Luciano Fruttero, Massimo Gramellini, La Stampa 9/8/2010, pagina 72, 9 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
10 giugno 1924
Il buco nero
Il socialista Matteotti, detto Tempesta per il caratterino, viene aggredito sotto casa. Loschi figuri lo trascinano verso una Lancia Lambda in sosta da troppo tempo perché un portinaio incuriosito non ne prenda la targa. Così si risalirà al guidatore: Dumini, capo della Ceka, polizia fascista addetta ai bassi servizi. A bordo dell’auto Matteotti si difende come un leone: tira un calcio nei testicoli a un camerata, che per la rabbia lo colpisce a morte con un pugnale. Oramai in macchina c’è un cadavere e i criminali vagano all’ansiosa ricerca di un posto dove farlo scomparire. A sera si fermano in un boschetto e scavano la fossa, forse con la stessa lima che poi per sfregio gli piantano nel cuore. L’arresto di Dumini e il ritrovamento del corpo a ferragosto scatenano il putiferio. La stampa, ancora libera, mette in fila i fatti. Nell’ultima seduta della Camera, Matteotti ha denunciato dei brogli elettorali mentre i fascisti battevano i pugni sui banchi per mettergli paura. E alla fine del discorso Mussolini è uscito dall’aula livido in volto. Dal memoriale del suo portavoce si scoprirà che ha intimato agli sgherri della Ceka: «Quell’uomo non deve più circolare!» Matteotti si oppone al tentativo di assorbire i socialisti nel listone di governo e soprattutto ha le prove delle tangenti pagate al fascismo da una multinazionale del petrolio, la Sinclair.
Mussolini è abbastanza cinico da ordire un assassinio, ma non così stupido da organizzarlo tanto male. Probabile si sia trattato di eccesso di zelo da parte di servi sciocchi, oppure di un’iniziativa di De Bono, il gerarca più coinvolto nelle tangenti. Fatto sta che Mussolini sembra politicamente spacciato: un usciere di palazzo Chigi lo sorprende in ufficio a battere la testa contro il muro. Invece al Senato gli vota la fiducia persino Croce: per uno di quegli strani incantamenti collettivi, gli italiani si sono persuasi che il capo del fascismo sia l’unico freno contro gli squadristi. I quali, in effetti, gli rimproverano di aver fatto abortire la rivoluzione, riducendo la marcia su Roma a una parata innocua. La svolta avviene a Capodanno, quando i "consoli" della Milizia fanno visita al duce con la scusa degli auguri e lo minacciano: o ti carichi sulle spalle i nostri delitti oppure la rivoluzione la finiamo noi, stavolta contro di te. Mussolini non teme l’opposizione parlamentare, ormai confinatasi sull’Aventino, e neppure il Re. Ma gli squadristi sì. Ed è per tacitarli che il 3 gennaio 1925, alla Camera, inghiotte gli ultimi scrupoli legalitari e si toglie la maschera: «Assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di quanto accaduto. Gli italiani chiedono calma laboriosa e noi gliela daremo, con l’amore o con la forza». I prefetti sono inondati di circolari liberticide. È l’inizio della dittatura e al dittatore viene subito l’ulcera: per mesi andrà avanti a nutrirsi soltanto di latte.