Rita Sala, Il Messaggero 6/8/2010, 6 agosto 2010
IL MARCHESE DEL GRILLO
«Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri!». Oppure: «Roma è tutta un vespasiano». Per non parlare del «Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un cazzo!», che viene dal sonetto Li soprani der monno vecchio del Belli ed è diventata la battuta distintiva del Marchese del Grillo dopo il film di Monicelli del 1981, con Alberto Sordi e Paolo Stoppa.
Il Grillaccio, nobile cinico, ozioso, buontempone fino alla crudeltà, reso immortale da Sordi sullo schermo, è personaggio che Roma ricicla fedelmente. Ispirato alla figura di Onofrio, aristocratico di Fabriano vissuto nel Settecento, si è così strettamente intrecciato con l’Urbe, con le sue strade e le sue piazze, con il Palazzo del Grillo che ancora troneggia a metà dell’omonima Salita, da mietere successi ad ogni resurrezione. Domani sera, al Teatro Romano di Ostia Antica, va in scena il musical Il testamento del Marchese del Grillo, firmato da Mario Scaletta (anche autore dei testi delle canzoni) con Melania Fiore, protagonisti Carlo Croccolo (nel ruolo del titolo) ed Enzo Garinei, accompagnati dalle musiche di Federico Capranica. Nel cast anche Toni Fornari, Stefano Ambrogi, Annalisa Favetti, Pietro Romano, Serena D’Ercole e Vincenzo de Luca. La regia è di Gigi Palla.
Ma la maschera mordace, assolutamente romana del Marchese l’ha indossata, appena l’anno scorso, anche Pippo Franco. Ancora prima ce l’hanno riproposta rappresentanti della scena dialettale come Alfiero Alfieri e Pietro Romano. E quando qualcuno, nell’Urbe, si diverte clamorosamente alle spalle altrui, arriva, puntuale, la citazione del Grillaccio. Non a caso Onofrio, oppure Onorio, o addirittura Cosmo, “gentiluomo romano scrive nel 1887 Raffaello Giovagnoli nato fra il 1730 e il 1740 e morto verso il 1800” aveva come maggior sollazzo quello di gettare dalla famosa Torre sassi e (dopo i rimbrotti del Papa) pigne e castagne col riccio, sugli ebrei che passavano nella strada sottostante.
Storia o leggenda? “Quantunque non mi sia riuscito di apprendere, per quante ricerche abbia fatto, il nome con cui egli fu battezzato, né la data precisa della sua nascita, ho potuto verificare dalle affermazioni recise dei suoi discendenti che egli è un personaggio storico, vero, realmente esistito e che molte delle bizzarre avventure, dalla leggenda popolare unite al suo nome, fan parte effettivamente delle gesta compìte da quest’uomo, che io sarei disposto a chiamare l’ultimo e il più stravagante dei feudatari romani”, annota ancora il Giovagnoli.
Il popolo e gli artisti hanno fatto il resto. Il Marchese è finito due volte in palcoscenico: la prima in una commedia di Anonimo intitolata Le nozze del Marchese del Grillo e un carnevale romano; la seconda, il 2 novembre 1889, al Teatro Metastasio, nell’operetta Er Marchese der Grillo, leggenda romana in tre atti e quattro quadri di Domenico Berardi, su musica di Giovanni Mascetti. Mentre il lavoro dell’Anonimo fece fiasco, quello di Berardi ebbe fortuna. Rimase a lungo in cartellone al Metastasio e fu poi ripreso, con inalterato esito, al Rossini di Piazza Santa Chiara.
A chi ancora si chiede la “ragione romana” di tanto riscontro, basterà ricordare un’altra battuta del cult movie con Sordi: «Mia cara Olimpia dice Don Onofrio alla bella donna che gli sta accanto méttete in pompa, che sto grillaccio der marchese sempre zompa! Zompa chi campa, allegramente...». Pura filosofia capitolina.