Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 10/8/2010, pagina 72, 10 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
6 febbraio 1927
Il ladro professore
«La Domenica del Corriere» pubblica la foto di un uomo ricoverato al manicomio torinese di Collegno. È stato arrestato dai carabinieri mentre vagava per Torino urlando e minacciando il suicidio. Mostra circa 45 anni, porta una lunga barba grigia, non ha documenti e non ricorda nulla di sé. La guerra è finita da un pezzo ma l’Europa è piena di madri, vedove, fratelli che si ostinano a ritenere vivo un loro congiunto dato per disperso. Si mette in contatto col manicomio il signor Renzo Canella che ha l’impressione di poter riconoscere il fratello Giulio, capitano di fanteria, scomparso in azione sul fronte macedone nel 1916. C’è un primo incontro con esito dubbio. Giulio Canella era un uomo coltissimo, professore di teologia, fondatore con Padre Agostino Gemelli di una dotta rivista cattolica. Lo smemorato ha alcuni tratti fisici che potrebbero coincidere con quelli del professore, ma per il resto il fratello è molto esitante. Si organizza un incontro con la moglie, senza ovviamente informare lo smemorato. I due si vedono per quattro volte e alla fine la vedova mette da parte ogni dubbio e «riconosce» il professore. Le autorità decidono di rilasciare il paziente e la coppia riunita torna a Verona. Ma pochi giorni dopo la polizia lo riporta a Torino con un pretesto burocratico: nel frattempo una lettera anonima afferma che il sedicente Canella è in realtà il tipografo torinese Mario Bruneri, latitante da anni, truffatore sotto varie identità e arrestato di notte nel cimitero ebraico di Torino, il 10 marzo 1926, mentre rubava un vaso di rame.
Da quel momento la storia prende l’andamento di un romanzo d’appendice, seguito in tutta Italia e all’estero da un pubblico affascinato. Non si parla d’altro. In ogni famiglia ci si divide tra Canelliani e Bruneriani. Arrivano decine di testimoni, vecchi compagni del tipografo, ex commilitoni del capitano, ex colleghi del professore e un turbine di scienziati, psichiatri, avvocati e beninteso giornalisti molto fantasiosi. Viene anche la moglie del Bruneri e c’è la scena madre delle due donne che si contendono lo stesso marito. La Canella si dice sempre più convinta dell’identità dello smemorato, la Bruneri è anche lei ostinatissima. Seguono ben cinque processi con colpi di scena clamorosi: lo smemorato è Bruneri. No, le prove non bastano. Sì, è proprio lui. No, non è lui. Infine la corte di Firenze nel 1931 decide, con un solo voto di scarto, che si tratta di Bruneri e lo condanna a scontare il breve residuo di pena per furto e truffa. C’erano fin dall’inizio le impronte digitali sul vaso di rame, come osserverà molti anni dopo Leonardo Sciascia, ma nessuno le ha prese sul serio. La famiglia Canella, compreso il falso professore, emigrerà compatta in Brasile, convinta fino in fondo della propria pirandelliana verità.