Guido Compagna, Il Sole-24 Ore 7/8/2010;, 7 agosto 2010
QUANDO IL GOVERNO DI MINORANZA ERA UN’ARTE
Nulla osta a che in qualsiasi momento della legislatura il presidente del Consiglio, con un voto di fiducia, su una risoluzione politica o anche programmatica (i quattropunti dei quali ha parlato Silvio Berlusconi per esempio), voglia verificare in Parlamento l’esistenza o meno della propria maggioranza. Del resto nello stesso modo volle regolarsi Romano Prodi quando, nel 1997, dopo la decisione di Bertinotti di lasciare la maggioranza e la conseguente scissione di Rifondazione comunista, chiese (e non ottenne per un voto) la fiducia della Camera. E anche nel 2008 Prodi, dopo le dimissioni di Mastella, e il conseguente abbandono della maggioranza da parte dell’Udeur,preferì allacrisi extraparlamentare, la strada di sottoporsi alla bocciatura da parte del Senato.
Berlusconi, per ora, aveva scelto una strada diversa. In Parlamento c’è arrivato, ma non per un motu proprio, bensì perchè c’è stata la mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario Giacomo Caliendo. Più che ragionevole dal punto di vista istituzionale che di fronte ad un’evidente sofferenza della maggioranza, evidenziata dal voto sulla mozione del Pd e dell’Idv (respinta anche grazie alle astensioni), il premier voglia andare a un voto di fiducia peraltro fissabile soltanto a settembre inoltrato.
Osserva il costituzionalista Marco Olivetti che dal voto sulla mozione Caliendo il governo «è di fatto entrato nel novero degli esecutivi di minoranza. Intendendo – spiega – un governo che ha la fiducia del Parlamento, ma grazie alle astensioni, non potendo contare, almeno a Montecitorio, sul voto della maggioranza assoluta dei deputati».
Del resto, nella storia parlamentare italiana non mancano gli esempi di governi di minoranza. Si reggeva sull’astensione socialista il primo governo di Centro-sinistra presieduto da Fanfani nel 1960, per non parlare del Governo Andreotti della «non sfiducia» che poteva andare avanti per l’astensione del Pci, ed erano i tempi della cosiddetta solidarietà nazionale. E questi casi non hanno riguardato soltanto la prima repubblica, se si ricorda che era di minoranza il Governo Dini che contava sul voto a favore del Centro-sinistra e della Lega, ma c’era il voto contrario di Rifondazione comunista e la decisiva e «benevola » astensione del Polo.
Vedremo a settembre se Berlusconi chiederà o meno la fiducia in Parlamento sui quattro punti programmatici. Per ora non mancano i sospetti che l’appuntamento parlamentare potrebbe servire al premier come passo decisivo per andare al traguardo delle elezioni anticipate. Certo, non sembra essere nel Dna di un personaggio come Berlusconi l’idea di andare in Parlamento per farsi battere,
Precedenti illustri. Giulio Andreotti sostenuto dall’astensione Pci nei governi di solidarietà nazionale. Per Amintore Fanfani astensione socialista nel 1960 con il primo governo di minoranza che replicò nel 1987 dopo la rottura Craxi-De Mita.
magari con il voto contrario dai suoi. Allo stesso modo però è difficile pensare che politici accorti, come Fini, vogliano, votando contro, aprire la strada al voto anticipato.
Vedremo. Per ora si può ricordare quanto accadde con il varo del sesto governo Fanfani nel 1987 che portò l’Italia alle urne, dopo la famosa rottura del patto della staffetta tra Bettino Craxi e De Mita. Per ottenere lo scioglimento anticipato delle Camere la Dc fece mancare i suoi voti a quello che pure era un monocolore democristiano, che così andò in crisi a 11 giorni dalla sua composizione, ma che gestì le elezioni anticipate restando poi in carica fino al 28 luglio 1987.
Giochi di prima Repubblica? Forse. Ma va ricordato che all’autosfiducia per cercare di ottenere lo scioglimento del Parlamento ha fatto ricorso per almeno tre volte anche il governo federale tedesco (anche lì il potere di scioglimento è del presidente della Repubblica e non del Cancelliere): con Brandt nel 1972, con Kohl nel 1982, con Schröder nel 2005.