Varie, 12 agosto 2010
SCHEDONE TIRRENIA
La Tirrenia Società Anonima di Navigazione nacque a Napoli il 17 dicembre 1936 (per la storia vedi it.wikipedia.org/wiki/Tirrenia_di_Navigazione). Oggi è la più grande compagnia di navigazione pubblica d’Europa. “Alitalia del mare”, fino al 2002 sotto il controllo del ministero dei Trasporti attraverso Finmare, oggi è controllata da Fintecna, a sua volta controllata al 100% dal ministero del Tesoro. Emiliano Fittipaldi e Stefano Livadiotti (L’espresso): «A fine 2008 (ultimi dati certi) il baraccone dei traghetti doveva [...] restituire prestiti e finanziamenti per 758 milioni, potendo contare su un fatturato di soli 634 milioni, 251 dei quali derivanti per giunta da sovvenzioni pubbliche. Di quattrini la flotta di Stato ne ha bruciati davvero tanti: 6,4 miliardi in un quarto di secolo. Alcuni sono stati buttati direttamente dalla finestra: basti pensare che ha messo mano al portafoglio per comprare quattro navi veloci, scoprendo solo dopo che consumavano troppo e decidendo quindi di tenerle tutto l’anno all’ancora, con tanto di equipaggio. Risultato: secondo alcuni calcoli, ogni volta che la Tirrenia stacca un biglietto la collettività viene chiamata a pagare una tassa occulta di 15 euro». La situazione attuale ricorda quella dell’Alitalia. Massimo Sideri (Corriere della Sera): «Flotta in gran parte vetusta e antieconomica e contratti e numero dei dipendenti non più compatibili con la realtà di un ex monopolista che se la deve vedere con il mercato» • Dal 5 agosto la Tirrenia è nelle mani di un commissario, Giancarlo D’Andrea, che ha pieni poteri per gestire quel che resta della flotta di Stato e cercare di recuperare e condurre in porto una privatizzazione clamorosamente sfumata il 4 agosto. Amministratore unico dal 14 luglio (chiudendo l’era del presidente Franco Pecorini, Gentiluomo di Sua Santità al comando dal 1984), D’Andrea avrebbe dovuto gestire la fase di transizione verso i privati. A metà febbraio, quando la gara aveva preso il via, s’erano presentati in 16: i principali armatori italiani (tranne Gianluigi Aponte, c’erano tutti: dalla Moby alla Gnv) e una sfilza di fondi d’investimento (da F2i a Carlyle). A metà maggio, quando scadeva il termine per rinnovare le manifestazioni d’interesse, erano rimasti in otto. Alla vigilia dell’ultimatum per il deposito delle offerte vincolanti (lunedì 28 giugno), erano rimasti in due: il fondo Cinven e un’«armata Brancaleone» (l’Espresso) chiamata Mediterranea Holding il cui azionista principale è la regione Sicilia col 37%*. Quest’ultima pareva sul punto di concludere l’operazione per 25 milioni da pagare in dieci anni più l’accollamento di 520 milioni di debiti: è stata fermata da una clausola-capestro arrivata sul tavolo degli azionisti il 2 agosto che, di fatto, cancellava l’intesa bilaterale con Fintecna. Secondo gli accordi il passaggio delle azioni era vincolato alla condivisione dell’operazione da parte delle banche creditrici, la nuova clausola cancellava questo passaggio: anche in caso di parere contrario delle banche, che da Tirrenia avanzano crediti per 520 milioni, Mediterranea avrebbe dovuto procedere con l’acquisto. È qui che tutto si è arenato e sono iniziati a circolare retroscena politici che inviterebbero a leggere l’ultimo passaggio come uno sgarbo al presidente della Regione Sicilia Lombardo, «colpevole» di aver portato il suo “Mpa” all’astensione dal voto sulla sfiducia al sottosegretario Caliendo.
* altri azionisti Mediterranea Holding: l’armatore greco Alexis Tomasos, che ha il 30,5 per cento ed è anche l’ad della società; il gruppo Lauro con il 18,5; Isolemar (società che ha fra gli azionisti operatori del settore turistico e lavoratori marittimi) con l’8; l’ex presidente di Confitarma Nicola Coccia con lo 0,5; la famiglia Busi Ferruzzi con il 5,5 • Fittipaldi& Livadiotti: «La Corte di Giustizia dell’Unione europea vuole fare chiarezza sulle sovvenzioni ricevute dalla Tirrenia tra il 1976 e il 1980. Sostiene che sono state erogate senza che fossero ben definiti gli obblighi di servizio pubblico a carico della flotta di Stato e senza la certezza che le somme versate non fossero superiori ai costi sostenuti dal beneficiario. I quattrini potrebbero insomma essere considerati aiuti di Stato, in violazione delle norme. E in quanto tali da restituire. Così, quello che sulla carta doveva essere un buon affare rischia di trasformarsi in un trappolone. Gli armatori l’hanno capito per tempo e se la sono data a gambe. Lasciando campo libero alla cordata voluta dal governatore siciliano Raffaele Lombardo e dal suo seguace Giuseppe Maria Reina (sottosegretario ai Trasporti), più attenti agli aspetti politici dell’operazione. I due hanno fatto un sogno: trasformare la Sicilia nell’hub marittimo del Mediterraneo, finanziando il funzionamento della Tirrenia con i fondi Fas, quelli destinati alle aree sottosviluppate». Raoul de Forcade (Il Sole-24 Ore): «In ogni caso, la presa di posizione di Lombardo non chiarisce per quale motivo la Regione Sicilia, che avrebbe potuto acquisire gratuitamente la Siremar (Sicilia Regionale Marittima, fu fondata nel 1975, opera sulle coste siciliane, ndmp) col decreto Ronchi nel 2009, come hanno fatto la Toscana con Toremar, la Campania con Caremar e la Sardegna con Saremar, abbia rifiutato l’offerta del governo, partecipando poi alla gara per la privatizzazione in contemporanea (e a pagamento) di Tirrenia e Siremar. Tanto più che diversi operatori, fra questi l’armatore Vincenzo Onorato di Moby e Euan Lonmon, a.d. di Corsica Sardinia Ferries, entrambi ritiratisi dalla gara, hanno più volte spiegato che il loro interesse poteva concentrarsi su Tirrenia ma non su Siremar». Giuseppe Caronia, , segretario generale della Uil Trasporti: «La Sicilia ha capito di aver commesso un errore nel non accettare gratis la Siremar e ha cercato di rimediare con la newco». • Sponsorizzata dal ministro Matteoli, secondo molti l’operazione Mediterranea Holding sarebbe comunque stata una privatizzazione di facciata (criticata anche dalla Corte dei Conti) con la Tirrenia che sarebbe passata dal Tesoro a una cordata capeggiata dalla Regione Sicilia, e cioè dallo Stato allo Stato (L’espresso: «Un capolavoro all’italiana»). Da un punto di vista giuridico però l’alleanza tra la Sicilia e i privati era inattaccabile. E non c’era più il tempo per fare un altro bando, come fu per Alitalia: la privatizzazione va chiusa entro il 30 settembre 2010, pena problemi con l’Ue (che entro quella data pretende la privatizzazione). Per la “regionalizzazione” tifano anche i sindacati: preoccupati per il destino di «15mila famiglie» (parole di Caronia), non vogliono sentir parlare dell’ipotesi alternativa, la liquidazione chiesta fin dall’inizio dagli armatori. Fabrizio Vettosi, esperto di cabotaggio e direttore generale del Fondo Vsl, advisor di Cinven: «In un paese normale sarebbero state messe all’asta le linee di interesse pubblico, con un sicuro vantaggio per le casse dello Stato». Lo spezzatino farebbe risparmiare ai contribuenti molti soldi: «Sullo sfondo ci sono le concessioni per la garanzia del servizio pubblico: Tirrenia secondo l’attuale convenzione in scadenza al 30 settembre riceve 72 milioni l’anno. Gli acquirenti tra garanzie sulle rotte sia di Tirrenia che di Siremar avrebbero ricevuto 1,2 miliardi in 12 anni. Ma queste non possono essere né vendute né “spezzate”. Bisognava garantirle in tutta Italia per ricevere l’intera somma. Dunque, in caso di stop definitivo ai traghetti o di spezzatino non potrebbero essere replicate» • Il 12 agosto il tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato lo stato di insolvenza per Tirrenia, condizione necessaria affinché il commissario straordinario D’Andrea, in base alla legge Marzano nella variante approvata per l’Alitalia, possa decidere sul futuro degli asset per ripianare i debiti, che pesano per 100 milioni sul Tesoro e per gli altri 480 milioni circa su diverse banche (i numeri sui debiti cambiano da fonte a fonte, ndmp). Si apre così la procedura di amministrazione straordinaria per la compagnia. L’istanza per la dichiarazione dello stato di insolvenza era stata presentata dallo stesso D’Andrea. Il Tribunale di Roma con questa decisione si è ritenuto competente nonostante l’eccezione di competenza territoriale sollevata dalla Uil-Trasporti, secondo la quale il giudizio spettava al Tribunale di Napoli, dove ha sede legale il gruppo. Caronia: «Attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma che dichiara la stato di insolvenza di Tirrenia, e ci riserviamo di ricorrere alla Corte di Appello. Rimangono comunque per intero le nostre perplessità, ed a prescindere dalle questioni di carattere legale porteremo avanti con determinazione la nostra azione sindacale di contrasto ad ogni ipotesi di “spezzatino”. Nessuna sentenza può comunque far sì che il Governo si scarichi dalle proprie responsabilità e non apra immediatamente un confronto sulle sorti della Tirrenia e delle migliaia di lavoratori che rischiano il posto di lavoro». La Uil Trasporti non è comunque contraria in linea di principio alla privatizzazione: «Abbiamo chiesto allo Stato di mantenere una quota di controllo, ma non abbiamo alcuna pregiudiziale contro la vendita ai privati. Certo, si doveva procedere in modo più ordinato e non così precipitosamente. Ma non è stato un caso». Raffaele Lombardo: «Se vogliono fare lo spezzatino della società è una grande porcheria. È stata l’opzione di un Governo più che ostile verso la Sicilia, altro che “piano per il Sud”». Secondo Caronia il piano del governo era dall’inizio quello di far fallire Tirrenia per procedere allo spezzatino, privatizzazione che non danneggerebbe solo i lavoratori: «Il fallimento della flotta pubblica porterà a un aumento tariffario, alla cancellazione delle agevolazioni per i residenti nelle isole, alla perdita della continuità territoriale. Mentre resteranno le sovvenzioni pubbliche» • La Tirrenia pubblica ha poco meno di due mesi di vita: il decreto convertito in legge il 4 agosto, garantendo nuova liquidità alla flotta, permette di non interrompere il servizio di collegamento con le isole fino alla fine dell’estate. A fine settembre, in assenza di novità, toccherà all’Unione Europea intervenire per aprire una procedura d’infrazione contro il governo italiano, reo di non aver concluso il processo di privatizzazione • Un percorso obbligato dovrebbe portare in tempi brevi alla vendita della società: si passerà quasi sicuramente attraverso uno sdoppiamento contabile che da una parte assorbirà l’ingente debito contratto dalla flotta di Stato e dall’altra ingloberà tutti gli asset aziendali da vendere al miglior offerente: l’esito della gara servirà, in parte, a ripagare tutti i creditori del gruppo, ma è chiaro che a questo punto l’interesse per Tirrenia tornerà altissimo. Ripulita dai suoi debiti, la società richiamerà all’asta quei grandi armatori che erano rimasti alla finestra durante il bando poi clamorosamente naufragato e che potrebbero essere interessati ad assicurarsi i collegamenti con Sicilia, Sardegna e, in Adriatico, Isole Tremiti e Albania. Questa volta si punterà a scindere il “pacchetto” di vendita, che prima riuniva Tirrenia e la controllata siciliana Siremar, cercando di affidare quest’ultima alla Regione Sicilia. A questo punto si aprirà la gara vera e propria, con un confronto fra armatori italiani e stranieri. Fra i primi, potrebbero entrare in gioco sicuramente la Moby di Vincenzo Onorato, che pure sta riflettendo sulla sua quotazione in Borsa, mentre più defilati appaiono al momento Grandi Navi Veloci e Grimaldi. Si tenterà probabilmente di mettere a punto anche una nuova cordata, cercando di allargare la compagine a qualche fondo (come l’inglese Cinven). Forte, però, potrebbe a questo essere anche l’interesse straniero. Non bisogna dimenticare che in gara va un soggetto ripulito dai debiti e che ha sovvenzioni per circa cinquecento milioni di euro per i prossimi otto anni (Siremar invece ha dodici anni di sovvenzioni per circa 700 milioni di euro) • Dieci linee, tre stagionali e sette annuali, coperte da dodici navi, coprono il 70% del fatturato di Tirrenia. Se si procedesse con la vendita a pezzi della flotta, l´interesse sarebbe molto circoscritto. Oltretutto, si potrebbe procedere con la vendita dei beni, non certo delle linee (che qualunque armatore può aprire se le condizioni economiche della sua società e quelle operative della flotta lo permettono). Coccia: «Un privato può stare alla finestra e avvantaggiarsi della scomparsa di un competitor oppure scendere in campo. Io ho già vissuto un’esperienza per certi aspetti analoga, con la Starlauro che era in legge Prodi e che venne acquisita da Aponte, facendo poi nascere Msc Crociere. Ora ci sono le condizioni per ripetere l’esperienza, coinvolgendo grandi armatori. Restano poche settimane di tempo, prima che l’Ue metta in mora lo Stato italiano e apra una procedura d’infrazione». Intanto Uiltrasporti ha annunciato per il 30 e 31 agosto uno sciopero dell’intera flotta.