Roberta Pumpo, Il Messaggero 6/8/2010, 6 agosto 2010
LA VEDOVA VANACORE
La prima estate di Giuseppa De Luca senza il suo Pietrino è fatta di ricordi e di preghiera. Una anche per chi si ostina a cercare suo marito, ogni volta che il calendario scandisce la data della morte di Simonetta: “Ora che è morto, che si è suicidato, chiedo solo di lasciarlo riposare in pace, almeno adesso che non c’è più” dice a ventiquattr’ore dal ventesimo anniversario di quel delitto che ha sconvolto la famiglia Cesaroni e anche la sua vita. «Credo che almeno adesso, dopo tanti anni e da vedova, possa chiedere un po’ di rispetto per quest’uomo che si è tolto la vita per questa storia», dice Giuseppa De Luca. E prova a descrivere il suo stato d’animo, con le poche parole che trova: «Solo io so cosa sto passando. E’ inutile provare a descriverlo, tanto sui giornali poi scrivono quello che vogliono».
Il giorno più lungo dell’anno, quello di sabato sette agosto, Giuseppa De Luca, lo passerà nel silenzio della sua casa di Monacizzo, frazione di Torricella, nel tarantino, dove si trasferì a metà degli anni novanta con il marito, non appena entrambi maturarono i contributi per andare in pensione. Una casa modesta, affacciata su un campo coltivato, con una grande terrazzo pieno di piante, che Vanacore annaffiava ogni mattina perpetuando un rito quotidiano appreso in via Poma, dove curava il giardino del condominio. Si fantasticò parecchio, di questa casa, negli anni in cui le indagini sembrava volessero puntare solo di lui. Si disse che era stata acquistata con i soldi pagati per il suo silenzio circa la vera identità dell’assassino: lui che certamente aveva visto tutto - sussurrava qualche investigatore disinvolto - ha deciso di non parlare in cambio di denaro, tanto, con il quale ha acquistato una grande villa in Puglia. Poi vennero fuori gli atti del catasto: la casa un rudere, acquistata con pochi soldi molti anni prima del delitto di Simonetta. Eppure Pietrino Vanacore fu arrestato due giorni dopo il delitto, il 9 agosto ’90, con l’accusa di omicidio; e passò 26 giorni in carcere. Il 16 giugno 1993 fu prosciolto dal gip Antonio Cappiello perché “il fatto non sussiste”. La decisione divenne definitiva nel 1995 dopo il ricorso in Cassazione. Nel 2009 era stata archiviata una seconda indagine che Pietrino Vanacore aveva subito in relazione all’uccisione di Simonetta Cesaroni.Intanto sabato a Roma, come accade ormai da venti anni, a casa della mamma di Simonetta arriverà la telefonata dell’avvocato di parte civile Lucio Molinaro. «Come ogni anno - afferma - ci sarà una conversazione carica di amarezza da un lato e di dolore dall’altro per il modo in cui è stata uccisa questa ragazza. Ma quest’anno c’è anche la speranza che questo processo porti alla verità».