Indro Montanelli, Corriere della sera 7/8/2010, 7 agosto 2010
A SCUOLA DI REALISMO DA CAMILLO «IL CONTADINO»
L’articolo che segue è stato scritto da Indro Montanelli e pubblicato da «Il Giornale» il 16 marzo 1977, con il titolo «Al passo con la storia». E’ un ritratto formidabile di Camillo Benso, conte di Cavour, al centro di una polemica tra il grande giornalista e lo scrittore Carlo Cassola.
Qualche settimana fa, di punto in bianco, apparve sul Corriere un articolo di Carlo Cassola in cui con molta serietà si diceva che Cavour non era stato quel grand’uomo che tutti credevano, e che ciò ch’egli aveva fatto era il contrario di ciò che si doveva fare. Il bello è che Cassola esponeva la sua scoperta sul tono accalorato e convinto di chi crede di essere il primo a farla e di dare un ribaltone a verità contraffatte e diventate ormai luoghi comuni.
Si dirà che un romanziere — e Cassola lo è — non è tenuto a saper di storia. Infatti è tenuto soltanto a non occuparsene. Comunque, gli consigliamo di leggere con urgenza il secondo volume del Cavour, che Rosario Romeo pubblica proprio in questi giorni per i tipi di Laterza; eppoi di scrivere un altro articolo per chiedere ai lettori scusa del primo. Siccome Cassola è un galantuomo, siamo sicuri che lo farà.
Romeo infatti ci sta dando un’opera (il volume attuale, diviso in due tomi, si ferma al 1854), dopo la quale su Cavour non ci sarà più nulla da dire. Gli stessi professionisti della dissacrazione, oggi tanto di moda, troveranno ben poco a cui appigliarsi: il personaggio che esce dalle mani del biografo non conserva nemmeno il ricordo di quei caratteri statuari che la storiografia risorgimentalista aveva stucchevolmente attribuito anche a lui, come agli altri «padri della patria». Ma il fatto è che, invece di perderci — come è capitato a Vittorio Emanuele e a Garibaldi, e come certamente capiterebbe a Mazzini, se qualcuno osasse rimuoverlo dalla posa —, ci guadagna. Ed è proprio questo che dà la misura della sua grandezza. Nel Cavour di Romeo c’è del Pombal, che non fu certamente una collezione di virtù. Prima di essere un uomo di Stato dell’Ottocento — forse il più grande —, fu un libertino del Settecento: avido di piaceri, ghiotto a mensa e a letto, cinico negli affari di cuore che per lui erano solo affari di pelle, spericolato giocatore d’azzardo. Ma animale politico, quando alla politica dopo tante altre esperienze si volse, quale raramente se n’era visti di eguali nel fiuto degli avvenimenti, nella dirompente vitalità, con cui li affrontava, nella disinvoltura con cui sapeva sacrificare al successo anche le amicizie più care, anche la parola, quando occorreva, ma soprattutto nella larga visione delle cose e del mondo. Ed è questo che riscatta i difetti umani di Cavour, tramutandoli in qualità politiche. La vicenda del famoso «connubio», cui Romeo dedica uno dei capitoli più sostanziosi del suo libro, ne costituisce la più convincente riprova. Il modo in cui, entrato per via d’amicizie di famiglia e in punta di piedi — contro il presago volere del re — nel gabinetto D’Azeglio. Cavour se ne appropriò tutte le leve mettendo regolarmente colleghi e presidente di fronte al fatto compiuto, e alla fine lo rovesciò dal di dentro capovolgendone la maggioranza, non ha in sé nulla di edificante, e suona caso mai più a gloria della vittima che del vincitore. Il conte condusse l’operazione da conte, coi guanti e molti mazzi di fiori alle signore di casa D’Azeglio. Ebbe anche la fortuna di un avversario cavalleresco — il più bello esemplare, sul piano umano, dello zoo risorgimentale —; che, lungi dal serbare rancore al traditore, gli fu quasi grato di una trombatura che lo restituiva ai suoi esercizi favoriti: la penna, il pennello e i camerini delle attrici. Ma insomma, come operazione in sé, questo primo «centro-sinistra» della storia italiana recava le stigmate bassamente trasformistiche di tutti quelli che lo avrebbero seguito. E, se fosse rimasto fine a se stesso, avrebbe procurato a Cavour il titolo di precursore del papocchismo democristiano; un titolo con cui non si entra nella Storia, ma solo nei suoi scantinati e fogne. Ma il fatto è che non fu fine a se stesso. Fu la scorciatoia di Plombières, di S. Martino, di Solferino, e di tutto il resto. Cavour aveva, dei peccati, un concetto luterano: era convinto che il buon Dio fosse disposto a perdonare solo quelli grandi, e che infilarsi la carta nel polsino è da bari solo quando si gioca fra pidocchi, a sette e mezzo; per far saltare il tavolo del baccarat, è legittimo. I personaggi cosiffatti corrono sempre un grosso rischio: che il biografo s’innamori di questi loro lati minori, ma più pittoreschi, e li renda maggiori. Ma Romeo è troppo grande storico per caderci. Egli sa benissimo di non avere fra le mani uno stinco di santo. E specie nel primo volume, quello della giovinezza, lo lascia sbrigliare e mettere i piedi nella mota. Ma senza mai perdere di vista la formazione della complessa personalità del suo eroe, lo svolgimento del suo pensiero, la lezione che seppe cogliere da tutte le sue esperienze, comprese quelle negative, e soprattutto la prontezza e perspicacia con cui fiutò la Storia e seppe essere puntuale a tutti i suoi appuntamenti. Cosa contano le debolezze di un uomo che da quelle altrui seppe trarre il partito necessario a realizzare un disegno assolutamente sproporzionato alle sue proprie forze? Quando il cadavere di Cavour si fu raffreddato nella tomba, uno dei tanti Cassola suoi contemporanei, che aveva trascorso la vita a combattere Cavour dai banchi dell’opposizione repubblicana e garibaldina, Ferrari, disse: «No, voi non sentirete da me, in questo recinto, una parola contraria al conte di Cavour, che ha compiuto l’opera sua, che ci ha vinti, e la cui morte nella vittoria può essere augurata al migliore dei nostri amici. La terra potrebbe girare le mille volte intorno al sole, il conte di Cavour seguiterebbe a vincerci. Qualunque cosa che voi ora facciate, andate a Roma, penetrate a Venezia, sarà il conte di Cavour che vi avrà condotti, preceduti, consigliati, menati...». Se è proprio questo che dispiace a Cassola, vuol dire che anche i Cassola si sono deteriorati.