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 2010  agosto 07 Sabato calendario

Il Louvre rende più di tutti i nostri musei - Sacrosanto il dibattito lanciato da Luca Bea­trice nei giorni scorsi sul Giornale sulla sma­nia conservatrice dei soprintendenti

Il Louvre rende più di tutti i nostri musei - Sacrosanto il dibattito lanciato da Luca Bea­trice nei giorni scorsi sul Giornale sulla sma­nia conservatrice dei soprintendenti. Final­mente si ridiscute la figura del so­printendente come paladino del patrimonio culturale. La realtà è diversa: sono i corresponsabili dell’arretratezza del sistema. Se tutto nasce dal niet opposto dalla soprintendente Bonomi alla pro­posta del Direttore generale, Ma­rio Resca, di una mostra itineran­te dei Bronzi di Riace, la questio­ne non può non allargarsi al tema della redditività economica del patrimonio culturale. Quanto val­g­ono e rendono i nostri beni cultu­rali? La domanda non sfiora mini­ma­mente i soprintendenti preoc­cupati solo di chiedere risorse senza porsi il problema di come mettere a frutto i beni che gesti­scono. Eppure,l’asset su cui siedono è immenso: la stima (ancora inade­guata) del patrimonio culturale per l’anno 2005 è di oltre 16 miliar­di e mezzo di euro, di cui 26 milio­ni e 320 mila euro è il valore dei beni culturali gestiti dal solo Mini­stero dell’università e la restante parte dal ministero di via del Col­legio romano. L’interesse per le cifre non sta tanto nella possibilità di una di­smissione del patrimonio cultura­le ( possibile, ma giustamente con­dizionata dalla normativa) quan­to nella sua redditività. La Corte dei conti riferisce che al 2005 gli immobili culturali statali (e non quelli mobili) hanno fruttato solo 9 milioni e 600 mila euro, contro i 55 milioni e 664 mila euro che hanno reso gli immobili privi di in­­teresse culturale di proprietà sta­tale che sono stati concessi a terzi. Avendo reso nel 2005 almeno 6 volte di meno rispetto ad immobi­li comuni, paradossalmente il pregio storico-artistico di un be­ne sembra essere non un valore aggiunto ma una sorta di limite per una corretta redditività che, si badi, tornerebbe a vantaggio del­la tutela dei beni stessi, potendo così acquisire risorse da destina­re alla loro conservazione. Cosa che i soprintendenti non capisco­no in nome della «purezza della funzione culturale». Per avere un’idea della sottouti­lizzazione economica del patri­monio culturale italiano, si pensi che la somma di 17.584.283, 91 eu­ro incassata dal merchandising dei beni nel 2001 rappresenta cir­ca il 15% del medesimo settore del solo Metropolitan museum di New York, il 60% di quanto la fran­cese Réunion des Museés Natio­naux (RMN) ha incassato dalla vendita del solo Cd-rom del Lou­vre, l’80% di quanto fatturano in Gran Bretagna la Tate Gallery, la Victoria & Albert Museum e la Ro­yal Academy Enterprises, il 90% degli introiti annui della sola so­cietà commerciale che gestisce le attività di licensing e retailing del Museo Van Gogh! Anche la più elevata somma di 20.191.393,96 euro ricavata dal merchandising prodotto nel 2004 da tutti gli istituti e luoghi del­la cultura statali italiani è ampia­mente inferiore al volume d’affari delle istituzioni culturali stranie­re: secondo le mie ultime ricer­che, essa corrisponde al fatturato prodotto dal solo Museo del Lou­vre di Parigi, mentre è inferiore a quello della Tate Gallery e Natio­nal Gallery inglesi ( per complessi­vi 22 milioni di euro) e pari solo al 30% dei ricavi ottenuti dal Metro­politan museum di New York ( 68 milioni di euro). Volendo applicare al nostro asset gli indici di redditività econo­mica applicati in Francia, Gran Bretagna e U.S.A., i 20 milioni di euro dei ricavi del merchandising diverrebbero 80 se venissero applicati i parametri francesi, 120 se si utilizzassero quelli inglesi e 300 utilizzando, in­vece, il benchmark statunitense. In pratica, i ricavi complessivi au­menterebbero, a seconda dei si­stemi di riferimento, di 4 o addirit­t­ura 10 volte rispetto a quelli attua­li. Eppure, l’uso economico dei beni è pienamente consentito dal­la normativa: il problema sta «so­lo » nell’ostilità culturale dei so­printendenti. Si pensi che con tut­ti gli immobili culturali italiani, se­condo l’ultima indagine della Cor­te dei conti sul tema (nel 2005), nel periodo com­ preso tra il 1998 e il 2004 i siti culturali che hanno concesso in uso i pro­pri spazi dietro pagamento di un canone (per concerti, manifesta­zioni, riprese televisive, visite gui­date fuori orario, matrimoni) so­no stati solo 54. Ciò significa che, rispetto ai 461 di sola proprietà sta­tale esistenti, in 6 anni ben 407 musei non sono stati in grado di far fruttare il proprio patrimonio concedendo i propri spazi a paga­mento (o, semplicemente, non l’hanno voluto); si deve, perciò, solo ai 54 siti interessati l’organiz­zazione di 1.226 eventi, che han­no fruttato all’amministrazione 1.235.382,11 euro a titolo di cano­ne. Si noti che a questi «volumi» hanno contribuito per ben il 44% i siti delle Soprintendenze speciali e dei poli museali (Venezia, Firen­ze, Napoli e Roma); ma gli altri? Sempre secondo gli ultimi dati «certificati» dalla Corte dei conti nell’indagine n.22 del 2005,il pri­mo podio, per quanto non altissi­mo, è andato al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo di Roma che per 529 visite fuori orario ha introitato 80.613,78 euro (con una media di 152 euro a visita), mentre il fanalino di coda appar­tiene alla Galleria Spada, sempre di Roma, che è stata capace di lu­crare da 16 visite fuori orario poco più di un milione e mezzo di vec­chie lire: 788,33 euro per l’esattez­za, con una media ancor più bas­sa di 49 euro cadauno, meno del­la terza parte. Un autentico spre­co che in tempi di austerity nes­sun amministratore pubblico, so­printendenti inclusi, potrebbero permettersi. Nell’ambito dei complessi mu­seali, vi sono ancor più munifici direttori che si prendono finan­che il lusso di concedere gratuita­mente i propri spazi ad enti locali o ad altre istituzioni a seguito di specifici accordi giustificando la gratuità dell’operazione con l’esi­genza di incrementare la cono­scenza dei propri siti, come il Mu­seo Nazionale della ceramica «Duca di Martina» e la Rocca de­maniale di Gradara. Perché, mi chiedo, i direttori museali non vengono valutati anche per la ca­pacità di far fruttare il patrimonio culturale in consegna? Infine,nell’ambito delle soprin­tendenze speciali, nel 2004 gli in­troiti derivanti dalla concessione di spazi museali per l’organizza­zione di manifestazioni, mostre, ricevimenti ecc. sono stati 795.910,57 euro, cui ha contribui­to per quasi il 50% il solo polo mu­seale di Napoli con ricavi di 371.918,55 euro. Altre ipotesi di beni affidati in uso individuale hanno fruttato per tutte le soprin­tendenze italiane ricavi per soli 38.700,18 euro. Molto modesti an­che gli introiti derivanti dalle 7.017 riproduzioni di immagini di beni culturali, che hanno frutta­to 92.876,30 euro; di queste, più della metà (3.992) sono collegabi­li al solo Polo museale fiorentino. E gli altri? * Autore del saggio La redditività del patrimonio culturale (Giappichelli, 2006)