Andrea Scarpa, Vanity Fair n.31 11/8/2010, 11 agosto 2010
MI CHIAMO K. HO 13 ANNI E MO VENDO A VOI ITALIANI
È una storia di mierda, quella che state per leggere. E se provate a immaginare un uomo bianco sulla sessantina – media corporatura, occhiali da vista, senza capelli – che seduto in un bar all’aperto, all’ora dell’aperitivo, davanti a tutti, si fa lentamente succhiare il dito medio da una bambina mulatta di massimo 10 anni, capirete di che mierda stiamo parlando.
Stiamo parlando di prostituzione minorile, di pedofilia, di violenza sulle donne. Di quello che tutti i giorni e tutte le notti succede a Boca Chica, tre chilometri di spiaggia e mare da sogno sulla costa meridionale della Repubblica Dominicana, a venti minuti d’auto dalla capitale Santo Domingo. Stiamo parlando di italiani che qui si sono stabiliti – pensionati, ex disoccupati in cerca di fortuna, pregiudicati in fuga da tutto – e di tanti altri che ci vengono semplicemente in vacanza. Qui rappresentano la stragrande maggioranza degli stranieri presenti. Le facce somigliano a quelle dei vicini di casa, dei colleghi di ufficio, ma anche a quelle viste al cinema in Gomorra, tanto per capirci.
A Boca Chica, senza correre alcun rischio, fanno quello che vogliono. Pagando una miseria, 1.000-1.500 pesos, pari a 25-30 euro, fanno sesso – magari dopo un tiro di coca, uno spinello di erba, o una pipetta di crack – con bambine, adolescenti, ventenni affamate, o addirittura incinte. E spesso filmano tutto. Bianche, nere e mulatte vittime e protagoniste di una compravendita oscena che avviene ovunque, nell’indifferenza generale: in spiaggia, nei piccoli alberghi, e soprattutto lungo la decrepita Calle Duarte, la strada principale che ogni sera viene chiusa al traffico per lasciare spazio alle sedie e ai tavoli di pizzerie-bar, negozi, ristoranti. Tutti, o quasi, all’insegna del tricolore (Gusto Italiano, Il Tucano, Punto Italia...).
IL CORPO DI UNA COCA-COLA
«Ma quale mare e mare, guaglio’, qui si viene solo per scopare», spiega col sorrisetto complice L., quarantenne di Castellammare di Stabia, titolare di una pizzeria arredata con il poster di una Ferrari, la cartina geografica dell’Italia e l’immancabile affresco con il Vesuvio. «Pigliatene più che puoi, senti a me. So’ zoccole dalla prima all’ultima. Costano poco, e ci sanno fare».
Dal bancone esterno del locale, la mulatta Altagrazia, 21 anni, una quinta di seno, si stacca dal gruppetto di colleghe, e si avvicina. Il volume dell’onnipresente musica locale – bachata o merengue, sempre quelli – è come al solito assordante, ma lei riesce a farsi capire lo stesso. Ha due figli di 3 e 5 anni, una cicatrice sulla fronte, e tanta voglia di cambiare vita, se soltanto trovasse un uomo. Dice che ha «il corpo di una Coca-Cola», poi che è arrabbiata con gli italiani: «Due settimane fa, un napoletano mi ha spento una sigaretta sulle tette. Ero in ginocchio davanti a lui, avevo appena finito di lavorare: perché l’ha fatto?».
ITALIANI BRAVA GENTE?
Alla domanda risponde, il giorno dopo, Yesica Rosario, responsabile dell’associazione Caminante, che a Boca Chica opera dal 1994 a tutela dei minori. «Voi italiani siete i peggiori, i più perversi. O almeno lo sono quelli che vengono qui, in un Paese povero come il nostro, per fare schifezze di ogni tipo, senza rispetto per nessuno». Fa una pausa. «Dall’anno scorso, ogni tre mesi, un suo connazionale sui sessanta viene qui e abusa di ragazzine tra i 9 e i 14 anni. L’ultima volta si è fermato quattro settimane e ne ha violentata una al giorno. Tornerà di sicuro ad agosto. Sappiamo tutto di lui. Vorremmo incastrarlo, anche se a Boca Chica questi schifosi alla fine non pagano mai. Rispettare la legge, che c’è, e se fosse applicata sarebbe ottima (la numero 136, varata dal Parlamento dominicano nel 2003, ndr), qui non conviene. Il turismo, e il volume di affari che genera, sono sacri. Per questo gli alberghi e i tour operator ci ostacolano in ogni modo. Il mese scorso abbiamo segnalato alla direzione dell’albergo più importante di Boca, l’Hamaca Hotel, che una donna italiana alloggiava con un ragazzino di 12 anni, e che sicuramente ci faceva sesso. Ci hanno risposto che era suo figlio... E poi, ha visto come si comporta la polizia? Gli agenti, se vedono uno straniero che adesca un minore, si girano dall’altra parte. Se ne fregano».
GIÙ DALLA FINESTRA
La Politur, la polizia turistica dominicana, a Boca Chica non si limita a chiudere tutti e due gli occhi. L’abbiamo vista taglieggiare in maniera sfacciata prostitute, venditori ambulanti, guide turistiche abusive. I poliziotti, due per moto, sorridono agli stranieri e fermano tutti gli altri, a cui chiedono minimo 200 pesos, più o meno 5 euro, un paio di volte a settimana. Se non possono pagare, li mettono in galera per un paio di giorni. Un motivo si trova sempre. Li abbiamo visti all’opera anche con Christian Vargas, 29 anni, detto Armando perché da piccolo era un fan di Maradona. Si guadagna da vivere accompagnando i turisti in giro, e a 11 anni è volato dal primo piano di un albergo: «Un canadese mi aveva offerto una pizza nella sua stanza. Quando ho finito di mangiarla, mi ha fatto alzare per prendermi da dietro con la forza. Era grande e grosso. Pur di scappare mi sono lanciato dalla finestra, e mi sono rotto un braccio e un piede».
MATERASSO SUI MATTONI
Tutte, o quasi, con almeno due-tre figli, sole, religiose (soprattutto cattoliche ed evangeliche), e con un uomo che le sfrutta – il magnaccia qui si chiama Chulo, si prende buona parte dell’incasso, e se serve sa essere molto cattivo (di solito spezza mani e piedi) – le ragazze di Boca Chica quando vanno in Calle Duarte per lavorare si vestono meglio che possono, e si trasformano. Potrebbero sembrare turiste pronte a passare una divertente serata in discoteca. Per capire quali sono le loro reali condizioni di vita, bisogna rivederle il giorno dopo, nelle catapecchie dove abitano. Magari dopo aver chiesto loro di scrivere il proprio nome su un pezzo di carta. L’impegno profuso, e il risultato, se non tutto, dicono tanto.
Guelis De Leon ha 25 anni, due figli di 11 e 2, e lavora a Boca Chica ma vive ad Andres, baraccopoli di 10 mila disperati a 5 minuti di moto dalla spiaggia, lontano dagli occhi dei turisti. La sua casa è fatta di un muro rotto, una decina di assi di legno, due pannelli di compensato, e qualche metro di lamiera ondulata come tetto. Il bagno non esiste: è un buco nel terreno fuori quella che dovrebbe essere la cucina, ma che in realtà è un angolo dell’unica stanza. Dorme con i figli su un letto matrimoniale dal materasso sporco e sfondato, poggiato sui mattoni perché quando piove l’acqua entra da tutte le parti. Su quattro assi ha appeso le scarpe migliori che ha, quelle colorate. In alto, su due chiodi lunghi, ci sono i vestiti buoni, ovviamente sexy. L’allaccio alla corrente elettrica è abusivo, e Guelis ha una sola lampadina da spostare a seconda delle esigenze. Per stare qui, paga 3 mila pesos al mese di affitto. Sessanta euro, che da queste parti non sono pochi.
«Sono orfana dall’età di 12 anni, e da allora faccio la puttana. Che altro avrei potuto fare? I miei bambini sono figli di due clienti che dicevano di voler stare con me, poi ho partorito, e non li ho più visti. I clienti sono tutti buoni: se non cercano guai, da me non li avranno. Di sicuro non mi faccio trattare come un perro (un cane, ndr) da nessuno. Sogno una vita tranquilla, un lavoro normale, andare a scuola. Non ci sono mai stata. La parola amore non ha senso, per me».
L’AIDS, UN PROBLEMA DEI CLIENTI
Si calcola che l’Aids, nella Repubblica Dominicana, abbia già colpito più del 2 per cento della popolazione (fonte Action Aid del 2009), il dato più elevato di tutta l’area caraibica. Una collega vicina di casa di Guelis, Estefani Valera, 22 anni, che si vende dal 2002, offre sull’argomento un punto di vista inquietante: «Lavoro sempre con il preservativo, ma tante amiche sono morte, e tante altre sono sieropositive. E quando un cliente insiste per farlo senza protezione, magari pagando molto di più, loro lo accontentano. Fanno bene. Perché non dovrebbero?».
Intanto L. V., novarese di 45 anni che vive a Boca Chica da un anno, ha appena avuto quella che lui chiama una buona idea: ha aperto un sex shop in Calle Duarte. Lo promuove distribuendo volantini su cui ha scritto: «Atrapa a Pepino! Podrás ganar uno de nuestros productos! (Acchiappa il cetriolo! Potrai vincere uno dei nostri prodotti!)». In pratica, dentro il negozio ha messo un fallo finto che i clienti devono centrare con un anello. Chi ci riesce, porta a casa un condom, un frustino, un lubrificante. E magari parlerà tanto bene della buona idea di L. V., che prima lavorava nel settore tessile: «Poi con la crisi ho perso tutto e sono venuto qui. Speriamo bene».
DOPO IL TERREMOTO
A cambiare le regole del mercato della carne di Boca Chica, e a creare inevitabili tensioni, negli ultimi mesi sono arrivate le giovanissime haitiane scappate dalla fame del post-terremoto. Si vendono a prezzi stracciati, e spesso litigano con le colleghe dominicane, soprattutto adesso che non è alta stagione e i clienti non sono tanti come a dicembre e gennaio, i mesi migliori. Sulla spiaggia si muovono in gruppo. K., M., e J., minorenni di 13, 14 e 15 anni, passeggiano sulla battigia, si avvicinano alle sdraio di uomini di mezz’età dai fisici improbabili, che senza freni infilano dita, tastano, chiedono notizie sulle prestazioni facendo gesti e sghignazzando eccitati. La più piccola, che ha i seni appena accennati, sembra non capire ma sorride. È questo che deve fare, e questo fa.
NON VOLERSI BENE
«Il problema maggiore di questi minori», spiega Yocasta Veras, la psicologa di Caminante, «è l’assoluta mancanza di autostima. Nessuno li ha mai fatti sentire amati, così sono cresciuti con la convinzione di non meritare nulla di buono. Per questo accettano qualsiasi umiliazione, e anche i soprusi a volte li interpretano come gentilezze».
Dieci metri più avanti, sempre in spiaggia, all’altezza del bar Isla Bonita, c’è il gigolò José, tutto vestito di bianco, con i pantaloni calati da rapper, e un cappello griffato. «Vado con uomini e donne di ogni età, anche molto anziani. Posso essere attivo e passivo, non mi importa. Se paga 5 mila pesos (poco più di 100 euro, ndr), decide il cliente». Vicino a lui c’è Omega, che in spiaggia balla e canta a richiesta dei turisti. Se serve si vende, soprattutto agli omosessuali, «perché pagano molto bene. Me lo faccio solo succhiare».
LE CAMICIE NERE
All’altezza della trattoria la Terraza, che ovviamente dà sul mare, cinque italiani ampiamente sopra i sessanta – fra cui A. F., il proprietario – e tre ragazze locali sui venti discutono animatamente. Un veronese, pancia enorme e voce grossa, tra una bestemmia e l’altra dice quello che pensa: «Siete troie come tutte le donne di qui. Andate pure con i negri come voi, se volete, tanto qui ripasserete. Senza di noi, siete zero. Sugli alberi vivreste».
In Calle Duarte non ci sono solo vecchi bavosi – per loro il Viagra e il Cialis si trovano in vendita ovunque – ma anche tanti giovani. Come un gasatissimo romano sui trent’anni, che appoggiato al bancone-barca del bar La Criolla, tirando fuori dai pantaloni di una ragazza l’elastico degli slip, urla ai due amici: «So’ negre, ma so’ bone! Guarda che culo!».
C’è poi la serata organizzata il 24 luglio da un gruppo di residenti in camicia nera. Con una testa del Duce a centro tavola, si mettono a cantare Giovinezza e Faccetta Nera per ricordare l’anniversario della caduta di Mussolini. Poi insultano tutte le nere che passano in strada, salvo poi appartarsi con loro nei vicini alberghetti a ore.
IL MOSTRO E IL BAMBINO
In uno di questi, l’Hotel Europa, un uomo sui 50 – alto, magro, con la barba e il viso che sembra ustionato – sta per entrare con un bambino che avrà al massimo 10 anni. Lo tiene da dietro, per la cintura, con il braccio teso, e ha una luce rivoltante negli occhi. Il giorno dopo, sempre da quelle parti, incontro di nuovo il bambino. Mi racconta che quell’uomo è un francese, che lo ha già incontrato tre volte, e che lo paga bene: «Fa in fretta, mi vuole bene».