Paolo Biondani, L’espresso 12/8/2010, 12 agosto 2010
O MIA BELLA COCAINA
La ragazzina di periferia e la starlette. L’imprenditore e l’impiegato. Nei locali Vip e agli angoli delle strade. Cocaina per tutti. È Milano da sniffare, un sistema droga che ha invaso la città fra traffici milionari e complicità eccellenti. Per scattare qualche immagine basta mettere in fila un po’ di fatti documentati da inchieste diverse, spesso casuali. Come tutte le indagini giudiziarie, mostrano solo la punta di un iceberg. Però forniscono dettagli inquietanti: la storia di un solo carico di coca può partire dalle autobombe mafiose dell’ex Jugoslavia, arrivare ai boss della mafia calabrese, passare dagli spacciatori più disgraziati delle strade ambrosiane, entrare nelle discoteche più famose, finire negli alberghi extralusso con nugoli di escort da mille euro a sera.
Locali da sballo
L’immagine di partenza è il sequestro per droga di due discoteche simbolo di Milano: Hollywood e The Club. Secondo l’accusa, almeno tre gestori, finiti agli arresti domiciliari, avevano trasformato i privé dei due locali in "aree di libero consumo e scambio di cocaina, a disposizione di una clientela ricca e capricciosa, libera di sniffare sui tavoli, nei corridoi e nei bagni protetti da guardie private" (in teoria illegali). Va detto subito che il giudice di turno, intasato da altri processi per mafia, ha accolto con un anno e mezzo di ritardo le richieste del pm Frank Di Maio.
Quindi i difensori dei cinque arrestati, tra cui primeggia lo studio dell’avvocato-deputato Gaetano Pecorella, hanno buone chance di convincere il tribunale che l’inchiesta è quantomeno datata: le sale dei Vip, saggiamente ristrutturate, non sono più "bunker incontrollabili dalla polizia".
Agli atti restano però le testimonianze di decine di industriali, manager e stelle dell’immagine (moda, tv e pubblicità), come Francesca Lodo, Alessia Fabiani, Fernanda Lessa, Belen Rodriguez o la sua amica Ana Laura Ribas, che hanno dovuto ammettere, a forza di intercettazioni, l’uso di coca in quei privé. Con una particolarità: non la pagavano mai, né loro né i due amici già arrestati a Potenza per "cessioni gratuite" di droga. I soldi li mettevano i clienti, per lo più "figli di ricchi imprenditori". Il profitto dei gestori era indiretto: "agevolare" la coca, senza sporcarsi con lo spaccio, serviva a "riempire i tavoli", vendere fiumi di alcol (champagne da almeno 150 euro) e "creare immagine per i locali". Benefici confermati dalle file di clienti di classe sociale inferiore, ammassati fuori dalle porte di quei seminterrati, per essere ammessi alle "notti dei vip".
Belen Belen
Escort a 5 stelle
La seconda immagine è il fine serata della prima. Dalla coca nei locali è nata un’inchiesta-bis, di cui la procura ha depositato solo i primi verbali. Più di 20 ragazze-immagine hanno già testimoniato che alcuni pierre, oltre a piazzarle in altre due discoteche ad alto tasso di coca (e fanno quattro), procuravano anche i clienti per notti di sesso a pagamento: da 250 a mille euro. Escort e cliente finivano nei più lussuosi alberghi di Milano. E dalle telefonate di un pierre-spacciatore è partita la terza pista: traffici di foto e video ricattatori, rivenduti a vittime capaci di versare da 40 a 300 mila euro.
Prezzi in altalena
Le indagini della squadra mobile documentano che Milano è invasa dalla cocaina fin dagli anni ’90, ma il business è differenziato. Il prezzo vero dipende dai tagli. I ricchi pagano in media tra 70 e 100 euro al grammo per droga di elevata purezza (oltre il 50 per cento) recapitata a casa, in discoteca o al bar. A spacciarla ai signori dei privé erano un marocchino e un macedone: dopo l’arresto, il cellulare del primo ha continuato a ricevere chiamate da due aziende della moda e una società telefonica. Per la massa dei cocainomani, invece, i prezzi sono più bassi, ma la polvere è tagliata fino a 20 volte.
"Nella sola Milano stimiamo circa 20 mila consumatori frequenti o abituali, che salgono a 40 mila con gli occasionali", spiega Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze dell’Asl. A conti fatti, è un business da 2 milioni di euro al giorno, senza contare tutte le altre droghe. "Purtroppo i personaggi dello spettacolo diventano involontari testimonial dello sballo", aggiunge Gatti, che avverte: "La cocaina ha saturato il mercato, non è più vissuta come pericolosa. E ora l’emergenza è il ritorno dell’eroina o l’abuso di alcol e psicofarmaci, che dà ai più giovani un’illusione di scelta del piacere".
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Milano
O mia bella cocaina
di Paolo Biondani (05 agosto 2010)
Fenomeno di massa
"Il mercato della cocaina è enorme, Milano ne è da sempre il fulcro, eppure non disponiamo di ricerche approfondite su una realtà economica e sociale così importante", ammette Donato Masciandaro, il professore della Bocconi che è tra i pionieri in Italia negli studi sulla criminalità finanziaria. "Il fenomeno più impressionante è la diffusione capillare dello spaccio", osserva Achille Saletti, presidente di Saman, la rete di comunità che è tornata allo spirito del fondatore Mauro Rostagno e ha creato a Milano i primi centri di disintossicazione dalla "bamba". "A vendere coca è il collega, l’amica, lo studente, l’impiegato che compra per il gruppo. E uscirne è difficile".
Gli spacciatori di strada, concentrati nelle zone dei locali (corso Como, Isola, Navigli, Arco della Pace), sono quasi sempre stranieri, che trattengono una piccola cresta e rischiano più di tutti: dopo albanesi, maghrebini, nigeriani e senegalesi, le ultime reclute arrivano dal Gambia. Vendono un mezzo o un terzo di grammo avvolti in palline, ma la purezza crolla al 15-20 per cento. Per i quindicenni c’è il "boccino" da un quinto di grammo teorico, venduto a 10-15 euro, "ma è quasi tutta anfetamina", precisano i poliziotti. Quasi solo i maschi comprano anche in fabbriche dismesse, stazioni, vie periferiche o quartieri-fortino. In Europa il prezzo medio varia da 58 a 67 euro al grammo e la purezza è in continuo calo, secondo gli studi citati da Vincenzo Spagnolo nel libro "Cocaina spa": a monopolizzare i guadagni sono i clan del narcotraffico, che comprano dai produttori, in media, a 52 dollari al chilo. E a Milano, di regola, lo rivendono agli spacciatori a 40-45 mila euro. Nessun affare lecito è in grado di garantire una moltiplicazione per mille dei profitti.
Complici illustri
Sulla droga il sindaco di Milano Letizia Moratti propaganda una linea ultra-proibizionista: ha invocato il carcere anche per i ragazzini che fumano spinelli. La sua amministrazione, in compenso, ha mostrato una guardia bassissima per la cocaina. Hollywood e The Club erano due tra le tante discoteche protette da Rodolfo Citterio detto Rudy, presidente del sindacato italiano locali da ballo (Silb-Confcommercio) nonché dominus dell’apposita commissione comunale di vigilanza. Arrestato per una tangente da 40 mila euro pretesa per autorizzare la discoteca Qin, si è fatto intercettare mentre aggiustava decine di pratiche: affitti su terreni demaniali, uscite di sicurezza irregolari, sistemi antincendio a rischio. I funzionari corrotti del Comune lo ringraziavano per i regali più vari: uno per la "gran serata e la gran scopata", l’altro per i test con cui truccare il concorso per diventare dirigente. L’accusa ipotizza continui scambi di favori anche con Emiliano Bezzon, il comandante dei vigili di Milano rimosso solo dopo l’inchiesta: memorabile l’intercettazione in cui il ghisa supremo chiede a Rudy di fargli sequestrare un po’ di cocaina in una discoteca "per fare bella figura". Al telefono Rudy si lamentava dell’ostilità del vice-sindaco De Corato (ex An), ma vantava "coperture politiche nazionali" definendosi "amico" di La Russa e Berlusconi. Di certo ha una fetta della società C&C, che gestisce il ristorante 115: le altre quote appartengono ai familiari di Rita Amabile, la super-dirigente di Palazzo Marino voluta dalla Moratti. Le intercettazioni di Rudy rivelano un altro dato eloquente: gran parte delle discoteche milanesi sono controllate da un "oligopolio di fatto", come lo chiama il pm: un gruppo di imprenditori amici, con interessi incrociati in tante società separate.
L’ultimo finanziatore conosciuto è "un napoletano con i soldi fin sopra i capelli", che ha versato 1,4 milioni in pochi giorni.
Talpe in divisa
Il titolare del Toqueville ha evitato l’arresto per favoreggiamento solo grazie alla prevedibile condizionale: il giudice però conferma che l’8 giugno 2008 aveva rivelato a un socio, con eccezionale precisione, che Rudy Citterio e il suo fido architetto aggiusta-progetti erano "controllati al telefono per i pagamenti delle pratiche dei locali". "Ci ha dato la notizia un personaggio veramente importante della questura di Milano, nostro amico fidato". Sotto inchiesta restano anche un commissario "factotum dell’Hollywood" e un ispettore che piazzava in altri locali "un suo gruppo di escort".
Autobombe mafiose
Gli imperatori della cocaina, da sempre, sono i boss più sanguinari della ’ndrangheta, già lanciati alla conquista dell’economia lombarda (304 arresti in luglio). Ma proprio nei due anni di inchiesta sulle discoteche, a rifornire i mafiosi italiani era un nuovo cartello serbo-montenegrino: ex criminali di guerra che riciclano nel narcotraffico le tattiche paramilitari. Le polizie americane ed europee hanno sequestrato navi e depositi con circa tre tonnellate di cocaina purissima (80 per cento): quasi 600 chili solo in Italia. L’intera inchiesta era nata in Svizzera dalla scoperta di un’autobomba rimasta inesplosa. Una pista telefonica portava a Milano, a un appartamento di via Washington. Gli svizzeri pensavano a un covo di terroristi serbi, invece c’erano 90 chili di super-coca. Negli stessi mesi, l’ex Jugoslavia era sconvolta da clamorosi attentati mafiosi per eliminare politici e giornalisti. Ma i clienti privilegiati dei privé d Milano non potevano certo immaginare che la loro amata coca servisse anche a finanziare le autobombe.