Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 7/8/2010, 7 agosto 2010
LA NUOVA VITA DELLA LIRICA POP
Paradossi operistici. Da una parte montano i requiem per la lirica, intossicata da scioperi, assemblee, teatri con voragini nei bilanci, violenze inflitte dalle frange più oltranziste dei sindacati a sovrintendenti costretti a ricorrere alla Digos (lo ha fatto di recente Marco Tutino al Comunale di Bologna), «riordinamenti» caotici del settore (alzi la mano chi ha davvero capito qualcosa del decreto ministeriale Bondi); e adesso, nel marasma generale, un teatro pubblico mette in cassa integrazione i suoi trecento lavoratori (è avvenuto pochi giorni fa al Carlo Felice di Genova): episodio senza precedenti, che testimonia l´agonia possibile di quell´insieme di istituzioni anti-economiche da cui traggono linfa e ragione d´essere le stagioni di lirica italiane. Dall´altra parte (e sta qui il paradosso) la più dispendiosa e affollata tra le arti dal vivo splende per popolarità: assai di moda nella sua enfatica natura démodé, colma di eccessi delittuosi e viscerali, grondante lacrime tutt´altro che furtive. Piace, in quest´epoca di assurdità esibite e conclamate, l´arte dell´assurdo per eccellenza: l´unico cosmo in cui, osservava George Bernard Shaw, «un uomo viene pugnalato e invece di morire si mette a cantare».
Ma quello della lirica è un trionfo nuovo che sta vivendo in gran parte fuori dai teatri, nel senso che l´opera si sposta, dilaga, evade dai preziosi edifici in cui è nata, mostra di sapersi adattare alle tecnologie più sofisticate, identifica strade diverse per comunicare al di là dei suoi luoghi deputati, incravattati e accessibili solo a prezzi proibitivi. E per esempio viaggia sugli schermi dei cinema con Rai Trade, la società di commercializzazione dei prodotti Rai che da tre anni porta in un centinaio di sale italiane i più importanti allestimenti operistici, molti dei quali (vedi il rito del 7 dicembre alla Scala) vengono trasmessi in diretta.
al Maggio Fiorentino alla Fenice di Venezia, dal Regio torinese al Massimo di Palermo, il meglio della nostra produzione lirica si riversa nei cinema digitalizzati (condizione necessaria per trasmettere via satellite) e con spettacoli finalmente accessibili al costo di un normale biglietto per un film. Il progetto si è esteso a una porzione sempre più vasta del pianeta grazie a un accordo con l´americana Emerging Pictures, distributrice delle opere italiane in cinema europei, statunitensi e australiani, e l´iniziativa si è rivelata talmente fortunata che sono in corsa per parteciparvi anche il Giappone e molti paesi del Sudamerica.
Un analogo discorso vige al Metropolitan di New York, che con un suo circuito e palinsesto specifico trasmette in diretta e in alta definizione le opere che produce di sabato pomeriggio, un paio di volte al mese, in vari cinema degli Stati americani, con plauso e afflusso di pubblico crescenti: in Florida e in Texas è bello dire «quella sera c´era anch´io». Intanto a Londra la Royal Opera House ha cominciato a organizzare le riprese filmate di opere (la prima, in autunno, sarà un hit come la Carmen di Bizet) per mezzo di tecnologie 3D. Lo sbocco commerciale sono i cinema di ultima generazione: quelli in cui, per intenderci, vanno indossati gli occhialini come per Avatar.
Ma l´attuale successo della lirica non s´alimenta solo dell´intreccio con tecniche innovative: vive del senso di un bisogno condiviso. Ce lo racconta l´espandersi dei titoli del repertorio tradizionale, opere di Rossini, Donizetti, Verdi e Puccini, proposte in mega-spazi all´aperto nelle rassegne estive metropolitane: territori caserecci, rassicuranti e informali, sempre estranei ai grandi nomi, spesso abitati da allestimenti mediocri immessi in condizioni acustiche infelici. Ciò nonostante preme una richiesta clamorosa. Negli ultimi giorni 6.300 spettatori hanno applaudito la rassegna "Lirica al Castello", programmata nel cortile del Castello Sforzesco di Milano; davanti a un tale consenso l´assessorato al turismo milanese sta meditando di esportarla anche in periferia.
Anche questo è un po´ il segno di un presente dove la parola "pop" sembra divenuta la chiave dell´esistere: pop come avvicinabile, commerciabile, anti-specialistico e alla portata di chiunque. Pop anche come pavarottismo e bocellismo, festivaloni e mercanti in fiera, recital di ugole d´oro (iniziò tutto con il trionfo de "I tre tenori") che si esibiscono all´insegna del "cross-over" (termine ossessivamente in voga negli anni Novanta). Pop come manie di arie d´opera gridate, sbriciolate, estratte dal contesto per filtrarle, diluirle e trasformarle in canzoni elementari. È all´esasperarsi progressivo di questo gioco di riduzioni spicciole che può attribuirsi l´odierno florilegio di soprani e sopranetti allo sbaraglio, tenori in erba e aspiranti baritoni, casalinghe in vena di deliranti gorgheggi canori e ring circensi alla De Filippi, la quale non a caso ha accolto nell´ultima edizione del suo Amici la categoria dei tenori. Tra i figli degeneri della mania del facile spiccano pure certe serate di avvenenza kitsch molto gradite alla televisione nazionale, vedi quella intitolata Lo spettacolo sta per iniziare, cocktail di lirica-pop e di suadenti o vibranti arie operistiche condotto dall´Arena di Verona, nel giugno scorso, da Antonella Clerici, spudorata nel narrarci Carmen «come fosse l´ultimo numero di Chi», scrisse per l´occasione Alberto Mattioli su La Stampa, e capace di conquistare un´audience impressionante (quattro milioni e mezzo di telespettatori). Sarà sempre l´Arena veronese, cornice fastosa che ben si presta alle dirette, a inaugurare l´"evento" degli Oscar per la lirica: serata d´avvio il 31 agosto, madrina la veronese Katia Ricciarelli, flash di star classico-pop quali l´onnipresente Giovanni Allevi e la ballerina prediletta dalle riviste pettegole Eleonora Abbagnato.
Al pubblico allargato della tivù, ma presumibilmente con ben altro gusto nella confezione, si rivolge anche il Rigoletto ideato dal produttore Andrea Andermann, pioniere dell´opera «fuori dai teatri», come dimostrò nel 1992 con una Tosca girata a Roma nei luoghi e nelle ore del libretto e nel 2000 con una Traviata trasmessa da cinque set parigini. Il nuovo Rigoletto (su Rai Uno e in Mondovisione il 4 e 5 settembre, con Placido Domingo protagonista e Marco Bellocchio alla regia) si svolge a Mantova, nei posti e nei tempi previsti dalla trama. Spettacolo vertiginosamente a rischio, sarà trasmesso in diretta in 138 paesi e coordinato da un impianto che collega i set dislocati in punti diversi della città e connessi al motore musicale del tutto, che è l´orchestra della Rai diretta da Zubin Mehta. Forse risiede anche qui, nel fuoco del tempo reale, la chiave della rivincita dell´opera: si scopre di poter compiere, con la più emozionale ed esagitata tra le performing arts, quello che già accade con le notizie e con lo sport, dove lo spettatore è calato nell´accadimento in fieri. Terra dell´irrazionale e dell´«immaginazione senza confini», scrisse un ammiratore entusiasta dell´opera come Rousseau, la lirica sa proiettarci in zone favolosamente conturbanti di noi stessi. E respirata dall´interno è anche più pazza.