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 2010  agosto 07 Sabato calendario

IL CORSARO DI RAVENNA CHE SFIDÒ L’AMERICA

Quella del 1989 fu un’estate difficile per il gruppo Ferruzzi,all’epoca secondo polo industriale del Paese e uno dei leader sul mercato internazionale delle materie prime agricole. Lo scontro che contrappose l’azienda italiana al Chicago board of trade (Cbot), il più grande mercato a termine del mondo, fu epocale e nella storia americana non ha molti paragoni.
Il 14 luglio, in una Parigi addobbata a festa per il bicentenario della Rivoluzione, tra parate militari e delegazioni di capi di stato in visita ufficiale, Raul Gardini convocò in fretta e furia una conferenza stampa nel palazzo di vetro della Ferruzzi, agli Champs-Elysées, quartier generale dell’attività di trading del gruppo di Ravenna. La notizia, immediatamente diffusa dalle agenzie, era clamorosa: il Chicago board of trade aveva infatti ordinato l’immediata smobilitazione dei contratti a termine sulla soia, implicitamente accusando proprio l’azienda italiana di averne acquistati troppi, fino a mettere il mercato nell’angolo (il cosiddetto cornering ) per fini speculativi.
In quel momento, le società di trading della Ferruzzi avevano in mano contratti con scadenza luglio per circa 33 milioni di bushel di soia (l’unità di misura del settore: un bushel equivale a 27.216 chili), ma nei magazzini di Chicago la materia prima disponibile non arrivava a 13 milioni di bushel. In pratica chi aveva venduto i contratti a termine, a cominciare dai colossi del " grano e della soia", come Cargill, Bunge e Continental, non avrebbe potuto consegnare la merce, se non andandola a chiedere a chi ne aveva disponibilità, e cioè la stessa Ferruzzi che da circa due anni era diventato il principale acquirente del mercato.
Il gruppo italiano si trovò nella disponibilità di dettare le condizioni ai colossi americani del settore. A risolvere la questione ci pensò il Cbot, con il diktat che imponeva la liquidazione imme-diata dei contratti a termine, una decisione "contro" il mercato, a giudizio dell’organo di gestione e controllo della Borsa di Chicago resa indispensabile dalla distorsione che si era venuta a creare. I valori della soia crollarono del 50% e la Ferruzzi, costretta a vendere, accumulò una perdita di 435 miliardi di lire, che però in quel momento preferì non dichiarare interamente.
Gardini spiegò di non aver avuto intenti speculativi e che la soia serviva a far lavorare le fabbriche del gruppo, diventato il primo fornitore di mangimi proteici della Cina e il secondo della Russia. «Se togliamo gli speculatori, cioè quelli che cercano di guadagnare qualcosa a breve, senza sapere perchè e senza una morale - commentò qualche anno dopo - il mercato dei futures è ormai inadeguato, per effetto della crescita dei gruppi industriali: l’apparato di trasformazione della Ferruzzi aggiunse - richiede volumi impressionanti ».
L’imprenditore ravennate mandò a casa i vertici del trading, guidato da Roland Gagliardini, e aprì un contenzioso con la Borsa di Chicago, seguito dagli agricoltori americani che, guidati da Harvey Joe Sanner, un contadino dell’Arkansas, ritenendosi danneggiati dall’improvviso e artificioso crollo dei prezzi della soia, misero sotto accusa il Cbot. Ma senza ottenere effetti concreti. Per certo, la vicenda fece pensare a molti, soprattutto in America, che Gardini fosse un giocatore, un autentico gambler, mentre il presidente della Ferruzzi aveva animo e testa rivolti soprattutto all’industria e agli sviluppi strategici dell’integrazione tra agricoltura e chimica.
In Italia, l’incidente di Chicago ebbe risvolti anche peggiori. Nell’estate del 1989, Gardini era in piena battaglia per il controllo di Enimont (vicenda da cui è originata buona parte dei guai futuri della Ferruzzi) e per non mostrare debolezze finanziarie decise di non mettere a bilancio alcune perdite del trading ( 205 milioni di dollari su 315), una scelta che contribuirà a rovinare credibilità e immagine del gruppo, nel 1993, durante la bufera di Tangentopoli.
Ma il 14 luglio di 21 anni fa, nessuno poteva immaginarlo. La sera, al ricevimento di Francois Mitterand nei giardini dell’Eliseo, come riportato dal Corriere della Sera, Gardini incontrò il suo amico e stimatore Jacques Delors. «Che fai, ti metti a litigare con gli Stati Uniti», gli disse il presidente della commissione europea. «Se gli americani hanno paura di un piccolo europeo di Ravenna è buon segno», rispose Gardini. Ma non era così.