il mistero di Majorana sopravvive alla guerra. C’è chi lo ha visto in Argentina e chi pensa di riconoscerlo in un barbone di Mazara del Vallo che risolve a memoria i problemi d’aritmetica degli scolari, ma l’ipotesi viene smontata dal procuratore di Marsala, Borsellino. Sciascia, lui è convinto che Majorana si sia ritirato in un monastero. E anche a noi piace immaginare che prima o poi, nell’anfratto di un chiostro, qualcuno troverà un foglio stropicciato con gli appunti della scoperta che salverà il mondo.