Massimo Gaggi, Corriere della Sera 7/8/2010, 7 agosto 2010
LA VITTORIA DEL 50ENNE GIÀ VECCHIO PER GOOGLE
New York — Assunto da Google perché considerato un ingegnere dalla mente molto creativa, uno degli sviluppatori di AltaVista, primo vero motore di ricerca dell’era di Internet. Poi, appena due anni dopo, messo alla porta. L’azienda californiana dice che era culturalmente inadeguato alle esigenze aziendali. Lui, invece, sostiene di essere stato discriminato in base all’età dai suoi capi e anche dai compagni di lavoro che lo chiamavano «old fuddy-duddy» (vecchio imbranato, rincitrullito). E ha denunciato Google.
Dopo sei anni di battaglie legali — il licenziamento è del 2004, quando l’ingegnere Brian Reid aveva 54 anni — ieri la Corte Suprema della California ha riconosciuto la consistenza delle prove da lui esibite, stabilendo che Google dovrà essere processata per la vicenda. La fondatezza degli elementi non è, di certo, sinonimo di condanna: Google ieri ha negato di nuovo ogni discriminazione e si è detta pronta a difendere con energia davanti alla corte il suo diritto di assumere e licenziare sulla base di competenze e requisiti culturali e professionali ben precisi.
D’altro canto nella sua causa Reid sembra mosso, più che ragioni ideali attinenti all’etica del lavoro, dal fatto che il brusco licenziamento gli ha fatto perdere stock option che negli anni successivi sono arrivate a valere fino a 60 milioni di dollari. Titoli che, secondo lui, gli sono stati indebitamente sottratti.
La decisione della Corte Suprema, però, produce un mutamento del clima e ridà speranza a centinaia di «cervelli» che sono stati messi alla porta con l’accusa di essere arrugginiti. Si accendono i riflettori su quello che Mike Cassidy, commentatore del San Josè Mercury News, il quotidiano della Silicon Valley, ha definito il «grosso segreto sepolto nella Valle». In sostanza, mentre il resto dell’America comincia a soffrire soprattutto per l’alta disoccupazione giovanile — un problema ben noto e ormai cronicizzato in Europa — nella California dell’industria informatica si presenta il problema opposto: gli anziani (e nell’high-tech basta aver superato i 35-40 anni per essere considerati tali) vengono messi alla porta con grande facilità o, semplicemente, non vengono nemmeno presi in considerazione al momento di assumere.
Certo, le aziende negano ogni discriminazione, ma basta grattare un po’ sulla superficie per far emergere una realtà un po’ diversa: qualche tempo fa, ad esempio, alcuni docenti della scuola di management del Mit di Boston sono rimasti scioccati nel sentire Douglas Leone, un partner della celebre società di venture capital Sequoia, spiegare che i suoi investimenti sono concentrati sui giovani imprenditori perché «quelli che hanno più di 30 anni non sono più innovativi, al massimo possono essere dei manager decenti». Davanti alla sorpresa dei docenti, Leone ha spiegato che questo vale soprattutto per l’informatica e le reti sociali, mentre in altri settori, come le tecnologie verdi o i semiconduttori, si trovano anche persone con qualche anno in più dotati di esperienza e idee valide.
Il senso del ragionamento è chiaro e i dati dell’occupazione nella regione lo confermano, con una quota di lavoratori ultracinquantenni che non supera il 17%, mentre nel resto del Paese questo gruppo copre poco meno di un terzo della forza lavoro. È facile imbattersi in ingegneri e programmatori che, lasciato l’impiego per tentare un’avventura diversa o per curare un parente malato, poi non riescono più a trovare lavoro, pur essendo molto preparati. Alcuni sostengono che le aziende preferiscono giovani senza esperienza non per la loro mente innovativa ma perché costano meno. Altri dicono che basta avere la barba bianca per far fallire in partenza il colloquio per l’assunzione. I più combattivi, ora, hanno formato una rete di solidarietà e si sono dati un sito, OurExperienceCounts.com, per scambiarsi informazioni e premere sulle aziende. La decisione della Corte Suprema è, ai loro occhi, il trampolino di una possibile rivincita.