Varie, 12 agosto 2010
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Judt Tony
• Londra (Gran Bretagna) 2 gennaio 1948, New York (Stati Uniti) 6 agosto 2010. Storico • «L’ultima storia l’ha scritta su se stesso: osservando “la catastrofica progressione del proprio deterioramento” [...] ha avuto fino all’ultimo la lucidità dell’osservatore disincantato. Anche quando il soggetto da interpretare storicamente era lui stesso. L’autore della più rivoluzionaria storia d’Europa dell’ultimo secolo, Dopoguerra: com’è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi (Mondadori), è morto a 62 anni, arrendendosi alla malattia che aveva scoperto di avere nel settembre del 2008: quella sclerosi laterale amiotrofica, la Sla, conosciuta anche come morbo di Gehring, dal nome di Lou, l’eroe del baseball che fu la vittima più famosa. “A ben guardare” ha scritto Judt “la Sla costituisce un imprigionamento progressivo senza possibilità di libertà condizionata”. A quell’imprigionamento, lo studioso che nella sua vita si era rivoltato contro ogni schema, passando dal sionismo alla polemica aperta con Israele, si era ribellato nell’unico modo che conosceva: studiando. [...] Nato in Inghilterra, aveva studiato in Francia e mezza Europa per farsi poi adottare dagli Usa, di cui aveva denunciato l’imperialismo delle ultime amministrazioni. Ragazzino entrò nel movimento sioninista consigliato dai genitori, ebrei laici, perché potesse farsi qualche amicizia. Volontario nella guerra dei Sei Giorni, sulle colline del Golan arrivò alla conclusione che Israele stava sbagliando tutto e che la definizione di “stato ebraico” era un anacronismo. Nel 2003 fece discutere la sua proposta di due popoli in uno stato: Israele avrebbe dovuto accettare la convivenza tra arabi ed ebrei. In L’età dell’oblio (Laterza) ha invece raccontato “le rimozioni del ’900”: lui, ex fervente marxista, si definiva “un socialdemocratico universalista”. L’ultima conferenza l’ha tenuta [...] a New York, presentandosi in sedia a rotelle e con un respiratore. Disse: “I mie colleghi americani dicono che la mia perseveranza è edificante, ma io sono inglese. E noi inglesi non siamo mai edificanti”» (Angelo Aquaro, “la Repubblica” 8/8/2010).