Luciano Fruttero, Massimo Gramellini, La Stampa 9/8/2010, pagina 72, 9 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
1 gennaio 1926
Sceriffo antimafia
Di ritorno da un viaggio in Sicilia dove ha dovuto subire l’abbraccio appiccicoso dei padrini, Mussolini convoca un vertice al ministero degli Interni. «Per estirpare la mafia mi occorre un uomo nuovo, capace, inflessibile, esperto di cose siciliane senza essere siciliano». Gli suggeriscono il prefetto Cesare Mori, un pavese figlio di NN che ha lavorato bene a Trapani. «Ha un solo difetto, non capisce niente di politica» interviene Bocchini, il quale la capisce così bene che resterà capo della polizia per quasi tutto il ventennio. Mussolini alza le spalle: «Mi basta che sia duro con i mafiosi quanto lo è stato con i miei squadristi quand’era a Bologna». Gli lascia carta bianca e Mori dimostra di saperla usare, concependo la lotta alla mafia come un’operazione militare o forse come un assalto agli indiani. La mattina di Capodanno del 1926, al comando di ottocento guardie a cavallo, cinge d’assedio Gangi, la capitale dei mafiosi. Poi procede al rastrellamento casa per casa, sequestrando mogli e figli dei padrini per indurli alla resa. Concede un ultimatum di dodici ore, ma non sapremo mai cosa avrebbe fatto di quei bambini perché all’undicesima ora Gaetano Ferrarello, il «capo dei capi», esce dal suo nascondiglio, che manco a farlo apposta era nel sottotetto della stazione dei carabinieri. Il padrino, umiliato, si suiciderà buttandosi dalla tromba delle scale. La fuga di un altro mammasantissima, Carmelo Andaloro, consente a Mori di sperimentare la sua teoria: per battere la mafia, dice, bisogna che i siciliani abbiano più paura dello Stato che della mafia. Con lo schioppo in spalla, proclama: «Io sono il mafioso più forte di tutti». Di slancio i contadini chiedono di essere impiegati nella caccia al fuggitivo, il quale viene immediatamente catturato.
Sostenuto dalle sentenze rapide ed esemplari del giudice Giampietro, Mori ripulisce l’isola palmo a palmo, incitando i contadini alla rivolta contro gli sfruttatori e costringendo i padrini più in vista a scappare in America, dove impiantano la filiale Cosa Nostra: torneranno nel 1943 sulla scia dei marines. Finché, come chiunque combatta la mafia, si imbatte negli intrecci con la politica. Nei guai finisce il capo dei fascisti locali, Cucco. A incastrarlo sono le lettere anonime dei rivali di partito, che in tal modo si liberano di lui e ne prendono il posto nei rapporti con quel che resta della Piovra (qualcosa resta sempre). Il tempo di Mori è finito. Mussolini non vuole noie: lo riempie di complimenti e lo rimuove, promuovendolo senatore.